n. 184 – 15/22 dicembre 2015
IL CORDOGLIO DELL’ANPI PER LA SCOMPARSA DI ARMANDO COSSUTTA
La Presidenza e la Segreteria nazionale dell’ANPI hanno appreso con immenso dolore della scomparsa dell’amico, partigiano e generosissimo dirigente dell’Associazione, Armando Cossutta. Figlio di un operaio di origine triestina che lavorava alla Marelli di Sesto San Giovanni, Cossutta, nel 1943, si è iscritto al Partito Comunista Italiano. Subito dopo l’armistizio è entrato nelle Brigate Garibaldi. Catturato e condannato alla fucilazione, si salvò soltanto perché i militi del plotone d’esecuzione (come racconta nel libro autobiografico “Una storia comunista”, edito nel 2004, dalla Rizzoli), spararono in aria. Dalla Liberazione ha dedicato tutta la sua vita alla politica senza mai distrarsi un momento dal battersi per dare corpo nel Paese a quegli ideali che avevano mosso ogni sua scelta: l’antifascismo e la Resistenza. Ha sempre avuto l’ANPI nel cuore, essendo presente nei tanti momenti che hanno marcato il cammino dell’Associazione, fino a diventarne prezioso braccio operativo e quotidiano dal 2008, anno in cui prestò un’opera decisiva per la riuscita della Prima Festa nazionale che si tenne a Casa Cervi e che vide un’affluenza di migliaia di giovani e una grandiosa attenzione mediatica. Nel 2009, divenuto Vice Presidente, si impegnò a fondo nell’avvio e nella concretizzazione della “nuova stagione dell’ANPI”, che portò l’Associazione ad essere presente con i suoi Comitati in tutte le province d’Italia. Indimenticabile anche il suo strenuo impegno per impedire che venisse approvato, sempre nel 2009, il famigerato progetto di legge 1360 che mirava a parificare i partigiani con i repubblichini di Salò. Confermato Vicepresidente a seguito del Congresso dell’aprile 2011, lo
è rimasto fino alla morte, anche se nell’ultimo periodo non aveva più potuto dedicarsi pienamente all’amata Associazione. Perdiamo con Armando una radice, uno sguardo lungo di civiltà e passione democratica, un punto fermo di responsabilità e amore per il Paese e la sua gente. Non lo dimenticheremo mai e mai smetteremo di additare il suo esempio alle giovani generazioni. Una commemorazione più ampia sarà effettuata dal Presidente Smuraglia nel Comitato Nazionale previsto per gennaio. Mandiamo, commossi, un fraterno e amichevole abbraccio a tutti i suoi famigliari, al cui dolore tutta l’ANPI partecipa col cuore e con l’affetto di sempre.
L’ANPI PALERMO SALUTA COMMOSSA CON FRATERNO ABBRACCIO IL PARTIGIANO E GENEROSISSIMO DIRIGENTE DELL’ASSOCIAZIONE, ARMANDO COSSUTTA
ARGOMENTI NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI
CARLO SMURAGLIA:
► Carceri: a fronte delle ataviche carenze dello Stato, si diffondono le iniziative e l’impegno solidale di cittadini e di alcuni dirigenti carcerari volonterosi, per rispettare lo spirito e la sostanza degli artt. 3 e 27 della Costituzione
In un recente articolo apparso su un quotidiano, il Prof. Flick, notissimo giurista, che è stato anche Ministro della Giustizia, esponeva una preoccupazione per lo stato delle carceri, tant’è che l’articolo recava un titolo significativo: “Costituzione affievolita dietro le sbarre”. Il Prof. Flick esprimeva riprovazione per le condizioni delle carceri, nonostante le osservazioni della Consulta e la condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea per i Diritti dell’uomo di Strasburgo, e preoccupazioni serie per il timore di un peggioramento ulteriore a fronte delle minacce e degli attacchi del terrorismo. La tentazione di risolvere i problemi della sicurezza “mettendo più diversi in galera e poi buttando via la chiave” (come, purtroppo, pensano non pochi) è forte; e non solo nel nostro Paese. Ma sarebbe sbagliato, avverte l’autore, col quale non posso che concordare. La lentezza della giustizia e le condizioni carcerarie sono problemi da affrontare con urgenza, e non con i palliativi e tanto meno con i soliti condoni, ma con iniziative concrete, efficaci e rapide, sull’uno e sull’altro fronte, tenendo presente che, al fondo, c’è un grande problema di umanità e di dignità. Su questo, la nostra posizione è stata sempre ferma e coerente, tant’è che ho apprezzato l’iniziativa assunta da alcuni nostri organismi periferici (per esempio Palermo) di visitare le carceri, incontrare detenuti ed
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esprimere con chiarezza le impressioni ricevute. E’ una battaglia di principio, che bisogna portare avanti senza renitenze e senza indugi. Ma io voglio soffermarmi sul “bicchiere mezzo pieno”, sulle iniziative spontanee di molti, a cominciare da alcuni Direttori, (spesso Direttrici) di carceri anche importanti e “difficili”, ma anche di cittadini ed Associazioni, per cercare di affrontare in modo diverso quelle che Flick definisce “le tre emergenze del carcere emerse fin dall’Unità d’Italia: violenza, centralizzazione burocratica e chiusura verso l’esterno”.
Su questo terreno, le iniziative si stanno moltiplicando in alcune zone d’Italia, in modo spesso imprevedibile e addirittura ricco di fantasia. Voglio citare solo qualche esempio (senza far torto alle iniziative di cui non parlo per non appesantire il discorso e restare alle esemplificazioni, di cui più direttamente ho notizia). So, per dirla in breve, che iniziative di chi crede nella finalità rieducativa della pena, sono state adottate e sono in corso ad Opera, a Rebibbia, a Solliciano, a Bollate, a San Vittore ed altre carceri. Me ne compiaccio, perché a suo tempo considerai già un successo aver ottenuto una legge che prometteva agevolazioni, anche fiscali, a chi dava lavoro ai detenuti, dentro e fuori dal carcere (almeno per il primo periodo, a pena scontata); un successo limitato in sé, e poi colpito negativamente dalla scarsità dei finanziamenti adottati. Ora ho letto che anche a Milano ci sono industriali pronti ad impegnarsi su questo fronte, cosa di cui non occorre sottolineare la positività. Ma voglio accennare a soluzioni addirittura fantasiose che si stanno attivando e che devono essere guardate e sostenute con simpatia, ma anche con impegno effettivo. Mi riferisco a due esempi in particolare, di cui ha dato notizia la stampa e su cui – almeno in un paio di occasioni – ho fatto un’esperienza personale. Ecco il primo: il titolo dell’articolo è di per sé significativo “Si guasta la TV? Gli ex detenuti aggiustano tutto”. Come? Attraverso un furgone attrezzato per pronti interventi di manutenzione e riparazione, gestito da una Cooperativa Sociale, in collaborazione col Comune di Milano e il Comune di Bollate. Il “personale” è costituito da detenuti che dispongono della semi libertà e da ex detenuti, che provvedono, direttamente in loco, alla soluzione dei problemi più lievi. Se invece, occorrono riparazioni più consistenti, gli interventi sono effettuati nell’apposito laboratorio del carcere, dove i lavori sono eseguiti da detenuti con una formazione specifica e con attrezzature adeguate. L’altro esempio è ancora più clamoroso: la creazione di un ristorante che significativamente si chiama “InGalera”, organizzato da una Cooperativa, di cui è Presidente una benemerita di queste iniziative (Silvia Polleri). Si era partiti dal catering effettuato all’esterno con tutte le necessarie cautele, ma con una professionalità e un impegno che ho avuto occasione di sperimentare personalmente, ma poi si è andati ancora più in là, con questo ristorante (un vero ristorante) che sta dentro il perimetro del Carcere di Bollate, ma in un’area distaccata rispetto a quella di vera e propria carcerazione, quindi accessibile dall’esterno, ovviamente, anche qui, con le cautele del caso (ridotte, peraltro, al minimo e per nulla invasive).
Nel ristorante, che dispone di circa 50 coperti ed è ottimamente attrezzato, anche con l’aiuto di alcune aziende che hanno fornito soprattutto materiale, lavorano alcuni detenuti, diretti, in cucina e in sala, da professionisti “esterni”. Il servizio è ottimo e attento, la cucina di gran livello e l’atmosfera che si respira è di vitalità e di impegno. Questo è ciò che si ottiene quando ai detenuti si dà una possibilità di formazione e di contatti con l’esterno, offrendo loro, insomma, una prospettiva che va molto al di là della espiazione della pena. Un detenuto “cameriere” ci ha detto che si è appassionato a questo lavoro e adesso lo ama; si vedeva dall’impegno con cui svolgeva il suo compito. L’iniziativa ha avuto un enorme successo, tant’è che il ristorante è sempre completo e per tutto il periodo delle feste le prenotazioni sono esaurite.
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Insomma, si sono fusi diversi comportamenti coraggiosi: l’iniziativa di una donna intraprendente (e che “ci crede”) e di una Cooperativa, il coraggio di un Direttore (che ha “osato” tentare l’esperimento), la disponibilità di alcuni imprenditori e del Comune di Milano ed infine la comprensione del Ministero della Giustizia, cui spettava – infine – la definitiva autorizzazione. Riporto, per completezza, un brano (la “mission”) che traggo di rettamente dal sito di “ingalera.it” che esprime molto bene il senso dell’iniziativa.
“Il ristorante nasce per offrire ai detenuti, regolarmente assunti, la possibilità di riappropriarsi o apprendere la cultura del lavoro, un percorso di formazione professionale e responsabilizzazione, mettendoli in rapporto con il mercato, il mondo del lavoro e la società civile. Il nuovo ristorante InGalera è il primo ed unico ristorante in Italia, realizzato in un carcere, aperto al pubblico sia a mezzogiorno che alla sera, in cui lavorano i detenuti. I detenuti che lavorano nel ristorante sono seguiti da uno chef professionista, imparano o hanno già imparato la lavorazione dei cibi e sanno sorprendere i clienti con ricette esclusive e ben fatte. In sala servono camerieri e personale ospite nel Carcere di Bollate. È un posto giusto per mangiare bene, un’esperienza personale da raccontare.”
Aggiungo peraltro che la “mission” è ancora più ampia, perché anche i cittadini se ne giovano, perché entrano in contatto con un mondo “sconosciuto” e sono invitati a cogliere, al di là delle responsabilità, anche gli aspetti umani. Mi sono attardato su questo esempio, perché esso – come gli altri cui ho sommariamente accennato – dimostra che “si può fare”, si possono conciliare l’esigenza della libertà e della sicurezza, con l’umanità ed il rispetto della dignità.
Ovviamente, per sconfiggere i mali di cui parlava il Prof. Flick, non bastano l’iniziativa privata, la disponibilità e il coraggio. Restano i problemi di fondo: la giustizia, la pena, la rieducazione, la preparazione del personale, la cura degli “spazi” che devono essere idonei a perseguire tutte queste finalità. Ma anche la cosiddetta iniziativa privata può fare molto ed è bene che lo faccia; anzi, è bene che la facciamo tutti nei vari modi in cui si può contribuire ad un’opera di civiltà.