All’interno dell’impegno dell’ANPI Palermo di recupero della nostra storia del grande movimento dei fasci siciliani dei lavoratori rimosso dalla memoria da un lungo periodo di terrore e dalla devastante emigrazione di massa che da lì a poco la seguì, pubblichiamo con grande interesse questo articolo apparso su Repubblica di Gabriello Montemagno.
Rosario Garibaldi Bosco, fondatore del Fascio dei Lavoratori, nel 1893 scriveva testi di teatro per spiegare agli operai la lotta di classe. E il prefetto riferiva tutto al ministro
IL DRAMMATURGO
DELLA RIVOLUZIONE
«Raccomandiamo tener dietro costantemente al Bosco Rosario Garibaldi, ragioniere, di anni 25, nato e domiciliato a Palermo, socialista marxista». In questi termini, fin dal marzo 1892, il Ministero dell’Interno scriveva al prefetto per tenere sotto stretta sorveglianza quel giovane ragioniere promotore di un movimento per il riscatto di contadini ed operai che versavano in condizioni di inumano sfruttamento, e dando luogo al più importante movimento socialista della storia siciliana.
Uno dei primi dispacci che il questore di Palermo invia al prefetto e questi al Ministero ci informa che il movimento si chiamerà “Fascio dei lavoratori”: «Mi reco a dovere di far tenere alla S.V. Ill.ma l’unito stampato-programma di tipografia clandestina, dal quale rilevasi che il vero titolo che si darebbe al nuovo sodalizio è “Fascio dei lavoratori di Palermo”. Non mancherò di tener dietro allo sviluppo della federazione di cui si tratta».
Il 20 maggio 1892 il prefetto, allarmato, telegrafa al ministero: «Presidenza Fascio operaio ha commissionato bandiera rossa per adoperarla all’arrivo dei soci del Fascio di Catania nell’incontrarli alla stazione ferroviaria. Prego dirmi se debba permettere che tale bandiera sia portata in pubblico». Il direttore generale del Ministero risponde con questo telegramma: «3224- 1103- 686- 1143- 232- 1058- 290- 442- 1106- 109- 751- 282- 714- 232- 317- 410- 177- 922- 486- 1331- 1274- 421- 925- 582- 545». Traduzione: «Bandiera rossa può essere tollerata in pubblico quando non abbia emblemi o motti sovversivi».
Intanto, il sodalizio è riuscito ad organizzare una propria sede, nel piano nobile di un palazzo al n. 97 di via Alloro. E un poliziotto riesce ad infiltrarsi e a riferire minuziosamente ogni cosa al questore, come questo sfogo di Garibaldi Bosco: «E’ veramente vergognoso, porco Iddio (sottolineato quattro volte dall’agente di polizia), che Palermo debba rimanere indifferente a tanti soprusi, mentre i contadini non hanno bisogno di eccitamenti per scuotere il giogo e mostrare i denti ai nemici !». Da questa considerazione l’idea di Garibaldi Bosco di dare agli operai palermitani un’istruzione socialista e di coscienza di classe. E per far questo decide, primo in assoluto nella storia del teatro politico europeo, di utilizzare il palcoscenico.
«Da qualche tempo – scrive il questore al prefetto il 10 gennaio 1893 – i soci più influenti del Fascio dei lavoratori manifestarono l’idea dell’utilità della costruzione nel locale dove ha sede il sodalizio, di un teatrino privato, allo scopo di darvi rappresentazioni istruttive; attori i soci più istruiti e aventi maggiore ascendenza sull’animo della classe operaia. Il teatrino si è costruito in questi giorni nella sala d’ingresso e già trovasi in condizioni di potere operare».
Il primo mese di attività del teatrino viene seguito dalla polizia con l’assiduità di uno scrupoloso cronista teatrale. E come per ogni “prima” di rilievo, il critico-poliziotto ci relaziona sia sulla vigilia che sull’esito della prima rappresentazione. «La conferenza tenuta la sera dell’8 andante (gennaio 1893) dal Bosco Garibaldi trattò principalmente il tema della necessità dell’istruzione socialista dell’operaio, indicendo la prima rappresentazione per le otto pomeridiane di domenica prossima; l’opera è “Uno sciopero inconsulto” scena socialista in due atti di Bosco Garibaldi. Il biglietto è a pagamento di centesimi 25 ciascuno, con diritto di poter portare ogni socio la propria famiglia. Alla fine della rappresentazione avrà luogo il sorteggio di un premio».
E due giorni dopo la rappresentazione, il questore, riservatamente, così relaziona al prefetto: «Domenica scorsa, 15, ebbe luogo nel teatrino del Fascio degli operai la indetta rappresentazione. Un operaio venne garbatamente messo fuori, sol perché mancante di una formalità, che diè luogo a sospettare vi si fosse recato per conto di chi mira alla demolizione del nuovo sodalizio. Vi fu concorso di molti operai e famiglie rispettive. Non si ebbe a lamentare alcun inconveniente. Domenica prossima, 22, si darà una seconda rappresentazione; altra commedia del Bosco Garibaldi: “Uno sciopero riuscito”, seguìto dal bozzetto sociale drammatico “Vendetta” di Di Stefano». E sempre, il lunedì successivo, il poliziotto faceva la cronaca della serata: «vi erano, tra donne e operai,circa duecento persone»; «non si verificò alcun incidente».
Intanto, il 20 gennaio, a Caltavuturo cadono sotto il fuoco delle forze dell’ordine i primi 13 contadini di quelle cento vittime che farà la repressione, prima ordinata da Giolitti e poi dal siciliano Crispi, nel corso del ’93 e nei primi giorni del ’94. Complessivamente cento morti e diverse centinaia di feriti fra gli inermi dimostranti delle affamate campagne e delle abbrutenti miniere, contro un solo morto fra le truppe dei soldati e dei carabinieri. Il 20 gennaio, dunque, giorno di San Sebastiano, contadini, artigiani, donne, ragazzi e vecchi di Caltavuturo, in corteo con canti e cornamuse, si erano recati ad occupare le terre demaniali, chiedendo l’applicazione della legge che ne disponeva la quotizzazione. Ritornati in paese, si erano radunati dinanzi al municipio: a questo punto “la forza” sbarrò le strade di uscita e fece fuoco sulla folla.
Alla notizia dell’eccidio il Fascio di Palermo convoca un’assemblea generale, nella quale, tra l’altro, apre una sottoscrizione nazionale e delibera una serata al teatro socialista. E il solito questore informa che «è indetta per la sera di giovedì prossimo, 2 febbraio, una rappresentazione nel teatrino del Fascio stesso, a totale beneficio dei feriti di Caltavuturo. Il biglietto di ingresso sarà di 50 centesimi. La rappresentazione “Caltavuturo”, monologo di Garibaldi Bosco e “Un chiodo nella serratura”». Il 3 febbraio il poliziotto consegna la sua “recensione”, che il questore trasmette al prefetto e questi al Ministero: «Il monologo scritto dal Bosco Garibaldi mette in scena una contadina alla quale è stato ucciso il marito negli avvenimenti di Caltavuturo. Dopo aver la contadina provato immensa gioia nel sentire che le terre comunali sarebbero divise tra i contadini, dopo che il suo Beppe le aveva detto che non sarebbero più vissuti sotto la sferza del padrone, un bel (sic) giorno ode un vocio nelle strade, e a tutta prima crede sia il popolo festante per la nuova Era, e invece?… La gioia cangiasi in spavento doloroso. Una scarica e poi un corri corri pei vicoli le rivelano il pericolo che poteva aver corso l’unico suo affetto e sostegno … il suo dubbio poco dopo è una crudele realtà! Beppe era morto! La contadina esasperata impreca al Governo e giura che il Beppe sarà vendicato; che la sua sete di vendetta si estinguerà il giorno non lontano in cui i tiranni ne dovranno rendere conto». Il critico-poliziotto si sforza di usare un linguaggio neutrale, ma tra le righe si nota una sua commossa partecipazione. Anche il poliziotto è un uomo.
Nell’epistolario del Gabinetto di Prefettura, le “cronache teatrali” continuano fino al marzo ’93. Con una lettera dell’ 8 febbraio il questore informa che: «Continuando la vigilanza sul Fascio dei lavoratori credo utile portare a conoscenza di V.S.Ill.ma che fra le produzioni che in questi giorni andranno in scena su quel Teatrino v’ha una farsa, autore certo Santoro. Col suo lavoro costui si propone dimostrare essere la fame quella che spinge al maleficio e che sia di ciò causa il Governo, il quale potrebbe porre rimedio a così grave piaga sociale se invece di sperperare i denari dei contribuenti al mantenimento della Polizia, li utilizzasse a dare lavoro ai disoccupati».
Di tutto l’epistolario riguardante i Fasci dei lavoratori, ho scelto l’aspetto della propaganda teatrale. Ma Rosario Garibaldi Bosco non era soltanto l’animatore di queste manifestazioni, era piuttosto la mente pensante e politica di tutto il movimento. E, come scrivevano i delegati di pubblica sicurezza, quando il Bosco si recava nei paesi della provincia «tutte le vie principali erano tappezzate di placard rossi con questa iscrizione a stampa: Benvenuti fratelli ed amici / Protettori di mille infelici! / Voi recate conforto al lavor / Dell’Italia voi siete l’amor!»
Ma per il governo centrale questo movimento popolare di carattere sindacale, che rivendicava soltanto nuovi patti agrari e più umane condizioni di lavoro, era portatore di un disegno eversivo e insurrezionale che avrebbe scardinato l’integrità territoriale del giovane Stato unitario. E da qui, com’è noto, lo stato d’assedio (4 gennaio ’94) e la feroce repressione affidata al generale Morra di Lavriano con 60 mila soldati. I Fasci furono sciolti e tutti i dirigenti furono arrestati, accusati “di eccitamento all’odio tra le classi” e di “rivolta armata contro le istituzioni dello Stato”. Nel maggio del ’94, i tribunali militari di Palermo e degli altri centri dell’Isola inflissero pene durissime ai dirigenti e a centinaia di contadini, artigiani, intellettuali. Bosco fu condannato a dodici anni di reclusione per “eccitamento alla guerra civile”.
Gabriello Montemagno
pubblicato su Repubblica/Palermo del 16 febbraio 2008