Dal memoriale di Domenico Aronica partigiano siciliano, agrigentino di Canicattì, deportato a Mauthausen e poi a Gusen II trascriviamo le pagine in cui descrive i momenti subito dopo la liberazione quando scheletri smarriti vagavano increduli assaporando la libertà in quei luoghi di tortura e di morte.
“…il forno crematorio (era) situato al centro del campo. Ma la sua ciminiera non fumava più; era ormai un vulcano spento che non avrebbe mai più eruttato acri odori di bruciato….” . “Erano due i forni, l’uno accanto all’altro, con gli sportelli aperti, simili alle bocche di un orribile mostro che aveva ingoiato decine e decine di migliaia di corpi irrigiditi; qualcuno ancora caldo e qualche altro che, ancora in possesso della vita, aveva cercato di vincere la morte.”
“Poi visitammo anche le camere a gas, della cui esistenza non avevamo mai sentito parlare durante la prigionia. Solo allora, dopo avere riacquistato la libertà, sapemmo dove andavano a finire tutti coloro che, fatti mettere da parte per le loro precarie condizioni di salute, sparivano dal campo per essere ricoverati – così credevamo tutti – ..”. “Poveri compagni infelici, altro che ospedale! E come vi invidiavamo quando vi vedevamo lasciare il campo di Gusen, rammaricandoci di non essere stati fortunati come voi!”.
“Addio maledetta città di Dite, strumento di martirio e di morte, simbolo ormai muto della crudeltà e della prepotenza nazista.”
Tratto da:
Domenico Aronica “La tragica avventura” sottotitolo “Un siciliano dall’Altopiano di Asiago a Gusen II” a cura di Gianni A. Cisotto. Edizioni dell’ Istituto storico della Resistenza e della civiltà contemporanea della provincia di Vicenza “Ettore Gallo”.