RICORDO DI PIO LA TORRE

PIO LA TORRE  SARA’ RICORDATO DALL’ANPI DI PALERMO  A TRENTANNI DAL SUO ASSASSINIO,  DURANTE LA SETTIMANA SULLE LIBERTA’, CHE VA DAL 25 APRILE AL PRIMO MAGGIO DI QUEST’ANNO.

di Ottavio Terranova

PIO LA TORRE  UN DIRIGENTE SICILIANO PROTAGONISTA NELLA LOTTA PER IL LAVORO, CONTRO LA MAFIA, PER LA PACE E PER IL RISCATTO DELLA SICILIA

La mattina del 30 aprile attorno alle ore 9 mentre si recava, come sempre, in macchina  alla sede regionale del PCI,  veniva barbaramente assassinato insieme al suo giovane autista Rosario Di Salvo.

Ai suoi  funerali, presente il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, vi partecipa una folla immensa proveniente da ogni parte d’Italia.

Dopo dieci anni di indagini si apre nell’aprile del 1992 il processo ai mandanti del duplice omicidio. Alla sbarra, tra gli altri, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco. Tutti componenti della cupola mafiosa. Il processo si concluderà in primo grado nel 1995 con la condanna  degli imputati all’ergastolo, sentenza confermata nei successivi gradi di giudizio, sino alla definitiva pronuncia  della Corte di Cassazione nel maggio del 1999.

 

CHI ERA PIO LA TORRE

Pio La Torre nasce nel 1927 ad Altarello di Baida, borgata di Palermo.

  Lui stesso ricordava, che nel suo piccolo villaggio abitato da contadini poveri, non vi era luce elettrica e l’acqua erano costretti  a prenderla a circa un chilometro da casa.

E’ in questo ambiente che Pio matura, fin da ragazzo, il suo amore per la giustizia sociale lottando sempre a fianco dei più deboli contro i soprusi, per la dignità e il riscatto dei siciliani.

Nel 1945 La Torre si iscrive al Partito Comunista Italiano di cui ne diventa dirigente attivo per  larga parte della sua vita.

Spesso i contadini siciliani esasperati per la loro povertà, si esprimevano con rivolte di massa  che si concludevano in sconfitte. La Torre colse subito l’indicazione di Girolamo Li Causi che, tornato in Sicilia subito dopo la liberazione, riteneva necessario orientare e organizzare questo profondo malessere in movimenti consapevoli dei propri bisogni e dei propri diritti; tutto ciò poteva avvenire attraverso i partiti e le organizzazioni sindacali che erano in grado di proporre radicali cambiamenti  nella vita quotidiana di donne e uomini.

Per questa politica egli darà tutto se stesso impegnandosi instancabilmente  su tre grandi obiettivi:  “IL LAVORO, LA LOTTA CONTRO LA MAFIA E LA PACE “.

Negli anni cinquanta organizza e partecipa attivamente all’occupazione delle terre per la riforma agraria e la fine del latifondo schierandosi subito dalla parte dei più deboli, pur sapendo che ciò poteva rappresentare per lui e per gli altri dirigenti impegnati sullo stesso fronte un grande rischio.

Il primo maggio 1947, all’indomani del successo nelle elezioni regionali di socialisti e comunisti, il bandito Giuliano in combutta con mafia agraria e forze oscure dello Stato, sparava senza alcuna pietà sui contadini riuniti per la festa del lavoro a Portella della Ginestra; vi furono dodici morti e settanta feriti; tra essi donne e bambini.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 furono assassinati diversi segretari di Camere del lavoro.

Pio La Torre consapevole del  bisogno di reagire con iniziative di lotta, si impegna nel vasto movimento che si andava realizzando in Sicilia e nel mezzogiorno d’Italia per l’applicazione dei decreti che aveva emanato, durante il governo di unità nazionale, il ministro dell’agricoltura Gullo.

La resistenza degli agrari fu feroce sia contro i contadini che contro coloro che li organizzavano e li difendevano.

In ogni angolo della Sicilia  interi nuclei familiari composti da uomini donne e bambini, a  piedi o a cavallo, andavano in corteo ad occupare le terre con bandiere variopinte e cartelli che riportavano la parola d’ordine “LA TERRA A CHI LA LAVORA”. Vi furono ovunque scontri con polizia e carabinieri che vennero schierati nelle campagne a protezione del feudo e  nelle fabbriche a protezione dei padroni.

Grazie al lavoro di Pio, del sindacato e di tanti altri giovani dirigenti si andava realizzando, anche se con alterne vicende, una concreta unità tra  contadini e operai per rivendicare un concreto rinnovamento della Sicilia.

Durante l’occupazione di un feudo, tra Corleone e Bisacquino, la polizia e i carabinieri pestarono a sangue molti contadini; a dirigere l’occupazione vi era anche PIO LA TORRE.

Molti furono arrestati e trasferiti al carcere dell’Ucciardone di Palermo. Anche Pio venne arrestato e rimase in galera, in attesa di un giusto processo, dal marzo 1950 all’agosto 1951.

In questo periodo gli morì la mamma, e la moglie Giuseppina compagna di vita e di lotta partorì il suo primo figlio.

La stessa notte in cui nasceva il suo primo bimbo, l’Assemblea regionale siciliana approvava la legge di riforma agraria per la quale si erano battuti i contadini siciliani.

Uscito dal carcere,  La Torre riprese con più vigore il suo impegno ricoprendo importanti incarichi sia nel P.C.I che nella C.G.I.L.siciliana. Eletto più volte nel consiglio comunale di Palermo, nel 1963 venne eletto nel Parlamento regionale e nel 1972 in quello nazionale.

Pio La Torre fu sempre un implacabile nemico della mafia da lui considerata un ostacolo a qualunque sviluppo della regione e un rischio continuo per la democrazia. Infatti, come componente della commissione parlamentare antimafia, fu relatore della relazione di minoranza assieme al magistrato e deputato comunista Cesare Terranova ( in seguito assassinato dalla mafia) evidenziando i limiti della relazione di maggioranza sulla complicità tra mafia e potere politico.

In tutti i suoi scritti egli continuò a denunciare questo connubio, facendo con coraggio nomi e cognomi, analizzando come si era configurato nel tempo il rapporto tra parti dello Stato e potere politico. Sulla base di questa profonda conoscenza avanzò precise proposte  riguardante gli accertamenti dei rapidi mutamenti patrimoniali e dei facili arricchimenti che tradusse in una proposta di legge conosciuta come legge “Rognoni La Torre”, che verrà approvata dopo la sua morte.

Mentre ricopriva la carica di componente della segreteria nazionale del PCI egli chiese insistentemente di potere ritornare in Sicilia, nella terra dove era nato e dove era cresciuto sia politicamente che sindacalmente.

La contrapposizione ideologica politico – milita,  che si era creata alla fine della seconda guerra mondiale, aveva portato alla creazione di due blocchi contrapposti.

Ciò determinò, attorno agli anni ottanta, un sempre maggiore corsa al riarmo, un crescente potenziale bellico  in grado di distruggere il mondo, e la presenza in Italia e nel Mediterraneo di diversi basi Nato, che portarono all’istallazione a Comiso, con il consenso del nostro governo, diversi rampe missilistiche,  Cruise e  Pershing II.

Il pericolo di questa presenza scatenò nell’isola una grande reazione di popolo e Pio La Torre, consapevole delle possibile conseguenze della militarizzazione della Sicilia, si impegnò  nell’organizzazione di un grande movimento unitario, mettendo insieme forze sane di varia estrazione accumunate nel rifiuto della logica della guerra e amanti della pace.

A Comiso, pacifisti da ogni parte del mondo e a tanti italiani, manifestarono per impedire la costruzione della base missilistica e in breve tempo si organizzrono grandi manifestazioni che coinvolsero il mondo cattolico e le  forze politiche e sindacali. La Torre capisce subito che bisogna moltiplicare le iniziative per contribuire a dare una svolta positiva agli incontri che i capi delle due potenze avevano organizzato a Ginevra per il disarmo e il nostro Pio, si pose l’obiettivo di raccogliere un milione di firme, che furono  raccolte in poco tempo, solo in Sicilia.

Pio La Torre, instancabile come trent’anni prima, non si ferma mai. Egli è consapevole che la posta in gioco è altissima; sa che potrà  pagare ancora di persona così come aveva  pagato per avere guidato con l’impegno e la passione che mai l’aveva abbandonato da vero siciliano i condadini e gli operai. Non a caso proprio i contadini  di Corleone dopo l’assassinio del loro Segretario Partigiano Placido Rizzotto, lo avevano voluto come segretario della loro Camera del Lavoro, sapevano benissimo che con lui avrebbero potuto continuare la lotta alla conquista della terra.

Il suo impegno verso questi contadini e gli operai delle fabbriche di Palermo, di cui conosceva i lati deboli e le grandi virtù, di fierezza, di combattività, di slancio sia nelle lotte sindacali che politiche, non conobbe soste durante la sua vita.

Penso che  da questo martire, anche come ANPI, dobbiamo trarne a distanza di trentanni, il migliore insegnamento e saperne tramandare il valore del suo instancabile impegno,  alle nuove e future generazioni.

Ottavio Terranova

Presidente ANPI Palermo e Cordinatore Regionale

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