La celebrazione del 70° a Montecitorio si chiude con “Bella ciao”
16 aprile 2015
Giovedì 16 aprile, aula di Palazzo Montecitorio: si canta “Bella ciao”. Non sono sconosciuti quelli che sul filo dell’emozione intonano l’inno più bello della Resistenza. Nell’emiciclo ci sono il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Senato, Pietro Grasso, la presidente della Camera, Laura Boldrini.
La cerimonia istituzionale per il 70° della Resistenza è appena finita.
Le più alte cariche dello Stato stanno salutando una affollatissima platea formata da partigiane e partigiani (una settantina) provenienti da varie regioni d’Italia, con i rappresentanti delle loro associazioni (c’è tutta la segreteria dell’Anpi e il presidente Carlo Smuraglia).
E naturalmente tantissimi parlamentari e qualche ministro.
“Bella ciao” si materializza spontanea a chiudere una celebrazione che sarà ricordata come una emozione.
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Alla celebrazione sono intervenuti oltre al presidente del Senato, Pietro Grasso e la presidente della Camera, Laura Boldrini, il presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, la storica Michela Ponzani, Marisa Cinciari Rodano, impegnata nella Resistenza romana e prima donna eletta vicepresidente della Camera, Michele Montàgano, presidente vicario dell’Associazione Reduci dalla prigionia, dall’internamento e dalla guerra di liberazione.
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Intervento del Presidente del Senato, Pietro Grasso, nell’Aula di Montecitorio, in occasione del 70° anniversario della Liberazione
Signor Presidente della Repubblica, Signora Presidente della Camera,
Onorevoli colleghi, Cari rappresentanti delle associazioni combattentistiche e partigiane, Cari ragazzi,
È con grande commozione che prendo parte alla celebrazione a Camere riunite del 70esimo anniversario della Liberazione dall’occupazione nazifascita. Desidero innanzitutto ringraziare gli autorevoli relatori che mi hanno preceduto, a partire da Michela Ponzani che ci ha aiutato a inquadrare sotto un profilo storico la complessità dei mesi che vanno dall’armistizio alla Liberazione e ricordato alcuni episodi dolorosi, ferite mai rimarginate, come la strage di Marzabotto o quella di Sant’Anna di Stazzema.
Il 25 aprile è, senza dubbio, una data dal profondo significato per il nostro Paese: in quel giorno di settanta anni fa terminava infatti una delle vicende più buie della nostra storia – la dittatura, la guerra, l’occupazione straniera – e iniziava una delle più luminose, il rifiuto di ogni tirannide, la nascita della nostra democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto.
Nel rievocare l’epopea della Resistenza non si deve cedere però alla tentazione di considerare il 25 aprile come uno stanco rituale ripetuto di anno in anno, né tanto meno ci si può limitare ad un mero esercizio retorico. È fondamentale andare al cuore di quella esperienza: celebrare la Liberazione significa, innanzitutto, interrogarci sul nostro presente, sulle sfide che si pongono davanti a noi come comunità nazionale, sulla nostra capacità di realizzare, tanto individualmente quanto collettivamente, i valori e le promesse che il movimento della Resistenza ci ha lasciato.
Permettetemi di ringraziare Marisa Rodano e Michele Montagano, due preziosi testimoni del nostro passato. Marisa scelse di diventare partigiana e fu protagonista di quei mesi: nel suo intervento ha messo in luce il fondamentale ruolo delle donne nel percorso che ci ha condotto alla liberazione, un apporto troppo spesso sottovalutato nella storiografia e nel dibattito pubblico. Mi ha colpito e commosso poi la forza dei “NO” di Michele e la dignità che ha saputo mantenere intatta nei lunghissimi e dolorosi mesi di prigionia.
Ai ragazzi che sono oggi qui in Aula voglio dire che, e lo potete constatare con i vostri occhi, la Resistenza è molto di più di un capitolo del vostro manuale di storia: è vita vissuta sulla pelle di persone semplici ma coraggiose come loro che, ancorché giovanissimi, scelsero di stare dalla parte giusta, a costo di pagare a caro, carissimo prezzo quella decisione.
Per meglio riflettere sul significato di questa giornata ho voluto rileggere alcune delle “lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”, un testo che ognuno di noi dovrebbe aver presente perché ci ricorda, con la semplicità e la chiarezza di cui è capace solo chi sceglie il proprio destino, quanto coraggio, quanta umiltà e quanto orgoglio sia servito per sfidare il nemico e affrontare, nell’ora più triste, la condanna a morte. In quelle pagine, così dense di emozioni, ho trovato il senso più profondo della loro scelta.
A Via Tasso, Sabato Martelli Castaldi incise sul muro della sua cella un ultimo messaggio prima di morire: “Quando il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora più vivo nel ricordo di chi resta – fa che possa essere sempre di esempio”. Achille Barilatti aveva 22 anni quando, poche ore prima di essere fucilato, scrisse a sua madre: “Muoio per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il sangue non si verserà invano e l’Italia sarà di nuovo grande. Viva l’Italia libera!”. Domenico Caporossi ne aveva solo 17, scrisse: “Vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra e una fede nel cuore”.
Con quel sorriso e il cuore colmo di speranza posero la libertà e la dignità umana come principi supremi dell’esistenza, mostrando di amare la loro patria sopra ogni altra cosa, sognando un’Italia migliore e battendosi per realizzarla. Il 25 aprile del 1945 fu dunque il risultato più felice dell’unione d’intenti di quelle donne e uomini, divisi da idee politiche e appartenenze divergenti eppure uniti da altissimi ideali comuni e animati da una medesima spinta morale. Da qualunque angolazione storica o critica si voglia guardare alla Resistenza non si può non riconoscere il segno distintivo di un’utopia alimentata da un profondissimo senso del dovere e dall’ambizione di non cedere, appunto di resistere, alla violenza e alla negazione della dignità umana.
Pochi mesi più tardi la fine del secondo conflitto mondiale, che ci restituì un Paese ferito e provato, i “padri costituenti”, pur venendo da tradizioni culturali diversissime e sostenendo idee politiche molto spesso antitetiche, riuscirono nel difficilissimo compito di scrivere le regole fondamentali della neonata Repubblica: erano avversari ma seppero unirsi nel comune obiettivo di definire “una formula di convivenza” in grado di dar vita a quel processo in continuo svolgimento che è proprio l’esercizio della democrazia. Lo storico Pietro Scoppola scrisse in un suo volume pubblicato proprio in occasione del 50′ anniversario della Liberazione che “se la democrazia non indica un ideale capace di coinvolgere i cittadini e di suscitarne il consenso, non esiste affatto”.
I costituenti furono capaci di vincere questa sfida, proprio a partire dal comune denominatore di quello “scatto di orgoglio” che aveva accomunato le varie anime della Resistenza: diedero vita ad un sistema di principi, di idee, di comportamenti, in grado di tendere alla realizzazione della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani. Sono profondamente d’accordo con il Professor Smuraglia quando ha detto che “la liberazione e la resistenza devono inserirsi a pieno titolo e per sempre nella coscienza civile del nostro Paese”. Bisogna ripartire da lì, oggi più che mai: è fondamentale celebrare il 25 aprile e rievocare le storie di chi ha combattuto per offrirci la possibilità di realizzare quelle promesse di libertà e uguaglianza.
Mi avvio alla conclusione prendendo a prestito le parole che padre David Maria Turoldo, partigiano e poeta, rivolse molti anni fa ad alcuni studenti in occasione del 40’esimo anniversario della Liberazione: “la Resistenza non è finita; è stata frutto di pochi precursori, che avevano seminato durante il ventennio, ma è stata anche una più vasta semente per l’avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci”.
La cronaca di questi anni, gli scandali della corruzione, la crisi economica che ha attanagliato il Paese e che ancora morde le fasce più deboli della nostra società, hanno innegabilmente alimentato e diffuso una sensazione di scoramento e rinuncia, di allontanamento da quelle Istituzioni repubblicane nate sul sangue e sul sacrificio di tante e tanti partigiani.
Se vogliamo poter guardare negli occhi Marisa e Michele senza dover abbassare lo sguardo, queste stesse istituzioni le dobbiamo amare e difendere, dobbiamo unirci, farci forza a vicenda, recuperare quel sentimento di solidarietà e speranza che ha animato i partigiani, e, “col sorriso sulle labbra e una fede nel cuore” lavorare, ciascuno per il proprio ruolo e con le proprie responsabilità, a migliorare questo nostro grande Paese.
W la resistenza! W l’Italia.
https://www.senato.it/4171?atto_presidente=310
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Intervento della presidente della Camera, Laura Boldrini.
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, deputati e senatori, autorità, gentili ospiti, amici partigiani. È la prima volta che in un’aula parlamentare, vale a dire nel cuore della democrazia, là dove è rappresentata la sovranità popolare, la liberazione dell’Italia dal nazifascismo viene ricordata con la partecipazione diretta sui banchi, di coloro che vissero sulla propria pelle quell’esperienza, mettendo in gioco la loro vita, gli affetti e le speranze della loro gioventù. E lo facciamo qui oggi, nell’Aula di Montecitorio, nell’anno in cui ricorre il 70° anniversario della liberazione che coincide anche con il 70° anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz che abbiamo ricordato sempre qui lo scorso 27 gennaio.
Il senso di questa iniziativa si ritrova in alcune parole che solo poco tempo fa hanno risuonato in quest’aula, quando il Presidente della Repubblica , Sergio Mattarella, ha affermato, nel suo discorso di insediamento, che “garantire la Costituzione significa ricordare la Resistenza e il sacrificio dei tanti che settant’anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo”.
La Costituzione repubblicana, che ha consentito al popolo italiano di ritrovare nel Parlamento il presidio dell’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali, è figlia della Resistenza antifascista.
Ed è per questo che oggi il nostro pensiero commosso va a coloro, per lo più giovani e giovanissimi, che per dare alle generazioni future il dono della libertà sono stati uccisi, torturati, reclusi tra mille sofferenze e umiliazione.
Ed oltre a questa commozione proviamo anche, lo voglio esprimere apertamente, il sentimento di profonda gratitudine nei confronti di voi che siete qui, donne e uomini della Resistenza, non soltanto per quel che avete fatto nella lotta al nazifascismo, ma anche per l’impegno che ha occupato tutta la vostra esistenza a tener vivi il ricordo e gli ideali che hanno animato quella grande battaglia per la democrazia.
Oggi voi partigiani e partigiane siete qui in questa Aula non come ospiti ma come padroni di casa.
E se quegli ideali sono ancora ben vivi nella coscienza del nostro paese, lo dobbiamo dunque innanzitutto al vostro impegno e poi alle particolari caratteristiche che ha avuto la Resistenza italiana. Essa è stata, al pari del Risorgimento, un vero moto nazionale, un’esperienza collettiva condivisa in amplissimi strati della società. Essa fu infatti un fenomeno intergenerazionale, interclassista ed interregionale, contrassegnato dal pluralismo politico.
Ed ha visto il contributo attivo, in tante forme diverse, delle donne che nella spinta generale verso la libertà hanno intravisto anche l’occasione per la propria emancipazione da quella cultura opprimente che le riduceva unicamente a “madri e spose”, che le escludeva dal lavoro, dalla società e dalla politica.
Fu intergenerazionale perché la scelta partigiana non conobbe limiti di età ed anzi favorì il libero confronto tra le diverse fasce anagrafiche.
Fu interclassista perché studenti e professori, medici ed avvocati, si unirono ad operai, contadini ed artigiani, come è facile riscontrare nelle liste di appartenenza delle diverse brigate. Le macerie della guerra avevano del resto avvicinato moltissimo i gradini della gerarchia sociale.
Fu interregionale, benché naturalmente assai diversamente vissuta tra il Centro-Nord ed il Sud della penisola, perché molti, moltissimi furono i meridionali che combatterono lontano dalle loro case, non solo nella componente derivante dal discioltosi esercito nazionale, ma anche, ad esempio, nella risalita della gloriosa Brigata Maiella che si distinse nella liberazione di Bologna.
Il pluralismo politico ha caratterizzato profondamente la lotta al nazifascismo, facendo schierare dalla stessa parte comunisti, socialisti, cattolici, liberali, democratici, repubblicani, azionisti, monarchici.
Questo pluralismo si è rispecchiato poi nell’organizzazione delle associazioni partigiane nate per tramandare la memoria della Resistenza, molti dei cui dirigenti sono stati protagonisti della vita parlamentare.
Per gli italiani, la lotta al nazifascismo ha rappresentato una delle rare occasioni in cui le scelte di vita individuali si sono veramente identificate, nel profondo delle coscienze, con il destino collettivo della nazione.
Penso che il modo più semplice ed illuminante per cogliere lo spirito della Resistenza è leggere le lettere dei condannati a morte, un documento esemplare che ieri come oggi può parlare al cuore ed alla mente dei giovani che vi ritroverebbero soprattutto le voci di loro coetanei.
Come l’elettricista diciassettenne Domenico Caporossi per cui morire da partigiano voleva dire avere il sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore, oppure come lo studente diciottenne Giordano Cavestro che si diceva certo che la sua giovinezza spezzata sarebbe servita di esempio: “Sui nostri corpi si farà grande il faro della Libertà”.
Non una parola di recriminazione, non un cenno di sottomissione, bensì il coraggio della scelta compiuta, la fiducia nel futuro, la certezza di non avere sprecato la propria vita per un capriccio della storia.
Eroi. Eroi che oggi abbracciamo in quest’aula simbolicamente a nome di tutto il popolo italiano, come suoi rappresentanti democraticamente eletti, in un profondo atto di coscienza individuale e collettiva perché siano sempre attuali i versi di Italo Calvino che “oltre il ponte” intravvedeva “l’avvenire di un giorno più umano e più giusto, più libero e lieto”.
Noi, che apparteniamo a generazioni nate dopo gli eventi che oggi celebriamo, abbiamo un dovere nei confronti di chi, tanti anni fa, a costo di estremi sacrifici, ci ha fatto il dono della libertà. Ed è il dovere non soltanto di ricordare, ma di fare in modo che quelle speranze non vengano deluse, che quelle conquiste non vengano compromesse.
La democrazia non è un regalo che si ottiene una volta per tutte. Sappiamo, e ce lo dice l’esperienza di questi settant’anni, che viene continuamente minacciata e messa in discussione.
Oggi sono ad esempio anche le conseguenze sociali della crisi economica a rappresentare una minaccia per la tenuta dei valori e dei diritti che i Padri costituenti hanno posto a fondamento della nostra Costituzione.
Per essere solido un sistema democratico deve saper dare risposte alle sofferenze della popolazione il che significa, nell’Italia di oggi, dare lavoro ai giovani, aiutare i pensionati, sostenere gli artigiani e i piccoli imprenditori piegati dalla crisi. Significa, in poche parole, come ci invita a fare l’articolo 3 della Costituzione, ridurre le diseguaglianze e rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione della persona.
È questo il messaggio che oggi vogliamo risuoni dall’aula di Montecitorio, che vede insieme le più alte cariche dello Stato, deputati e senatori, giovani studenti, attorno agli uomini e alle donne che hanno combattuto per la nostra libertà, ai militari che non si piegarono ai nazifascisti e che per questa loro scelta di dignità nazionale finirono nei campi di concentramento e di sterminio.
A tutti voi va la gratitudine delle istituzioni repubblicane. A noi spetta onorare il dovere della memoria e dell’impegno per fare dell’Italia un paese sempre più democratico e più giusto.
http://presidente.camera.it/5?evento=756&intervento=756
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Intervento del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.
Rivolgo, a nome di tutta l’Associazione che presiedo, un saluto e un ringraziamento ai Presidenti delle due Camere per aver organizzato questa importante seduta e al Presidente della Repubblica per aver assicurato la sua autorevole presenza; è un segno importante che danno le istituzioni, rispondendo all’incitamento di un grande storico che ci ha ricordato in un suo libro, che ogni Paese civile deve essere orgoglioso della memoria delle sue pagine più belle e su questa memoria, se non condivisa, almeno collettiva, deve organizzare le sue solennità, i suoi monumenti, gli insegnamenti nelle scuole. Parlare di Resistenza e di liberazione, in occasione del 70° anniversario, è un segno di vitalità della Repubblica, che così spiega a tutti i cittadini che non ci sono negazionismi e revisionismi che reggano a fronte della straordinarietà di una fase della vita nazionale che ha visto uniti, nella lotta, nel combattimento, ma anche in altre mille forme non armate, la parte migliore e più viva del popolo italiano.
Ringrazio anche i parlamentari presenti e rivolgo un saluto particolare ai partigiani, ai combattenti per la libertà che sono qui con noi, in quest’aula solenne, oggi, per ricordare anche visivamente la Liberazione del Paese. Parlo di un saluto particolare perché forse non è immaginabile, quante cose ci legano, noi che ci siamo stati, sentendoci fratelli, amici, come nella Resistenza, con un unico obiettivo, la libertà e la democrazia. Io giro molto per l’Italia e dovunque io incontri partigiani e combattenti per la libertà, ormai avanti negli anni, ma indomiti, è come rinnovare un sentimento che ci ha uniti, tanti anni fa, anche in abiti diversi, con le armi e senza armi. Non è questione di reducismo, così come non è questione di fratellanza fra ex partigiani; sarebbe lo stesso incontrando un sopravvissuto di Cefalonia o un sopravvissuto alle schiavizzazioni degli IMI. È questione di sentimenti e di valori. Il punto fondamentale è ricordare e spiegare che cosa è stata davvero la Resistenza: un grandioso e collettivo impegno di riscatto del Paese, dopo più di vent’anni di dittatura.
Forse è questo uno dei nostri torti; quello di non aver saputo trasmettere non tanto la storia, o la memoria degli accadimenti, ma i sentimenti di allora: il culto della libertà, l’amore per la democrazia, da molti incontrata per la prima volta ed affrontata quasi come un esperimento nuovo, ricco di incognite, ma anche pieno di fascino; un esperimento che ha trovato il suo culmine nelle Repubbliche partigiane, primo esempio, coraggioso e consapevole, talora perfino magnificamente utopistico, di democrazia. Sono questi sentimenti che hanno animato la Resistenza. È da questi sentimenti, che ha potuto nascere la Costituzione, questo incredibile miracolo che attorno al concetto di persona e di dignità, ha saputo costruire, col contributo di tutti, un documento destinato a resistere negli anni ed a guidarci soprattutto nelle ore tristi e difficili del nostro Paese.
Noi ricordiamo oggi, nell’anniversario della Liberazione, i tanti che hanno perduto la vita nelle montagne, nelle città, nei campi di sterminio; le migliaia di internati militari che rifiutarono l’adesione al Reich, e pagarono duramente; i militari di Cefalonia, che rifiutarono di arrendersi ai tedeschi, pagando con la morte; i civili vittime delle stragi nazifasciste; i contadini e le contadine che hanno dato riparo a partigiani, a militari, a prigionieri in fuga; i sacerdoti caduti per difendere dalla barbarie i loro parrocchiani; i tanti antifascisti che avevano già pagato con la prigione e il confino e si unirono alla Resistenza; le donne che hanno fatto irruzione per la prima volta nella storia d’Italia, in massa e in mille modi diversi, anche al di là della lotta armata, con le amorevoli cure per tutti e illuminando col loro sorriso e la loro forza d’animo, anche i momenti più duri; ricordiamo infine il milione e mezzo di lavoratori che scesero in sciopero nel 1943 e ’44 quando ciò costava la detenzione, la deportazione e in molti casi la morte. Ma li ricordiamo non come cittadini, per dirla con lo storico De Luna, di una “Repubblica del dolore”, ma per esaltare le scelte che fecero, il coraggio e la determinazione che li animarono e soprattutto per i sogni, le attese e le speranze che la brutalità del nemico ha spezzato, distruggendo le loro vite.
Ricordiamo per capire il presente e per affrontare il futuro; ricordiamo perché le future generazioni trovino nelle scelte di allora, la forza e il coraggio della partecipazione che è, in definitiva, il vero sale della democrazia.
Questo è il senso ed il valore di questa giornata, che giustamente non deve essere di celebrazione retorica, ma di ricordo, di memoria e di conoscenza e riflessione al tempo stesso. Con la speranza che il nostro Paese, oggi un po’ smarrito tra tante drammatiche vicende nazionali ed internazionali, ritrovi la sua strada proprio sulla base della memoria e di quei valori per i quali abbiamo combattuto e che oggi, più che mai, si rivelano fondamentali per assicurare ai nostri giovani un futuro migliore. E soprattutto con l’auspicio che la liberazione e la Resistenza non restino il ricordo e la riflessione di un giorno, ma si inseriscano a pieno titolo e per sempre nella storia e nella coscienza civile del nostro Paese, costituendo così un baluardo della Nazione, dello Stato e dei cittadini contro ogni pericolo e contribuendo ad irrobustire sempre di più la nostra democrazia. Quella democrazia che è essenziale, per la nostra vita e per la convivenza civile, come l’aria che respiriamo, illuminata dal profumo della libertà, dell’uguaglianza e della dignità della persona.