ANPI NEWS

ANPINEWS N. 138

 

n. 138 – 28 ottobre / 4 novembre 2014
Periodico iscritto al R.O.C. n.6552
APPUNTAMENTI
► Ad Alba (CN), fino al 25 aprile 2015, un ricco programma di
eventi per ricordare i 70 anni della zona libera. Il 2 novembre
vedrà la partecipazione e l’intervento del Presidente nazionale
dell’ANPI, Carlo Smuraglia
Il Comune di Alba, in collaborazione con l’ANPI provinciale di Cuneo, ha
predisposto un ricco programma di eventi – che durerà fino al 25 aprile 2015 –
per ricordare i settant’anni della zona libera di Alba.
Il 2 novembre 1944 è il giorno in cui i partigiani cedono la città, per l’ultima
volta, prima della Liberazione dell’aprile 1945. E proprio il 2 novembre prossimo
si svolgerà una celebrazione, in piazza Savona ad Alba con inizio alle 10.30, che
vedrà, dopo il saluto delle autorità cittadine, l’intervento del Presidente
Nazionale ANPI Carlo Smuraglia.
Alle ore 11.30, quindi, si svolgerà l’inaugurazione dell’ Albero della Memoria,
un monumento creato dagli studenti del Liceo Pinot Gallizio e donato alla città
in ricordo dei 6 caduti della Caserma Govone.
L’iniziativa si concluderà con un incontro al Teatro sociale G. Busca di Alba dal
titolo “I 23 giorni di Beppe Fenoglio”.
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ARGOMENTI
NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI
CARLO SMURAGLIA:
►Nel giro di un paio di giorni, tre manifestazioni di diverso rilievo ma tutte – a
loro modo – significative: la manifestazione a Roma della CGIL, la “Leopolda 5”, a
Firenze; e infine, con la sua “modestia”, il Consiglio nazionale dell’ANPI a
Chianciano. C’è, dunque, un’Italia in movimento, a diversi livelli, che è disposta a
sacrificare un week-end, per incontrarsi e discutere. E di questo va preso atto, con
soddisfazione, e pur tenendo conto delle differenze.
La manifestazione della CGIL è stata grandiosa, superiore addirittura alle aspettative. I dati,
si sa, sono sempre controversi e incerti; ma il dato obbiettivo è che la piazza, grandissima,
era stracolma, come nei momenti migliori; e questo è ciò che conta e ci soddisfa appieno,
avendo dichiarato la piena condivisione dei contenuti e degli obiettivi della manifestazione ed
espresso il nostro auspicio che la manifestazione riuscisse, proprio perché era dedicata ai
fondamenti della nostra vita e della stessa Costituzione: il lavoro.
Logico, dunque, che abbiamo atteso con ansia le notizie che ci venivano da Roma e che
siamo stati molto felici quando abbiamo avuto la piena conferma che – perfino a giudizio
delle Forze dell’Ordine – la manifestazione era pienamente riuscita.
Ed è con questo traguardo raggiunto che si può guardare, con maggiori speranze, al futuro;
se ci sono tanti (un milione e più) disposti ad impegnarsi, con personale sacrificio, per valori
fondamentali come quello del lavoro libero e dignitoso, vuol dire che saremo anche
sprofondati nell’abisso di una crisi feroce, di una cattiva politica, della corruzione,
dell’invasione delle mafie, ma c’è – tuttavia – una speranza moto forte e concreta di riscatto.
E questo è ciò che aiuta il nostro cuore ed i nostri pensieri a guardare oltre le nubi, verso il
sole.
A Firenze, come ho detto, c’era un’altra Leopolda. Ma di questa è difficile parlare non tanto
perché i numeri non ci fossero (c’erano quelli previsti, ovviamente), ma perché la Leopolda è
un oggetto misterioso, in qualche modo inafferrabile e incomprensibile. Che cosa è mai
questa “Leopolda”? Una corrente di partito che si riunisce, un happening di amici,
un’appendice del Governo, uno stuolo di amici del “sovrano”? È difficile dirlo, perché, in
realtà, c’è tutto e nulla; ma forse c’è la premessa di un futuro diverso, una nuova concezione
dei partiti e della vita politica. Tutto questo potrebbe essere perfino positivo, se lo capissimo
fino in fondo. In realtà, gli oggetti misteriosi fanno sempre un po’ paura, appunto perché
non li capiamo e non sappiamo dove andranno a finire. Di certo, alla Leopolda, si è parlato
tanto attorno a cento tavoli, ma di parole che ci interesserebbero (antifascismo, Costituzione,
democrazia, diritti dei cittadini, corruzione, mafie), se ne è parlato ben poco, almeno a
leggere la stampa. Aspettiamo, dunque, e vedremo. Peggio, c’è stata addirittura (e non da
uno degli ultimi) l’idea di porre dei limiti allo sciopero. E questo, di certo, nessuno lo avrebbe
nemmeno pensato né a Roma né a Chianciano.
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Infine, ci siamo stati noi, chiari, trasparenti, comprensibili a tutti. Un Consiglio nazionale (150
presenti) dedicato a temi precisi come la Costituzione, la Resistenza, il futuro, la democrazia,
i giovani. Di questo hanno ampiamente parlato gli intervenuti al dibattito (ben 49), di questo
si è discusso; ma soprattutto si è parlato del futuro dell’ANPI, nel quadro del futuro del
Paese.
Una riunione, “alta”, per i contenuti, per la passione che tutti hanno dimostrato, nella
partecipazione attenta e sincera al dibattito, nella capacità di ascolto, soprattutto nella
volontà di guardare al futuro (che è già fra noi) tenendo fermi i valori del passato (che a loro
volta sono e debbono essere vivi nel presente).
E poi quel cantare insieme “Bella ciao”, alla fine, giovani e meno giovani, uomini e donne,
partigiani e antifascisti, abbracciandosi, scattando foto e scambiandosi ricordi. Questa è
l’ANPI di oggi, tutt’altro che “fissata” sulla memoria e sulle bandiere di battaglia; un’ANPI
viva, in cui convivono più generazioni e che sta seriamente discutendo sul proprio futuro,
assieme a quello del Paese. Bisognerebbe invitare, a questi nostri incontri, qualcuno di quelli
che ci immaginano ancora come antiquati conservatori, fermi nella nostra storia. Ne varrebbe
la pena, perché vedrebbero volti giovani e volti nuovi, accanto a quelli (sempre meno,
purtroppo), che vengono dalla Resistenza, ma uniti da vincoli di fraternità e solidarietà e
preoccupati solo che il Paese esca dalla crisi ed affronti il futuro, sulla base di valori reali e
profondi, quelli – in definitiva – che si desumono dai princìpi costituzionali. Certo,
numericamente minori rispetto alle altre manifestazioni, di cui ho detto: una “piccola” cosa,
alla fine, ma ricca di tradizioni di princìpi, di valori umani. Mai statue di cera, mai mezzi busti,
mai ingessati, e sempre ricchi di impegno e di speranza.
È questo che ci lega simbolicamente alla manifestazione della CGIL, facendoci condividere
sogni, speranze e impegno; perché anche in questo tipo di incontri non solo batte il nostro
cuore, ma vive anche il nostro futuro.
► Ho già dedicato un primo commento alla sentenza m. 238/2014 della Corte
Costituzionale sulla questione della prevalenza del diritto dei cittadini alla
giustizia rispetto alla sovranità degli Stati (a proposito delle stragi nazifasciste del
1943-’45) ma voglio tornarci per sottolinearne, di più e meglio, l’importanza.
La Corte ha collocato i diritti umani ad un livello superiore a qualunque altro diritto, a
qualunque potere, non dimenticando anche di collegare sempre il diritto, il principio, alla
concreta effettività.
La Corte Costituzionale, in un mondo pieno di guerre, di orrori e di violenze, ha detto che
fondamentale è la dignità della persona, che è e deve stare al centro di tutto, quindi essere
considerata, protetta e rispettata, garantendone il pieno sviluppo.
Se i diritti umani vengono calpestati, ha detto la Corte, come quando si compiono stragi
terribili di popolazioni civili, quando coloro che dovrebbero essere trattati come prigionieri,
vengono utilizzati per lavori, come se fossero schiavi, quando la violenza oltrepassa perfino
l’orrore insito di ogni guerra, per travalicare i confini che, da solo, il concetto di “umanità”
impone; se tutto questo avviene, chi lo cagiona deve pagare; e chi ne è civilmente
responsabile (ad esempio gli Stati cui appartengono gli eserciti ed i soggetti criminali che di
essi fanno parte) non può trincerarsi dietro il velo protettivo della sovranità.
Questa fondamentale affermazione di principio è di grandissimo valore, anche al di là dei
suoi effetti pratici e concreti. La Corte dell’Aja si era attestata su posizioni antiquate e
“comode” per gli stati, non accettando i progressi che lo stesso pensiero giuridico è stato
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costretto a compiere, in questa società tumultuosa e violenta. La Corte Costituzionale italiana
è andata molto oltre, dimostrando di essere attenta e sensibile, soprattutto, all’esigenza di
proteggere ancora di più i diritti umani, quando il mondo è così tormentato e percorso da
violenze inaudite.
L’essersi richiamata all’art. 2 della Costituzione, col suo alto riconoscimento che i diritti umani
devono essere considerati inviolabili e garantiti nei confronti di chiunque, ci fa tornare al
valore della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo proclamata nel 1948, con l’aggiunta
dei progressi di elaborazione, di riflessione e di realizzazione delle garanzie, che in questi
anni sono stati compiuti.
Ma la Corte ha detto anche di più, richiamandosi all’art. 24 della Costituzione, che colloca tra
i diritti inviolabili, e impegnandosi a renderlo effettivo, il diritto di ciascuno ad avere un
giudice ed ottenere una decisione. Altro principio fondamentale, che dovrebbe essere pacifico
e invece ha bisogno, continuamente, di essere ribadito e rinverdito.
Quali saranno gli effetti pratici di questa fondamentale sentenza?
Difficile dirlo: il decorso del tempo (troppi anni sono passati dal momento di quei tragici
eventi) non lavora per noi; le aperture della Germania, che pure ci sono state per quanto
riguarda le ammissioni di responsabilità ed alcune misure di riparazione, si sono sempre
arrestate di fronte al tema del risarcimento ed è possibile che non vadano oltre neppure
adesso (e se ne avvertono i primi sintomi). Vedremo. C’è sempre la speranza, in ogni caso, di
eventuali aperture e di un incremento di quelle attività di “riparazione” che sono già in essere
da qualche tempo (si pensi, ad esempio, all’ ”Atlante” delle stragi). Del resto, già la decisione
della corte Dell’Aja aveva lasciato aperta la strada ad intese fra gli Stati, al di là dei princìpi e
delle formulazioni di diritto. La sentenza della Corte Costituzionale costituisce, in ogni caso,
una robusta spinta in quella direzione. Io confido che i rappresentanti più avveduti della
Germania capiscano che sta in questa “apertura” la possibilità di raggiungere una memoria,
certo non condivisa, ma almeno più “storicizzata”, che aiuti a superare antiche forme di odio
e manifestazioni, pur comprensibili, di rancore.
Ma spero anche che la sentenza parli, contemporaneamente al Governo, alle Istituzioni
italiane, perché finalmente assumano anche le responsabilità che competono al nostro Paese,
perché anche qui c’è molto spazio (necessario) almeno per le “riparazioni”, per
l’accertamento della verità, per il raggiungimento della giustizia.
Bisogna che tutti sappiano che tutto questo è dovuto, da parte della Germania e da parte
dell’Italia, alle vittime dell’orrore indicibile, ai superstiti (sempre più rari, anche se indomiti),
ai famigliari. Non possiamo restituire famiglie, figli, fratelli, spose, case: non possiamo ridare
le vite perdute, ma almeno possiamo cercare, tutti, di favorire il compimento di un cammino,
indispensabile, sulla via della verità e della giustizia.
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