grazie a Pietro Scaglione per questo prezioso contributo
PORTELLA DELLA GINESTRA: UN MISTERO LUNGO 70 ANNI. MA GIA’ NEL 1953 PM SCAGLIONE INDICO’ APERTAMENTE I MOVENTI E LA FINALITA’ ANTICOMUNISTA DELLA STRAGE.
Lunedì si celebrerà a Portella della Ginestra il settantesimo anniversario della strage del Primo Maggio del 1947, alla presenza dei segretari generali di CGIL Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Cisl e Uil. Alla vigilia, il presidente del Senato della Repubblica Pietro Grasso ha chiesto la desecretazione di tutti gli atti riguardanti l’eccidio, accogliendo la richiesta dei familiari delle vittime e dell’ Istituto Gramsci Siciliano guidato da Salvatore Nicosia.
70 anni di gialli, depistaggi e segreti di Stato, ma le sinistre, i sindacati, la stampa democratica e una parte della magistratura compresero subito la vera natura della strage di Portella della Ginestra, scontrandosi con il muro di gomma del potere.
La finalità anticomunista dell’eccidio fu ad esempio ben compresa sin dagli anni Cinquanta dall’allora sostituto procuratore generale Pietro Scaglione, poi ucciso nel 1971 dopo essere diventato Procuratore Capo della Repubblica di #Palermo. Nel 1953, Scaglione scrisse nero su bianco i moventi piu’ credibili della strage di Portella: “la lotta ad oltranza” contro il comunismo che Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che cacciavano i banditi dalle campagne; la “difesa del latifondo e dei latifondisti”.
Il PM Pietro Scaglione respinse il depistante tentativo di coinvolgere il Pci – operato dagli ambienti conservatori – e archiviò per assoluta infondatezza la denuncia del giornalista Vincenzo Caputo contro il senatore comunista Girolamo Li Causi (divenuto in seguito vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia). Scaglione smentì il ministro Scelba e scrisse: “Giuliano non strinse mai intese con il Partito comunista, verso cui mostrò sempre la più irriducibile avversione e l’odio più tenace”.
Il PM Pietro Scaglione archiviò per infondatezza anche le denunce contro la sinistra separatista siciliana dell’avvocato Nino Varvaro, che aderì al Blocco del Popolo, il fronte unitario delle forze socialiste e comuniste. Scaglione scrisse: “Salvatore Giuliano si orientò politicamente genericamente verso i partiti anticomunisti, come risultò dalle deposizioni dei suoi familiari”, quindi non avrebbe mai potuto stringere accordi con il Blocco del Popolo (fautore delle lotte contadine).
Nelle sue Conclusioni, invece, il PM Scaglione parlò di “crisma della verità” per le rivelazioni di Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano, in relazione ai rapporti tra banditismo, mafia e forze dell’ordine. Un ritratto inquietante degli anni in cui il Ministero degli Interni concesse un singolare “attestato di benemerenza” per Pisciotta. In particolare, un Ispettore generale di Pubblica Sicurezza intrattenne “amichevoli incontri con il capobanda Giuliano, allietati da soffici panettoni e liquori”; un ufficiale dei carabinieri concesse a Pisciotta “generosa ospitalità e amichevoli attenzioni”; un generale dell’esercito offrì allo stesso Pisciotta “un regolare passaporto perché potesse liberamente espatriare e sottrarsi così alle sanzioni della legge per tutti i gravissimi delitti commessi”.