Interessante contributo al dibattito congressuale dell’ANPI di Fausto Clemente Presidente della sezione ANPI di Termini Imerese af
L’incontro di oggi precede il Congresso provinciale e va considerato come un contributo sui temi che saranno oggetto di approfondimento e di dibattito al 16° Congresso Nazionale dell’ANPI, previsto a Rimini nel maggio prossimo.
E’ dunque naturale che le riflessioni odierne seguano la traccia del Documento politico-programmatico (DPP) della Direzione nazionale (“Con i valori della resistenza e della Costituzione, verso un futuro democratico e antifascista”), nella cui premessa viene sottolineata la continuità delle prospettive dell’immediato futuro con le iniziative e le strategie messe in atto dall’Associazione negli ultimi cinque anni. E’ vero tuttavia che, proprio negli ultimi anni, in Italia, in Europa e nel Mondo si sono succeduti eventi e si sono avviati o accentuati mutamenti sociali e politici che richiedono rinnovati strumenti di comprensione e di chiarificazione; ad essi deve seguire un rinnovato impegno, per tradurre in azioni coerenti ed efficaci il richiamo inderogabile ai valori della Resistenza e della Costituzione Repubblicana.
Il quadro internazionale e quello italiano nel Documento della Direzione Nazionale. Il quadro della situazione internazionale illustrata nel DPP è necessariamente sintetica ma costituisce lo sfondo nel quale collocare l’analisi della situazione italiana. Ne riportiamo rapidamente alcuni punti chiave:
- La congiuntura mondiale, caratterizzata da contrasti e conflitti che intersecano la crisi economica, i fondamentalismi religiosi, il ruolo sempre più marginale degli organismi internazionali, l’incapacità dell’Europa e delle grandi potenze di convenire su una strategia di intervento.
- La minaccia del terrorismo dell’ISIS, le sue ricadute sulle scelte politiche dei paesi europei e sulla improvvisa percezione di disorientamento e insicurezza indotto nelle società e negli individui.
- L’avanzata in Europa di partiti e aggregazioni politiche che si richiamano esplicitamente a ideologie autoritarie o chiaramente nazifasciste.
- L’evento epocale della migrazione di milioni di uomini, donne, bambini dall’Africa e dal Medio Oriente, in fuga dal terrore, dai lutti e dalle distruzioni degli innumerevoli conflitti (che ignorano ormai i più elementari principi delle convenzioni internazionali) con la speranza di potere trovare in Europa salvezza, dignità, lavoro.
Quanto al quadro italiano, vengono messi in evidenza gli interventi di riforma dell’assetto costituzionale del Governo Renzi, rispetto ai quali l’ANPI ha assunto una posizione fortemente critica, ritenendo che riducano gli spazi di democrazia e configurino uno squilibrio tra i poteri dello Stato. In dettaglio:
- La riforma dell’architettura costituzionale del Parlamento, con la modifica del bicameralismo perfetto che prevede l’abolizione dell’attuale Senato elettivo e la sua sostituzione con Senato delle Regioni. L’ANPI ha ufficializzato la sua posizione contraria alla riforma per i rischi di squilibrio tra i poteri del Parlamento e quelli dell’esecutivo
- La legge 52/2015, meglio conosciuta come Italicum, che disciplina l’elezione della sola Camera dei deputati e prevede un sistema proporzionale a doppio turno con un forte premio di maggioranza che ridurrebbe ulteriormente la funzione e il ruolo delle opposizioni.
Il ruolo, i compiti e l’impegno dell’ANPI.
La prima responsabilità dell’Associazione, conforme alla sua ispirazione originaria e alla sua tradizione, è e rimane quello della Memoria: memoria della Resistenza, ovvero di fatti, di situazioni, di uomini e donne a cui il Paese deve la sua Libertà e la sua Rinascita dopo l’umiliazione della dittatura fascista e i disastri di una guerra terribile, inutile e ingiusta. B. Brecht scrisse che è “sciagurata la terra che ha bisogno d’eroi”. Si potrebbe riformulare la frase dicendo che i veri eroi non si considerarono mai tali e lo furono, loro malgrado, per necessità interiore, fatta di rispetto di se stessi, di dignità e di amore per la Patria. La memoria della Resistenza non ha quindi bisogno né di enfasi né di mitizzazioni, perché la verità storica non ha nulla a che fare con la mitologia: ma è questa verità che dà consistenza alla comprensione dei fatti e che non consente quella retorica che, ricordiamolo, pur facendo parte del costume italico, è stata soprattutto fascista. Andando nelle scuole, abbiamo sperimentato la forza persuasiva della documentazione visiva e grafica: avvicinare attraverso documenti e testimonianze i protagonisti della Resistenza, scoprire il loro profilo umano, comprendere il peso psicologico di scelte difficili e spesso fatali, è molto più efficace sul piano emotivo e psicologico di quanto non sia qualunque enfasi. Questo almeno è quanto abbiamo constatato negli studenti di ogni ordine e grado, coinvolti nella ricostruzione della microstoria delle loro famiglie o dei contesti di provenienza e messi a confronto (cosa sempre più rara) col racconto di esperienze semplici o drammatiche vissute da nonni, prozii, vicini di casa, sottratti con semplicità all’oblio. I loro volti, rintracciati su foto sbiadite o su documenti (fogli di congedo, tessere annonarie, lettere dai fronti della guerra…) di 80-70 anni or sono, restano impressi nella memoria e nella coscienza dei ragazzi più di qualsiasi nozione appresa sui libri.
La Resistenza è prima di tutto un fenomeno morale e civile, e solo secondariamente (per necessità) un fenomeno militare e politico.
Nel DPP viene sottolineato che la Resistenza non fu soltanto quella armata. Si tratta di un passaggio di grande importanza: di fatto ci fu anche una Resistenza le cui armi furono cultura, idee, valori, convinzioni, di persone provenienti da matrici ideologiche differenti, declinati diversamente dalle varie sigle dei movimenti e dei partiti antifascisti, ma fondamentali per mantenere viva la speranza del ripristino delle istituzioni rappresentative e, dopo il crollo del fascismo, per affrontare l’immensa opera della ricostruzione civile, sociale e politica del Paese. Accanto ai caduti, ai mutilati, ai deportati della lotta armata, ci furono i Matteotti, i Turati, i Gobetti, gli Amendola, gli Sturzo, i Rosselli, i Gramsci gli Spinelli e tutti i perseguitati, incarcerati e confinati dal regime. Le loro vite e le loro scelte, insieme a quelle dei partigiani, dei patrioti, dei militari internati, delle donne dei GDD, costituiscono il fondamento della Nuova Italia e della Costituzione repubblicana.
I Siciliani e la Resistenza.
All’interno dei percorsi della memoria, l’ANPI siciliana già da tempo ha concentrato i suoi sforzi nella ricerca testimoniale e documentaria della partecipazione dei Siciliani alla guerra di Liberazione. Un risultato significativo che trova eco nel Documento nazionale, laddove si ribadisce “…che non esiste solo una “Resistenza del Nord”, perché si tratta di un fenomeno nazionale, cui ha partecipato attivamente il Mezzogiorno”. La ricerca è avviata, ma certo non conclusa: gli interventi nelle scuole, i contatti frequenti tra sezioni Anpi della Sicilia e delle altre regioni, soprattutto del Centro-Nord, il contributo di studiosi, aggiungono spesso nuove storie e nuovi nomi all’elenco dei partigiani e dei patrioti della nostra Isola, caduti, giustiziati o deportati dai nazifascisti. Non si tratta di accrescere le cifre e di allungare gli elenchi, ma di ritrovare nella storia travagliata di questa terra la presenza di chi si è sottratto all’opportunismo, al fatalismo e all’indifferenza che troppo spesso sono stati i caratteri identificativi della Sicilia e del Meridione.
Un ultimo accenno sulla difesa della memoria. Di recente qualche esponente della cultura accademica siciliana ha apertamente sostenuto tesi contrastanti con la mole di documenti e testimonianze storiche di pubblico e consolidato valore. Sappiamo che la ricerca storica è selettiva e che i suoi risultati si inquadrano in schemi interpretativi che possono dar luogo a conclusioni differenti: nessuno schema tuttavia può cancellare l’evidenza dei fatti. Il riferimento non è casuale, visto che, oltre a ridimensionare la portata della partecipazione dei Siciliani alla Resistenza, si è giunti ad affermazioni sconcertanti sulla figura del termitano Girolamo Li Causi. E’ anche per questo, che oggi, alla presenza degli iscritti e degli ospiti, propongo di ratificare in via definitiva l’intitolazione della sezione ANPI di Termini Imerese a Momo Li Causi, partigiano, membro del CLN e deputato all’Assemblea Costituente. A lui, su proposta dell’ANPI, lo scorso 25 aprile è stata intitolata la piazza che oggi porta il suo nome, nel solco di un impegno che ha visto la modifica della toponomastica cittadina nel segno della memoria dei padri della Costituzione e dei combattenti per la Libertà. Auspichiamo che, continuando nella collaborazione avviata, l’Amministrazione comunale affretti la cancellazione di nomi e memorie di personaggi ambigui o dichiaratamente schierati col regime fascista che ancora compaiono sulle insegne di alcune strade.
La difesa della Costituzione e della sua attuazione. Si è già detto che il DPP esprime forti riserve sulla modifica della Costituzione e sulla Legge elettorale. Nel referendum confermativo previsto per il prossimo autunno la posizione ufficiale dell’ANPI è per il NO. In questa sede è opportuno ricordare che i fronti dell’impegno referendario sono e saranno probabilmente molteplici, a cominciare dal referendum abrogativo del prossimo 17 aprile sul prolungamento delle concessioni per la trivellazione nelle acque territoriali entro 12 Km. dalla costa. L’ANPI di Termini Imerese ha aderito al Comitato promotore del SI, considerando irrinunciabile non solo la difesa dell’ambiente marino, ma esprimendo con questo il rifiuto di una politica energetica che insiste nella ricerca e nello sfruttamento delle risorse fossili, piuttosto che investire nelle fonti di energie rinnovabili. Dobbiamo constatare con sgomento che in questo, come su altre tematiche fondamentali che riguardano la qualità della vita e il diritto di scelta dei cittadini, la stampa e soprattutto le TV nazionali, pubbliche e private, hanno steso finora uno scandaloso silenzio. Vigiliamo con la medesima attenzione sulla questione dell’impianto e della dislocazione dell’inceneritore di Termini, che pensiamo vada inquadrata in una visione più ampia della riqualificazione del territorio e delle sue risorse: a Termini, come per la maggior parte degli insediamenti costieri dell’Isola, le scelte strategiche hanno avuto una singolare caratteristica, di essere totalmente svincolate da qualunque considerazione elementare sull’impatto ambientale e di rispondere a valutazioni che, nella migliore delle ipotesi, sono state miopi e di corto respiro. Ci ritroviamo così con un territorio inviluppato in una rete di tralicci e di cavi ad alta tensione, con una centrale elettrica che ha inquinato per decenni l’aria e i terreni, e con una costa occupata da una serie di edifici destinati ad un’area industriale ormai squallida e degradata. Nell’inseguimento di un fantasmatico destino industriale sono state sperperate e spesso irrimediabilmente compromesse le risorse naturali, storiche e culturali dell’antica Himera e di quella che poteva essere una moderna economia basata su ciò che già c’era e aspettava soltanto di essere compreso e valorizzato: natura, tradizioni, luoghi, memorie, specificità agroalimentari e via di seguito.
L’impegno su questo versante della Sezione ANPI di Termini non vuole essere episodico ma nasce dalla convinzione che la difesa dell’ambiente è, come quella del patrimonio storico e artistico del territorio, un dovere civile e una irrinunciabile battaglia culturale fondata sull’art. 9 della Costituzione. Dispiace perciò che il Documento dell’ANPI nazionale, per quanto ampio di aspetti e considerazioni, trascuri il legame tra tutela dell’ambiente e valori di cittadinanza. Siamo convinti al contrario che :
- le implicazioni del degrado ambientale,con i conseguenti cambiamenti climatici, debbano stare al centro delle preoccupazioni dei governi di tutte le nazioni;
- che le dimensioni globali del problema non escludono, ma richiedono con urgenza provvedimenti da parte delle Regioni e delle amministrazioni locali;
- che le strategie di salvaguardia del territorio implichino nuove prospettive economiche e di lavoro, e costituiscano uno dei rimedi per recuperare il rapporto tra singoli cittadini e tutela del bene comune.
Si tratta inoltre di un problema che coinvolge più direttamente le nuove generazioni e che la scuola ha il dovere di inserire tra i capisaldi della sua funzione informativa e formativa. Il fatto che nel nostro territorio stenti a decollare la raccolta differenziata, che non si sia mai portato a soluzione lo smaltimento dei rifiuti, che non esistano incentivi e facilitazioni anche fiscali per la riduzione dei consumi e la riutilizzazione dei materiali riciclabili, non è solo un segno inquietante dell’assenza di una diffusa sensibilità ambientale, ma anche una precisa responsabilità politica, che ipoteca un futuro già incerto per la crisi economica, le disfunzioni strutturali dell’economia isolana, la dispersione delle risorse finanziarie e, non ultima, la presenza della mafia nel tessuto sociale e produttivo della Regione.
A questo proposito, sull’esempio di chi, tornato in Sicilia al termine della guerra, trasformò l’esperienza della lotta antifascista nella Resistenza contro la prepotenza, l’arretratezza e la violenza della mafia e dei suoi complici più o meno occulti, non possiamo dimenticare la priorità del sostegno che l’ANPI deve fornire a qualunque iniziativa che si opponga al peso e ai condizionamenti della criminalità organizzata sulla libertà e sulla dignità dei siciliani. Ancora una volta la battaglia è fatta di vigilanza e di denuncia, ma anche di lotta quotidiana contro ogni manifestazione di illegalità e di costume e mentalità mafiosa.
La scuola pubblica dovrebbe trovarsi in prima linea nel richiedere che tanto nei percorsi didattici, quanto nella gestione dei rapporti interpersonali e nelle modalità di organizzazione interna non ci sia spazio per ambiguità o prevaricazioni e si rifiuti senza concessioni ogni manifestazione di una malintesa “sicilianità”, che ancora purtroppo persiste nel costume e nelle convinzioni di parte della nostra gente.
Colgo l’occasione per informare i presenti che, mercoledì scorso ho inviato al dirigente di una scuola del territorio l’invito a modificare con urgenza l’intitolazione di un plesso scolastico a un personaggio il cui nome ricorre negli atti della commissione antimafia. La stessa missiva è stata inviata per conoscenza alle autorità competenti e alle associazioni che lottano contro la mafia.
La scuola
La difesa della Costituzione si fa anzitutto attraverso la formazione civile e politica delle nuove generazioni, di cui sono responsabili in prima fila tutti gli operatori della Scuola: dirigenti, docenti, senza escludere il personale amministrativo e ausiliario. L’intervento dell’ANPI nelle scuole, autorizzato dal protocollo d’intesa tra l’Associazione e il MIUR, costituisce un’occasione preziosa per richiamare i fondamenti storici e morali della Repubblica, ma anche per aprire un discorso sulla Costituzione e sui diritti e doveri di una cittadinanza responsabile e partecipativa. Dico aprire, e non continuare o approfondire: con rammarico infatti si deve constatare che, tranne rare e lodevoli eccezioni, la prassi didattica sembra ignorare la lettura e lo studio del testo Costituzionale e spende più tempo sulle rivoluzioni del XVIII-XIX secolo che sulla conoscenza e sulla discussione intorno ai fondamenti culturali, giuridici e storici della Repubblica nata dalla Resistenza. Tutto questo malgrado la Legge 169/2008, mai abrogata, preveda l’istituzione di una nuova disciplina chiamata “Cittadinanza e Costituzione”, il cui insegnamento viene collocato nelle aree storico-geografica e storico-sociale delle scuole di ogni ordine e grado. La sorte di quella che una volta veniva chiamata Educazione Civica è del resto un apologo della capacità tutta italiana di fare splendide leggi e di interpretarle solo come buoni consigli, che ciascuno è libero di seguire o meno. Merita perciò una citazione letterale il testo Il decreto ministeriale 9.2.1979 del ministro Mario Pedini, che non ha bisogno di commento: (L’Ed. civica) “…ha come oggetto di apprendimento le regole fondamentali della convivenza civile, come risultati di un processo storico pervenuto a formulazioni giuridiche positive e come presupposto per ulteriori sviluppi. … Il nucleo fondamentale di tali contenuti è dato dal testo della Costituzione italiana…un grande campo di raccordo culturale, interdisciplinare, che ha anche suoi contenuti specifici…” . Un accenno soltanto alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 Dicembre 2006, in cui le competenze sociali e di cittadinanza sono considerate indispensabili nella prospettiva dell’apprendimento permanente. Su queste premesse riteniamo che l’ANPI debba vigilare a tutti i livelli, intitolandosi la richiesta perentoria (al Ministero e alle singole istituzioni scolastiche) che la Storia dell’Italia repubblicana e i contenuti della sua Costituzione acquistino un ruolo centrale nella programmazione didattica e nelle preoccupazioni pedagogiche dei docenti. Senza questa correzione di rotta le nuove generazioni ignoreranno, ancora più di quelle odierne, i fondamenti dello stato di diritto: si può difendere infatti quello che sta a cuore e certamente non si può farlo con ciò che non si conosce.
La difesa della laicità dello Stato e delle sue Istituzioni.
Passa per la scuola anche la difesa della laicità dello Stato e del pluralismo delle opzioni culturali, religiose, ideologiche. Come ha scritto Eugenio Scalfari, la democrazia è relativistica, non assolutistica, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a accezione di quelli sui quali essa stessa si basa: il rispetto dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani e il rispetto dei diritti civili e politici che ne conseguono. “Democrazia e difesa di verità assolute, democrazia e dogmi, sono incompatibili” La laicità della scuola pubblica non è quindi affidata alla valutazione dei presidi o dei docenti, ma è un valore costituzionalmente garantito: non si basa sulla presenza o meno di maggioranze di aderenti a questo o quel credo religioso: rispetta tutte le fedi, ma non ne fa propria nessuna. La libertà, infatti, non si può confondere con la verità, e soprattutto non può essere senza tempo e senza luogo. Su questo chiediamo che l’ANPI spenda il suo prestigio e la sua autorevolezza.
La difesa della laicità è legata anche alla questione dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti e degli emigranti, per la stragrande maggioranza di cultura e religione islamica. I recenti episodi legati al terrorismo fondamentalista scuotono la tradizioni giuridiche e culturali dell’Occidente, disseminando insicurezza e paure. Riteniamo che i rischi di trasformare le oggettive difficoltà dell’accoglienza in uno scontro di religioni e di civiltà sia più vicino che mai, soprattutto perché, nonostante le aperture e la tolleranza invocate da papa Francesco, nel cattolicesimo italiano (e non solo) restano ancora pregiudizi, timori e ambiguità che, non a caso, vengono utilizzati spregiudicatamente da schieramenti di ispirazione xenofoba e da movimenti della destra estrema. Crediamo quindi che i valori della libertà, della pace e della democrazia coltivati e difesi dall’ANPI, esigano una particolare attenzione sui rapporti tra Chiesa e Stato, il cui contenzioso, al di là delle formalità e degli interessi elettorali di numerosi schieramenti politici, non sembra esaurito (sui temi della famiglia, della sessualità e della differenza di genere, della bioetica, dei diritti civili, etc). E del resto, in un momento storico in cui è centrale l’impegno di lotta al fondamentalismo – che è un attacco consapevole e durissimo ai valori dell’autonomia del cittadino – sarebbe contraddittorio arretrare sul fronte della laicità dello Stato. Perché il fondamentalismo non sarà vinto con la guerra delle armi, sarà vinto con la battaglia delle idee all’insegna di una cultura aperta e di una struttura civile laica. L’interesse della democrazia libera non è stabilire che una religione è superiore all’altra né di sconfiggere l’Islam. L’interesse della democrazia libera è che nell’Islam prevalgano i moderati.
L’antifascismo.
Il DPP della Direzione nazionale ci tiene a rimarcare che l’ANPI non è un partito e non ha quindi né partiti né governi amici (e, naturalmente, nemmeno partiti o governi nemici). In questa equidistanza si colloca la sua funzione “critica” legata ai valori della Resistenza e della Costituzione, la possibilità di dissentire e di esprimere le ragioni delle sue posizioni e delle sue distanze da quanto viene proposto e sostenuto da chiunque a qualunque livello. Non si può che condividere tale impostazione: ma conviene ribadire che la critica ha bisogno di esercitarsi non solo in estensione, ma anche in profondità. I rigurgiti di intolleranza e xenofobia, l’indifferenza (il grande peso della Storia, secondo Gramsci) nei confronti dei grandi temi di interesse collettivo, gli egoismi individuali e di intere aggregazioni sociali, sono sintomi inquietanti di uno sfaldamento delle relazioni collettive che – non è un caso – corrispondono alla rinascita di gruppi di ispirazione dichiaratamente fascista e neonazista. E’ quindi urgente attenzionare i processi che avvengono nella politica e nella società civile, per non doversi confrontare troppo tardi con i loro esiti: la memoria vigile della guerra di Liberazione e la richiesta di applicare rigorosamente le leggi contro ogni apologia o ricostituzione di movimenti fascisti (spesso sottovalutate, o peggio, volutamente ignorate dalle forze dell’ordine), rimangono prioritarie, ma sono insufficienti a costituire un argine contro la sua riesumazione. Dovremmo ricordarci che, al termine della seconda guerra mondiale, quando si dovette prendere atto delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal nazifascismo, molti si chiesero come era stato possibile che nessuno si fosse accorto in tempo di ciò che stava accadendo, ovvero della demolizione dell’intero edificio della civiltà politica e giuridica affermatasi in Occidente dal ‘600 in poi. Walter Benjamin ne espresse la sconcertata consapevolezza, e la risposta che diede è emblematica: non c’erano gli strumenti per elaborare l’orrore che avanzava. Credo che a nostri giorni affiorino gli stessi interrogativi, e che ignorarli può avere conseguenze drammatiche per la tenuta delle libertà. E’ il momento delle domande su quello che sta accadendo a monte dei fenomeni di intolleranza, xenofobia, delle derive autoritarie, delle proposte ambigue di chi accompagna la giusta denuncia degli abusi e della corruzione con soluzioni semplicistiche e metodi che nell’immediato appaiono partecipativi, ma nascondono rischi concreti di manipolazione dei fatti e delle coscienze. Proveremo a formulare alcuni dei possibili interrogativi, come pista da percorrere per la costruzione e la diffusione di una cultura antifascista e antiautoritaria:
- Quali sono le circostanze, le condizioni sociali, i luoghi reali e virtuali, le relazioni interpersonali, i condizionamenti culturali, che favoriscono la nascita di concezioni e comportamenti che possono sfociare in nuove manifestazioni del fascismo?
- Quali sono i fattori che, pur appartenendo a settori e attività non collegati direttamente alla politica, determinano nelle masse un orientamento favorevole alle derive populistiche e demagogiche?
- Quali sono gli strumenti culturali, pedagogici e politici che contribuiscono alla difesa e alla diffusione dei valori propri di una democrazia attiva, solidale, partecipativa? Quali sono i luoghi e le modalità prioritarie di intervento e di prevenzione?
La questione femminile.
Un ultimo accenno alle donne, alla ricostituita memoria della loro insostituibile partecipazione alla guerra di Liberazione. Superfluo ribadire che la ricerca storica deve procedere anche su questa strada, parallelamente alla difesa di genere, che va fatta tuttavia senza abuso di luoghi comuni e di facile retorica. L’emancipazione femminile e la parità dei diritti si gioca non solo sui luoghi di lavoro ma nella sfera dei rapporti privati, particolarmente ingessati in certi aspetti della società siciliana e nei modelli di rapporti familiari sostenuti da tradizioni maschiliste e cementate da convinzioni di natura religiosa.
Conclusioni.
La migliore Costituzione, la migliore legge elettorale, su cui oggi si discute e ci si scontra, valgono ben poco quando il legame tra comportamenti individuali e bene comune è sentito e praticato da una sparuta minoranza. Come è stato ben detto, una società fondata sul diritto non è una società che possiede le norme, ma una società in cui la stragrande maggioranza dei cittadini ritiene che le norme siano orientamenti indispensabili per la vita individuale e per l’insieme dei rapporti sociali. In questo, crediamo che si possa riassumere il compito e la responsabilità dell’ANPI per i prossimi anni, sostenuti dalla memoria dei caduti, dalla forza di tutti i resistenti, dall’amore per questo Paese e per questa terra di Sicilia.
FAUSTO CLEMENTE