Un condono da cancellare
9 gennaio 2015
Non posso fare a meno di dedicare qualche parola ad un fatto grave che è accaduto (o si è scoperto) in questi giorni. Mi riferisco al decreto fiscale approvato dal Governo, nel quale è contenuta una norma secondo la quale coloro che evadono o frodano il fisco in misura inferiore al 3% del loro imponibile non sono più perseguibili penalmente e sono solo tenuti a risponderne in sede amministrativa fiscale. Una sorta di “condono” che, di per sé, io considero grave e ingiustificato, perché contrario a diverse norme costituzionali (art. 3, 53, ecc.) e soprattutto contrario alla morale pubblica e privata, se non altro perché trasmette un messaggio negativo; che, cioè, evadere il fisco o addirittura frodarlo non assume quella gravità che giustifica l’applicazione della legge penale.
In una fase delicatissima della vita nazionale, tuttora colpita da una crisi economica da cui non si riesce ad uscire, i cittadini sono tenuti a contribuire, sul piano fiscale, all’utilità pubblica, perché si possa ridurre il debito pubblico e fare operazioni di giustizia sociale e di carattere economico nell’interesse della collettività. È singolare il fatto che dagli exploit compiuti contro gli evasori pochi anni fa (ricordate le incursioni della Finanza a Venezia, a Cortina e in altre località?) e all’intensa pubblicità sulla verificabilità delle entrate (ad esempio con la rigorosa emissione degli scontrini fiscali) si è passati non all’inasprimento delle sanzioni, verso chi prosegue sulla linea dell’evasione, ma all’indebolimento del sistema, da un lato mettendo in discussione l’utilità degli scontrini fiscali e dall’altro con questa specie di “condono”, che è davvero grave in sé. Ma lo è ancora di più per il fatto che riguarda perfino i casi di frode, dimenticando che in un Paese civile frodare lo Stato è un fatto gravissimo, perché priva di risorse una collettività stremata e colpisce al cuore il principio di uguaglianza (tantissimi lavoratori pagano le imposte fino all’ultimo euro e non ci pensano neppure a frodare il fisco, mentre non possono materialmente sottrarsi a quelli che dovrebbero essere i doveri di ogni cittadino).
Ma la norma c’è; e non è vero che si tratta di una norma giusta, come scrive qualche giornale, o irrilevante, per varie ragioni: anzitutto perché non è vero che esclude la punibilità per qualche errore materiale, magari di poco conto (la frode è un atto volontario, è un imbroglio e quindi l’errore proprio non c’entra); in secondo luogo perché si tratterà di poca cosa per alcuni, che hanno un reddito minimo, ma non lo è più quando il reddito imponibile è elevato, perché allora anche il 3% rappresenta un valore comunque rilevante. Per fare un esempio (lo ricavo da quanto scrive un insospettabile quotidiano) Mediaset ha un imponibile di 410 milioni di euro, nel 2012 e dunque restare al di sotto del 3% significherebbe non essere considerati punibili per 4,9 milioni evasi (con frode) nel 2012 e 2,6 nel 2013. Dunque, per i titolari di un reddito consistente, il vantaggio non è dappoco, così come non è dappoco il danno subito dallo Stato.
Ci diranno che tutto questo serve a recuperare entrate, perché comunque il contribuente è tenuto a pagare le imposte evase e gli accessori; ma non si fa cassa violando principi costituzionali e soprattutto non lo si può fare giustificando un fatto grave come la frode, per la quale è (meritatamente) prevista la sanzione penale. La questione è dunque di carattere generale, tant’è che solo dall’interno del Governo sono emerse voci contrarie, anche vibratamente, quanto meno per ciò che attiene alla frode. Ma poi è stato facile accorgersi che questo provvedimento avrebbe favorito anche Berlusconi, consentendo perfino – secondo alcuni – l’inapplicabilità della legge Severino e secondo altri giustificando, in prosieguo, la concessione di una grazia tanto sospirata e tanto grave quanto – finora e giustamente – negata.
Un fatto grave, dunque, in generale e per gli aspetti “personali”, che potrebbe assumere. Un fatto tale da chiedersi come abbia potuto verificarsi. All’inizio, tutti ne hanno negato la paternità. Poi, se l’è assunta il Presidente del Consiglio, forse per non compromettere la delicata posizione del Ministro dell’Economia, in una fase in cui il suo nome circola fra quelli “papabili” per il Quirinale. Ma lo ha fatto in modo assai strano e, comunque, negativo. Se si commette un errore grave (tutti i giornali ne parlano) o si compie un tentativo di favorire personaggi o società potenti e, più in particolare, un politico noto, che si fa di solito quando la vicenda viene alla luce? Si corre ai ripari. Ma il Presidente del Consiglio lo fa prima a metà dicendo che il provvedimento sarà ripensato (che è cosa diversa dal dire che sarà modificato) e aggiunge che, però, lo si farà dopo l’elezione del Presidente della Repubblica.
Ma perché? Che collegamento c’è? Un sottosegretario all’Economia ha detto in questi giorni che basterebbe, con un piccolo tratto di penna, escludere almeno il caso di frode. Dunque una cosa semplice, per noi inappagante per tutte le ragioni già dette, ma semplice. E invece no. Sono stato invitato, di recente, da un lettore, a non pensare male: e volentieri lo farei. Ma l’attento lettore mi consentirà che si sta facendo di tutto per indurre il cittadino a pensare male: prima si fa una norma inqualificabile sotto il profilo fiscale, per l’evasione, ed a maggior ragione per la frode; e non si sa chi è stato e come ha potuto essere indotto in “errore” l’intero Governo (a che serve la collegialità, se possono accadere cose simili?); poi, quando il fatto diviene pubblico, non si fa quello che farebbe ognuno di noi, in casi consimili, cioè correre ai ripari subito, con chiarezza estrema, anche per eliminare alla radice ogni possibile errore o sospetto.
Ma c’è di più: nelle dichiarazioni più recenti il Presidente del Consiglio rinvia ogni decisione al 20 febbraio e per di più non chiarisce, anzi usa formule ambigue e preoccupanti (“si può cambiare e io non sono interessato”). Davvero difficile da capire perché mai non si voglia prendere una posizione netta e precisa su una vicenda così scottante. In queste condizioni, siamo costretti alla più attenta vigilanza; seguiremo la vicenda passo passo e non saremo tranquilli fino a quando ogni rischio di favorire i potenti (e fra questi quel personaggio pubblico a cui tutti hanno pensato) non sarà completamente sventato nell’unico modo possibile: una modifica dell’articolo “incriminato” chiara, netta, precisa, inequivocabile.
Per noi, bisognerebbe cancellare l’intero ”condono”; ma se proprio non lo si volesse fare, bisognerebbe – quanto meno – cancellare l’applicabilità del provvedimento alla ipotesi di frode e ridurre ulteriormente la percentuale (che sembra minima, ma non lo è) anche per i semplici evasori. A questa vigilanza invito tutti, in primis i parlamentari di buona fede e di sani sentimenti: si tratta di un decreto delegato e il Parlamento dovrà esprimere il suo parere, sia pure non vincolante. E lo faccia a piena voce e con chiarezza estrema, se vuole ancora godere di un minimo di fiducia da parte dei cittadini.
Ma l’invito alla vigilanza lo rivolgo anche alla società civile, che ha nel suo seno tante persone, magari silenti, ma democratiche, di buona fede e che ci tengono al perseguimento degli interessi pubblici e non di quelli privati. E lo rivolgo, infine, anche a tutta la mia Associazione, perché si impegni per chiarire, informare, reagire. Non è materia opinabile. Si tratta di un nostro dovere assoluto, di esercitare quella “coscienza critica” a cui ci ha richiamato il Congresso e di pretendere l’applicazione dei principi costituzionali che ho richiamato e che hanno un grande valore – sul piano penale – anche perché strettamente collegati a due temi fondamentali quali la moralità pubblica e la solidarietà.
Naturalmente, il mio invito alla riflessione ed alla vigilanza è rivolto anche a quelli – fra noi – che si dolgono quando siamo costretti a criticare operazioni per noi inaccettabili, da parte del Governo, del Parlamento oppure, in genere, della politica. Ritengo che su una questione del genere non ci possano essere distinzioni o posizioni diverse tra noi, se davvero siamo convinti del nostro ruolo e della necessità che lo svolgiamo appieno, nell’interesse del Paese.
Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi