Simon Levis Sullam: “I carnefici italiani – Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945”, Editore Feltrinelli, 2015, pp. 160 Euro 15
Online il nuovo numero di Patria Indipendente
16 Gennaio 2017
Segnaliamo, fra gli altri, gli articoli di Tomaso Montanari, Alessandro Pace, Felice Laudadio, Giacomo Verri, Alessandro Bianchi e le interviste a Domenico De Masi e a Marisa Ombra
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Nel suo libro “I carnefici italiani” lo storico Levis Sullam sviluppa una rigorosa e ben documentata ricerca storiografica sulle responsabilità di molti italiani nell’attuazione del genocidio ebraico senza ordini o diretta partecipazione delle truppe tedesche d’occupazione; un agire in proprio, dunque, una scelta diretta, libera e consapevole.
Libro necessario, “gesto etico-politico”, come dice lo stesso Sullam nell’epilogo del suo lavoro, poiché si oppone da un lato a quella opportunistica e mistificante versione degli italiani brava gente, che ben conosciamo, e dall’altro a quell’uso politico della storia che negli ultimi quindici anni non ha risparmiato alcuna delle grandi questioni della nostra storia nazionale, con il preciso fine di cancellare la memoria dei crimini commessi dai nostri compatrioti in Italia, in Africa, nei Balcani, in Unione Sovietica.
Il riemergere in piena luce dell’ideologia fascista tenuta per alcuni decenni sotto traccia, anche se sempre segretamente attiva come ci ricorda la scia di sangue delle stragi che hanno insanguinato il Paese a partire da quella di piazza Fontana a Milano, e del suo implicito correlato di xenofobia e razzismo, ha trovato in questa subdola operazione di falsificazione storica il suo brodo di coltura.
Le retate e gli arresti contro gli ebrei a Venezia, Roma, Firenze e in numerosissime altre località del centro-nord della penisola tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 furono in buona parte condotti da italiani e lo storico documenta nomi, luoghi, date, motivazioni e atti compiuti. Come si spiega tale accanimento, anche se poi colpevolmente sempre minimizzato se non occultato? Occorre innanzitutto ricordare che lo sterminio trovò nell’apparato ideologico accuratamente messo a punto a partire dal 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, il suo fondamento: l’ebreo è il nemico per definizione e la razza ebraica inferiore geneticamente. Del resto la conquista dell’Etiopia aveva rinfocolato l’immaginario razzista traducendosi fin dal 1937 in vera e propria profilassi di tipo razziale.
Il primo capitolo del libro ripercorre, passo dopo passo, la costruzione dell’immaginario collettivo e della conseguente condivisione ideologica del nemico da esecrare e distruggere e documenta come la svolta razzista e antisemita modificò allora l’autorappresentazione della società italiana, dando forma a una cultura fondata sulla separazione razziale, martellando l’opinione pubblica attraverso i media, la propaganda e la stessa cosiddetta “alta cultura”; la scuola ebbe un ruolo chiave in questo processo di costruzione del consenso e formò un’intera generazione di italiani. Capitolo questo di drammatica attualità, basti pensare alla denuncia recente della filosofa ungherese Agnes Heller che ha raccontato come il primo ministro Orbàn, ben prima che arrivassero i migranti, avesse tappezzato le città ungheresi di cartelloni con messaggi atti a creare avversione e odio nei loro confronti.
Una volta che l’apparato ideologico ha colonizzato le coscienze il gioco è fatto, chi governa potrà appoggiarsi sugli istinti peggiori che la sua propaganda ha saputo attivare. Per dirla con Manzoni, troviamo ancora una volta confermato il potere del contagio del male. Naturalmente all’adesione ideologica di stampo razzista si accompagnarono, al solito, precisi e sordidi interessi materiali, i beni degli ebrei facevano gola a molti, Stato fascista compreso che fin dal 1939, infatti, aveva creato l’Ente per la gestione e la liquidazione immobiliare dei beni ebraici, affermando che le somme ricavate sarebbero state destinate all’assistenza, al sussidio e al risarcimento di danni di guerra.
Sullam fa poi riferimento a tutti i rapporti ufficiali, rapporti che restarono lettera morta, che denunciarono le numerose irregolarità e illegittimità commesse nella spoliazione degli ebrei italiani e documenta persecuzioni, delazioni, tragici tentativi di espatrio, tradimenti. E infine, nelle conclusioni, lo storico affronta un altro tema che meriterebbe un’urgente riflessione collettiva, quello delle amnistie, delle rimozioni e dell’oblio.
Giacomo Debenedetti, grande scrittore e critico, in un racconto del 1944 intitolato Otto ebrei aveva preconizzato che si sarebbe diffusa la strategica ostentazione dei buoni sentimenti, “Italiani brava gente” appunto, strategia che avrebbe ammantato fin da subito e ad opera dei protagonisti stessi delle delazioni, delle deportazioni e degli eccidi il ruolo dei carnefici italiani.
Nessuno fu processato nel dopoguerra per la partecipazione alla politica antiebraica e in pochissimi casi la persecuzione degli ebrei venne ritenuta colpa specifica o aggravante di altri reati. Il decreto presidenziale di amnistia del 22 giugno 1946, noto come decreto Togliatti, riguardava i reati militari e politici per cui fossero previste pene inferiori ai cinque anni, ma era esteso anche ai reati di strage, saccheggio e devastazione e alla guerra civile e al collaborazionismo. Vennero così amnistiate circa 10.000 persone sulle 13.000 condannate; fra gli amnistiati molti alti gerarchi, praticamente nessun membro della magistratura, malgrado molti magistrati fossero stati direttamente implicati nell’applicazione delle leggi razziali, quasi tutti costoro conservarono carriera e persino prestigio istituzionale.
Sullam affronta infine le più recenti dinamiche della memoria collettiva che sempre più tende ad esaltare i salvatori a scapito della memoria dei carnefici o, per altri versi, a svantaggio, in epoca post-ideologica, di forme di resistenza politicamente militanti. Risulta evidente ai più consapevoli tra noi di quanto sia gravida di rischi la perdita della memoria dei carnefici, poiché è proprio sul terreno della rimozione e della falsificazione storica che tornano a risuonare i miti cruenti della “terra e del sangue” ed essi risuonano, oggi come allora, in buona parte dei paesi europei.
Finirà nell’oblio anche il libro di Sullam o ci assumeremo collettivamente la responsabilità di comprendere e far comprendere un presente così gravido di rischi anche alla luce di questa necessaria ricostruzione storica?
Ester Prestini, professoressa, studiosa dei costumi