A quarant’anni da Montagna Longa pubblichiamo la brillante prefazione di Giosuè Calaciura a “L’ultimo volo per Punta Raisi” di Francesco Terracina. “.. è un formidabile rapporto sullo stato del silenzio a quarant’anni esatti da una strage ancora inspiegabile. La Giustizia ha cristallizzato una fragile e contorta verità, troppo rapida e poco credibile, sulla morte di 115 persone a bordo del DC8 Alitalia AZ 112 Roma Palermo che il 5 maggio del 1972, tra le 22,23 e le 22,24, si schiantò sul costone di Montagna Longa.”
In Sicilia si viene al mondo muti. E’ nel silenzio che la diversità dei siciliani diventa cultura.
…..Il silenzio è la qualità più sottile e spesso apprezzata dei morti e della morte.
Della morte civile e della solitudine, dei morti ammazzati, dei morti di strage, dei morti di disastri aerei. Sono stati tre a Palermo, per un totale di 297 morti. Non c’è un’altra città italiana che possa contare tutte queste croci, tutti questi silenzi.
“L’ultimo volo per Punta Raisi” è un formidabile rapporto sullo stato del silenzio a quarant’anni esatti da una strage ancora inspiegabile. La Giustizia ha cristallizzato una fragile e contorta verità, troppo rapida e poco credibile, sulla morte di 115 persone a bordo del DC8 Alitalia AZ 112 Roma Palermo che il 5 maggio del 1972, tra le 22,23 e le 22,24, si schiantò sul costone di Montagna Longa, a poco meno di otto chilometri dalle piste dell’aeroporto palermitano.
Una verità che non regge. A scardinarla il silenzio. Una volta complice della verità di stato, oggi, dopo quattro decenni, il silenzio parla. Si racconta attraverso il linguaggio dei segni e dei segnali, attraverso le tragedie collettive e il dolore privato dei siciliani e della Sicilia, di Palermo e della sua provincia negli anni ’70, un pezzo della nazione italiana nella piena disponibilità di “cosa nostra” che di volta in volta stringeva accordi con lo Stato o con quella negazione dello Stato che era il terrorismo fascista e stragista, individuava interessi comuni, operava con i metodi della criminalità ma con gli agi dei vicereami. Non è un caso che Gladio in Sicilia avrà ampi margini e l’isola fiorirà di campi paramilitari fascisti. La Sicilia palestra, come al solito, del nostro peggiore futuro. Il silenzio si racconta fragorosamente nell’urlo del territorio devastato, nell’offesa quotidiana della legalità, nello sfregio permanente della comunità. Non correlati delle tragedie, ma presupposti e anticipi.
Per ascoltare questo silenzio, per farlo parlare, servono antenne sensibilissime che solo alcuni siciliani hanno sviluppato. Forse per l’urgenza di smorfiare il silenzio dei morti, delle cose, della natura e degli uomini. Forse per la necessità di captare un segnale di rassicurante normalità al di là delle distanze siderali che ci separano dalle dinamiche certe del mondo. Francesco Terracina ha fatto parlare il silenzio, solo due minuti di silenzio radio, quelli tra la cabina dei piloti e lo scalo palermitano, due soli, insondabili, inaccettabili minuti di silenzio, tra le 22,23 e le 22,24 nel maggio del ’72. Poi lo schianto. Due minuti di silenzio che hanno capovolto, sicilianamente, le leggi che regolano il nostro universo, stravolgendo la logica e persino la fisica, facendo diventare ineluttabile ciò che non lo è, segnando il crisma della normalità su ciò che è abnorme, malato, incredibile. Persino in Sicilia, persino a Palermo dove tutto si tiene e si confonde: la verità e la bugia, il denaro e la collusione, la politica e la mafia, il pubblico servizio e l’incompetenza, la richiesta di verità e la sua negazione. Due minuti di silenzio che sembrano racchiudere il mistero di tutti i silenzi, quelli che hanno pilotato il nostro Paese lungo lo scartamento ridotto della democrazia, condannandoci a una irredimibile, tragica ambiguità.
Possiamo ancora accettare, in silenzio, la verità agli atti che la scatola nera del Dc 8 non ha registrato nulla del volo perché aveva il nastro strappato, ma continuava a segnalarne il funzionamento?
Possiamo ancora accettare, in silenzio, la verità agli atti che i pilotI non avessero visto la pista di Punta Raisi omettendo di avvisare la torre di controllo?
Possiamo ancora accettare che nessun magistrato né prima, né dopo il processo abbia chiesto i tracciati radar del centro di difesa aerea di Marsala ( per la strage di Ustica furono acquisiti, ma dopo otto anni dalla tragedia) per controllare la reale traettoria del Dc 8 in quei due minuti di silenzio? Possiamo ancora accettare che non furono mai autorizzate verifiche di tracce di esplosivo nonostante molti corpi e oggetti presentassero condizioni compatibili con un’esplosione? Possiamo ancora accettare il tetragono, inossidabile rifiuto di prendere in considerazione altre ipotesi sulle cause della tragedia di Montagna Longa, altre piste di indagine? Il silenzio, l’omertà, valore simbolico di una comunità arcaica e mafiosa esteso ad abbracciare le cose, i fatti, gli strumenti. Eppure le altre piste di indagine erano lì, nei segni, nei segnali, nell’oscuro presente di quegli anni.
Montagna Longa appare come l’epifania terrificante, ma nello stesso tempo logica e consequenziale, della saldatura tra contingenti interessi mafiosi e strategiche ambizioni neofasciste. Non solo per la qualità di alcuni passeggeri a bordo del Dc 8, non solo perché due giorni dopo si sarebbero svolte le elezioni politiche. Non è Terracina ad affermarlo, ma i fatti del silenzio e le certosine indagini di un poliziotto, Giuseppe Peri, che approda ad una verità così scomoda da segnarlo nella carriera e nella salute. Antenne sensibilissime che captarono la verità carsica di quegli anni che sino ad oggi ha trovato solo riscontri.
Ed è agghiacciante verificare come i morti per tragedia e per silenzio, in Sicilia, siano pietosamente composti da altri morti, morti che consolano morti, morti che indagano sui morti. Il generale Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre ’82, tenne a battesimo l’inchiesta sul disastro; il colonnello Giuseppe Russo, ucciso il 20 agosto del ’77, prese in carico la scatola nera inutilizzabile del Dc 8; il medico legale Paolo Giaccone, ucciso l’11 agosto dell’82, fece i rilievi autoptici sui corpi dei due piloti; il parlamentare comunista Pio La Torre, ucciso il 30 aprile dell’82, pronunciò a Montecitorio un durissimo intervento contro le conclusioni dell’indagine ministeriale sulla tragedia; Giovanni Spampinato, giornalista de “L’Ora”, ucciso il 27 ottobre dell’72, indagò sui rapporti tra mafia e terrorismo nero in Sicilia; il magistrato Cesare Terranova, ucciso il 25 settembre ’79, fu l’ultimo ad ascoltare il poliziotto Giuseppe Peri.
La fitta rete di morti diventa un sudario a coprire altri morti e a soffocare nei vivi ogni preghiera di giustizia e invocazione di verità. Sciolto il mistero di Montagna Longa dall’ultimo abbraccio del silenzio, a Palermo si tornerebbe a nascere con una normale anatomia antropologica. Bocca Compresa.
Giosuè Calaciura