IL CONFINE ITALO SLOVENO E L’ECCIDIO DI PORZUS

E’ con attenzione e desiderio di approfondimento, senza concedere nulla ai vari tentativi di revisionismo storico, che ospitiamo l’intelligente e appassionato intervento della nostra compagna Carmela Zangara sull’eccidio di Porzùs emblematica tragedia destinata a proiettare un’ombra su tutta la vicenda della Resistenza dell’area friulana.

L’alba di quel mercoledì 7 febbraio del 1945 spuntò pigra sulle alture di Attamis, località sulle Prealpi Giulie, svelando appena oltre le umide malghe dai tetti spioventi e dalle pietre dai colori autunnali, un paesaggio intorpidito dal rigido inverno dove ogni cosa diventava grigia e uniforme, persino i monti della Carnia a stento modulati.

In una di queste malghe – tipiche costruzioni ad uso di mandrie e pastori – di Topli Uork -poi Porzus- era allocato il Quartier generale della Divisione Osoppo.

Una ventina di uomini in tutto che quel mattino dormivano ancora quando il gruppo GAP di Toffanin   irruppe prepotentemente nella malga uccidendo il comandante Francesco De Gregori   portando via i restanti 13 prigionieri. Nell’alba appena abbozzata si potevano scorgere a mala pena le loro sagome confuse con il paesaggio rivelando soltanto il movimento ritmico dei corpi che si inerpicavano su per il viottolo scosceso, procedendo lentamente come chi non vorrebbe andare oltre. A guardarli da vicino i volti erano cupi, lo sguardo perso in un punto lontano, mentre con rassegnata arrendevolezza andavano incontro alla esecuzione soltanto rimandata, non annullata-

Tra loro anche sei siciliani. Il più anziano, Pasquale Mazzeo Cariddi messinese, brigadiere di guardia di finanza di 31 anni col conterraneo Antonio Previti Guidone e al madonita Antonio Cammarata Tony di Petralia Sottana era arrivato alla malga il giorno prima 6 febbraio col gruppo di Guido Pasolini, Ermes fratello di Pier Paolo.

Già di stanza alla Divisione Osoppo erano gli altri tre siciliani: Angelo Augello di Canicattì e Giuseppe Urso di Aragona, con Erasmo Sparacino,   palermitano di Santa Flavia.

Prima di entrare a far parte della Osoppo sia Previti che Giuseppe Urso avevano prestato servizio nel battaglione Zanon a Zara mentre l’Augello, il Mazzeo e il Cammarata provenivano dalla I Divisione Osoppo Est.

A prima acchito c’è da chiedersi quali siano le radici di questa triste pagina di storia, cosa avesse spinto in questa terra di confine i Nostri ad arenarsi – restandovi insabbiati -nelle sacche della contraddizione di una guerra partigiana   scontratasi   -guarda caso -con un’altra dissimile idea – anch’essa partigiana- divenuta nei fatti guerra interna di fazzoletti rossi contro fazzoletti verdi. Gli uni- i rossi – passati al nono Corpo sloveno, gli altri -i verdi – accusati a torto di tradimento- legati invece ad un’idea partigiana più moderata ed autonoma. Guerra controversa   implosa all’interno stesso della Resistenza su cui neppure il lungo processo è riuscito a diradate del tutto le ombre che soltanto adesso cominciano a dileguarsi.

Ma veniamo ai fatti. Dopo avere assistito all’esecuzione del loro comandante e dei suoi,   i 13 partigiani furono giustiziati   a gruppi nei giorni successivi. Il 9 in località Prepotto di Rocca Bernarda fu giustiziato il carabiniere Angelo Augello Massimo insieme a Saba Salvatore di Cagliari,   Enzo D’Orlandi di Cividale e Gualtiero Michelin originario della provincia di Venezia; l’indomani mattina, 10 febbraio , fu la volta del carabiniere Giuseppe Urso, Aragona, e di Erasmo Sparacino di Vincenzo, di anni 24, nome in codice Flavio,   fucilato dietro la caserma dai Tedeschi nel bosco Musich in località Restocina, nel comune di Dolegna.

Su Flavio esiste un’altra versione più recente fatta dal testimone Silvano Dionisio che asserisce essere stato catturato dai tedeschi e   fucilato a Cividale del Friuli il 12/2/1945.

L’ultima esecuzione del 18 febbraio – avvenuta in località Novacuzzo di Prepotto nel Bosco Romagno – fu quella del gruppo di Pasolini di cui facevano parte- come si è detto-   Pasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata, insieme a Franco Celledoni e Primo Targato, tutti giustiziati.

I loro corpi rimasero insepolti sul luogo dell’esecuzione sino a giugno quando furono ritrovati da Mons. Moretti sotto gli alberi del bosco.

«Caduti pai nostris fogolars» è scritto sul cippo di pietra a ricordo dell’eccidio. E mai epigrafe fu più efficace ed incisiva. Morti per la nostra libertà di pensiero e di azione.

Carmela Zangara

Segue un ulteriore contributo di Carmela Zangara sull’eccidio di Porzus con vasti riferimenti storici.

Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro 
umile della famiglia, grossa testa di secondogenito, 
mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo 

tra le foglie secche, i caldi fieni 
di un bosco delle prealpi – nel dolore 
e la pace d’una interminabile domenica… 

Eppure, questo è un giorno di vittoria!

I versi dall’evidente dolorosa contraddizione violenza-vittoria, sono inseriti in una delle tante poesie che Pier Paolo Pasolini dedicò al fratello Guido caduto a Porzus. Vicenda quella di Porzus che in qualche modo è stata avvolta da un imbarazzato    silenzio istituzionale sdoganato soltanto nel maggio del 2012 quando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, recandosi a Faedis, rese omaggio ai Caduti, legittimandone la memoria e scoprendo una targa a ricordo.

Al silenzio istituzionale va poi aggiunto l’altro e più inquietante silenzio popolare che affonda le radici negli alveoli della rimozione collettiva soprattutto in Sicilia dove è ancora sconosciuta la vicenda dei sei siciliani che condivisero la stessa sorte di Guido Pasolini: Pasquale Mazzeo, Antonio Previti, Antonio Cammarata, Angelo Augelli, Giuseppe Urso, Erasmo Sparacino.

Ebbene tutto cominciò il 7 febbraio del 1945 quando, Ermes, Pasolini appunto, insieme ai compagni fu fatto prigioniero dai GAP e più precisamente dal  gruppo di Toffanin che era stato misteriosamente costituito cinque giorni prima il 2 febbraio del 1945 a Orsaria, presso Cividale, e altrettanto misteriosamente sciolto qualche giorno dopo i fatti di Porzus.

Il gruppo di Pasolini – che era giunto al Comando di Topli Uork   il giorno prima- era composto da tre siciliani: Cariddi, Guidone e Toni– nell’ordine Pasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata– capitanati da Centina, Aldo Bricco, altro comandante della Brigata Est Osoppo; e da altri due partigiani, Franco Celledoni, studente in medicina nativo di Faedis e Primo Targato della provincia di Padova, classe 1923.

Dunque i garibaldini irruppero all’improvviso al Comando allocato alle pendici delle Prealpi Giulie, dove c’era- e c’è – una ridente località del Friuli orientale chiamata Porzus e dove bellissimi prati sono disseminati qua e là da tipiche costruzioni rustiche ad uso di  mandrie e pastori, chiamate malghe. Quelle di Topli Uork in località di Porzus- ricadenti   sotto la giurisdizione della località di Faedis, comune di Attamis in provincia di Udine – erano state adibite a quartier generale della Brigata Osoppo.

Chiamate così dall’omonimo Comune in provincia di Udine, le Osoppo erano nate alla vigilia di Natale del 1943 presso il Seminario Arcivescovile di Udine con il concorso politico di Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione inglobando volontari sia di ispirazione cattolica che liberale e socialista. Essendo formazioni autonome, cooperarono con le altre formazioni garibaldine, di estrazione comunista, nella lotta antifascista contro i tedeschi che in quella terra di confine avevano istituito la Operationszone Adriatisches Kustenland.

I rapporti dell’Osoppo con i garibaldini e le formazioni partigiane slovene divennero però estremamente tesi dopo la decisione delle formazioni comuniste di passare alle dipendenze del 9º Corpus sloveno. Le Osoppo, invece, si rifiutarono di allinearsi alle formazioni titine, restando unicamente sotto il direttivo del Comitato di Liberazione italiano. Per tale via assunsero agli occhi dei garibaldini una sorta di connotazione anticomunista.

Si andava delineando, insomma, il terreno di scontro che sarebbe stato alimentato da altre e più complesse variabili. D’altra parte il Friuli orientale era continuamente percorso da rappresaglie naziste soprattutto dopo la caduta del territorio libero di Attamis.

L’eccidio di Porzus maturò, quindi, all’interno del coacervo di rivalità più o meno aperte tra comunisti sloveni- cui erano aggregati anche parte dei partigiani italiani- , nazisti e fascisti, giungendo al culmine nell’inverno del 1944- 45 quando si ventilò la notizia di incontri clandestini tra i vertici delle Brigate Osoppo e quelli della X Mas, incontri volti a concordare un piano antislavo- comunista.

La Brigata Osoppo Est divenne ipso facto nemica sia dei comunisti di Tito che delle frange partigiane estreme.

 

Dunque il gruppo di Toffanin in quell’alba gelida di Febbraio irruppe al Comando, disarmando prima il comandante della Osoppo Francesco De Gregori ( zio del cantautore) in codice Bolla uccidendolo poi insieme al commissario politico del Partito d’Azione, Gastone Valente “Enea“, al ventenne Giovanni Comin e ad Elda Turchetti indicata da Radio Londra come “spia” dei tedeschi. Infine portarono via oltre al cospicuo bottino altri 13 prigionieri osovani, tra cui sei siciliani

Due erano di Messina: il brigadiere della Guardia di Finanza Pasquale Mazzeo di 31 anni e il carabiniere Antonio Previti classe 1919 in servizio a Zara nel battaglione Zanon prima di entrare nella Osoppo ; altri due della provincia di Agrigento: Angelo Augello – nome in codice Massimo – nativo di Canicattì 22 anni, in servizio nella I Brigata e Giuseppe Urso di Aragona classe 1923 anche lui proveniente dal battaglione Zanon passato poi alla Osoppo; infine gli ultimi due della provincia di Palermo: Antonio Cammarata di appena 22 anni, nome in codice Toni , di   Petralia Sottana, un piccolo Comune montano sulle Madonie ed Erasmo Sparacino, nome in codice Flavio, di Santa Flavia.

Pasquale Mazzeo, e Antonio Cammarata appartenevano al Reparto Comando della I Brigata Osoppo Est, presumibilmente alle dipendenze del comandante Primo Cresta il quale collaborava strettamente col comandante del Gruppo Est delle Brigate Osoppo Bolla, Francesco De Gregori.

 

Il gruppo dei tredici prigionieri, dopo avere assistito alla esecuzione del loro Comandante De Gregori e di Gastone Valente, in codice Enea, furono condotti al Comando garibaldino per essere interrogati. Il giorno dopo smistati presso i battaglioni Ardito e Giotto, dopo avere subito processi sommari furono giustiziati a gruppi nelle località di Bosco Romagno, Restocina e Rocca Bernarda.

In località Prepotto di Rocca Bernarda il 9 febbraio fu fucilato per prima il carabiniere canicattinese Angelo Augello, Massimo, insieme a Saba Salvatore di Cagliari, Enzo D’Orlandi di Cividale e Gualtiero Michelin originario della provincia di Venezia.

L’indomani mattina, 10 febbraio nel bosco Musich in località di Restocina, comune di Dolegna, avvenne la seconda esecuzione per fucilazione dei siciliani Giuseppe Urso, Aragona, carabiniere ed Erasmo Sparacino di Vincenzo, di anni 24, nel cui atto di morte, rilasciato dal Comune di Cividale, pubblicato nel testo Fosse del Natisone di Jacolutti” 1978 è scritto: Fucilato dietro la caserma dai Tedeschi.

In realtà Flavio (Erasmo Sparacino),non risulta in alcun elenco dei caduti di Porzus perché secondo la testimonianza di Silvano Dionisio -fatta su Patria Indipendente nel numero del 27 luglio 2008- egli fu catturato dai tedeschi e fucilato a Cividale del Friuli il 12/2/1945. In realtà egli scampò all’esecuzione ma   due giorni dopo fu catturato e fu fucilato a Cividale.

Il 18 febbraio fu la volta dell’esecuzione del gruppo di Guido Pasolini.

I prigionieri Ermes, Cariddi, Guidone e ToniPasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata insieme a Franco Celledoni e Primo Targato,

condotti in località Novacuzzo di Prepotto nel Bosco Romagno, furono barbaramente trucidati. Mentre scavava la sua fossa il Pasolini sebbene ferito tentò la fuga senza però andare lontano, perchè fu presto raggiunto e ucciso da un colpo di pistola. I corpi delle sei vittime rimasero insepolti sul luogo dell’esecuzione sino a giugno quando furono ritrovati da Mons. Moretti sotto gli alberi di Bosco Romagno. Sul cippo di pietra a ricordo è scritto: «Caduti pai nestris fogolars».

Soltanto il 21 dello stesso mese furono celebrati i funerali solenni. Dei Siciliani è stato traslato a Canicattì Sicilia Urso Giuseppe, gli altri sono tumulati a Udine.

 

“Un’ombra cupa sulla Resistenza” è considerato l’eccidio di Porzus che vide schierati su fronti opposti i partigiani dei cosiddetti “fazzoletti verdi” e quelli dei “fazzoletti rossi”, di estrazione comunista secondo Paolo Deotto mentre per Monsignor Aldo Moretti, Lino, Medaglia d’Oro al valor militare – uno dei fondatori della Divisione Osoppo insieme a don Ascanio De Luca e don Zani –l’eccidio può essere considerato Resistenza nella Resistenza “Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo…Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento…quello stemma ricorda il fascismo, toglila. E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all’Italia… Ci furono discussioni assai accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportavano sacrifici di vite umane.”

Durante un convegno a Udine don Redento Bello, in codice Don Candido evidenziò in particolare il ruolo quasi obbligato dei Meridionali:

Fin dai primi giorni dopo l’armistizio monsignor Aldo Moretti, insegnante
in seminario, io e don Ascanio De Luca, ci siamo mobilitati per aiutare i
militari, specie del Meridione, rimasti bloccati dall’armistizio nei boschi
della Pedemontana friulana; non si fidavano di prendere il treno perché, se intercettati, venivano deportati nei campi di concentramento.

 

Vicenda complessa sulla quale esiste tutta una serie di studi che hanno tentato di focalizzare le responsabilità ancora non del tutto accertate giungendo alla conclusione che l’eccidio fu l’inizio di quello scontro ideologico che passando attraverso le lotte nelle terre irredente, culminò poi nei blocchi   ideologici della cortina di ferro del dopoguerra.

 

Il lungo processo, iniziato il 23 giugno 1945 quando gli Osovani Grassi e Berzanti presentarono denuncia al Procuratore di Udine, si concluse nel 1959, anno dell’amnistia che cancellò di fatto i quasi 450 anni di condanna per i reati politici inferti a più di cinquanta imputati, così che la corte di Perugia- che doveva emettere la sentenza definitiva- non potè far altro che ratificare la cancellazione del reato.

Sebbene Porzus rimanga ancora un puntino nero nella trama dell’ordito storico, a distanza di settant’anni andrebbe riconosciuto finalmente il diritto alla memoria di quei partigiani – siciliani e non – che hanno lasciato la vita appesa al filo del dovere o semplicemente sospesa sui fili d’erba dei prati delle malghe dove alita ancora un silenzio irreale.

Carmela Zangara

“Nonostante il tempo trascorso, la vicenda dei confini orientali è rimasta per molti versi scottante. A parere dell’ANPI, il tempo trascorso dovrebbe consentire di parlarne con rispetto per i sentimenti e con precisione storica.” ( Dal programma del seminario su “La drammatica vicenda dei confini orientali” Milano 16 gennaio 2016).

Partendo dalla raccomandazione di “una lettura attenta e una riflessione approfondita” del documento, approvato dal Comitato nazionale ANPI, con il quale “si conclude il proficuo lavoro svolto durante il seminario di Milano”, facciamo nostra la speranza espressa dal Presidente nazionale Carlo Smuraglia “di riuscire a mettere da parte le emozioni (pur rispettabilissime) per avvicinare idee e posizioni….per consentire un dialogo tra associazioni di esuli, persone e famiglie colpite da quella che è e resta una vera tragedia, un dialogo che sarebbe certamente produttivo di effetti positivi sul piano della convivenza pacifica e della civiltà”.

Esprimiano anche il desiderio (l’immenso archivio storico di Casarubea ne è motivo di speranza) di una ulteriore ricerca e riflessione sulla circostanza, alla quale l’Anpi Palermo ha sempre dedicato particolare attenzione, data dal fatto che sia nella zona del confine orientale che in Sicilia hanno operato, almeno due, importanti funzionari anche degli apparati fascisti della prima ora, Gueli e Messana, accusati di essersi macchiati di orrende stragi ed eccidi su entrambi i fronti in Friuli e in Sicilia.

af

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