Palermo Comandante Barbato, particolarmente impegnata nel recupero della memoria del contributo siciliano alla lotta di Liberazione dal fascismo e dal nazismo, è felice di riprodurre, su segnalazione del compagno Giuseppe Spallino, due ricerche della dott.ssa Angela Diana Di Francesca su due partigiani di Cefalù: Salvatore Culotta, partigiano “Cefas” e Lorenzo Spallino capo partigiano e menbro del CNL. Diamo inoltre notizia della cerimonia in memoria ed onore del partigiano Salvatore Narcisi che si svolgerà a Cammarata sabato 25 agosto alle ore 10,00. L’iniziativa si deve ai cittadini del Comune di Maggiora in provincia di Novara insieme al loro Sindaco, ed alcuni esponenti dell’ANPI dello stesso Comune, per commemorare il sacrificio del partigiano Salvatore Narcisi nativo di Cammarata fucilato nel 1944 con altri tre giovani nelle campagne vicino a questa cittadina piemontese, dalle truppe nazi-fasciste.
Scheda110: SALVATORE CULOTTA, il partigiano “CEFAS”; Scheda111: LORENZO SPALLINO capo partigiano e membro del CNL
Scheda110: SALVATORE CULOTTA, il partigiano “CEFAS”
“Se avessi saputo che mi avresti portato via la figlia, invece di curarti avrei preso il fucile”. Queste le parole scherzose rivolte dal suocero a Salvatore Culotta, il partigiano “Cefas”, che, ammalato di broncopolmonite, trovò rifugio in una delle famiglie più in vista di Tiglio (Lucca), dove venne generosamente curato nonostante i rischi che comportava nascondere un partigiano, e dove trovò l’amore. Lui e la figlia del suo ospite, Vera, pur essendo entrambi sentimentalmente impegnati, capirono subito che qualcosa di speciale sorgeva tra loro, e a guerra finita, entrambi interruppero i loro legami e decisero di sposarsi e di andare a vivere in Sicilia.
La vita di Salvatore Culotta, nato il 30 ottobre 1920 e morto il 16 febbraio 1989 a Cefalù, è una vita “da film”.Era marinaio a La Spezia alla data dell’armistizio (1943), e spostandosi verso sud decise di aggregarsi in Toscana ai gruppi partigiani della Garfagnana guidati dal comandante “Ernesto”.
Col nome di battaglia di “Cefas”, scelto in omaggio al suo paese d’origine, partecipò a varie azioni militari. La ferocia dei tedeschi durante la ritirata creava odio nelle popolazioni, che manifestavano invece grande solidarietà nei confronti dei partigiani. Cefas viene ricordato come commilitone da Lindano Zanchi , vicecomandante di Manrico “Pippo” Ducceschi della XI formazione operante nella zona dell’altopiano delle Pizzorne, valle della Pescia, vallata della Lima, Garfagnana, Alpi Apuane nella loro parte meridionale:
“Era fra noi un siciliano ed era Cefas (Salvatore di Cefalù)”
Zanchi riferisce delle azioni militari a cui partecipò Cefas, che viene indicato con l’appellativo di “il Siciliano”. Una è la liberazione di Molazzana:
“Arrivati in paese, senza incontrare resistenza, feci disporre le postazioni dei Bren e detti ordine agli altri “ragazzi”, armati di fucili semiautomatici, di coprirci mentre con altri due compagni, il Siciliano, e, forse, Ulisse Lena mi avviai su per il castagneto che sovrasta l’abitato. Giunti in cima ci mettemmo a osservare attentamente il luogo, al cui centro erano campi coltivati e sulla nostra parte una casa colonica in disuso.
Il Siciliano entrò nei campi, recintati da una siepe di pruni, da dietro la casa; e nello stesso momento mi accorsi che, una fila di elmetti tedeschi si stagliava oltre e a filo dell’altezza della siepe aldilà del campo coltivato che lo recintava. I tedeschi erano seduti al bordo del castagneto adiacente, ma posti più indietro. Cercai di richiamare l’attenzione del Siciliano, il quale intento a guardare altrove, non si era reso conto del pericolo. Vedendo muoversi alcuni dei tedeschi, mi accingevo a sparare con il Bren che s’ inceppò.
Fortunatamente il mio compagno sentì qualche rumore, si girò, mi vide allarmato e in posizione di sparo cosicchè capì immediatamente la situazione e, al mio cenno, ci segui. Tutti insieme: il Siciliano, Ulisse ed io ci buttammo giù per il castagneto dal quale eravamo saliti e, appena fummo fuori pericolo, quasi all’asfalto della strada, i nostri compagni, avvistati i tedeschi, cominciarono a sparare riuscendo a coprirci. I tedeschi si ritirarono e si ripiombò nel silenzio. Trascorsi una ventina di minuti tornammo sul poggio; non c’era più nessuno. Nel breve giro di mezz’ora circa, cominciò un fitto tiro di mortai. Non avemmo nè morti nè feriti e restammo a Molazzana ancora in attesa di notizie.
Di lì a pochi giorni, il comando ci richiamò per lasciare il posto ai locali partigiani ”
Cefas è presente anche alla battaglia di Sommacolonia:
“La notte della vigilia di Natale fummo riportati a Barga con camionette dell’OSS perché era iniziata la battaglia su a Sommocolonia …Ricordo che incontrai Cefas e che salii al piano di sopra da dove si vedevano i tiri di partenza delle cannonate e i proiettili traccianti che colpivano il paese.
Il mio gruppo era composto da sette o otto uomini di cui sicuramente ricordo Ulisse Lena e il Siciliano (Cefas)”.
Aveva combattuto con coraggio facendo una scelta di libertà, Salvatore Culotta. Ma non amava ricordare quei tempi. A chi gli chiedeva qualcosa, rispondeva che l’unica cosa che voleva ricordare era la cosa più bella che gli era successa, l’aver trovato la compagna della sua vita.
(grazie alla figlia Sara per il contributo dato alla ricostruzione)
Angela Diana Di Francesca
Scheda: LORENZO SPALLINO capo partigiano e membro del CNL
La storia di Lorenzo Spallino è una bella storia di ieri, significativa anche oggi. E’ la storia di un uomo che conobbe la lotta armata ma che odiava la violenza, tanto da intestarsi, per 7 anni, una scomoda battaglia in Parlamento per limitare l’uso delle armi da parte delle forze di polizia nella lotta al contrabbando, reato a quei tempi molto diffuso. La storia di un cattolico senza integralismi, sempre attento a salvaguardare la sua indipendenza di giudizio, a volte per questo criticato più dagli amici che dagli avversari.
La storia di un uomo colto e semplice, che amava giocare a bocce e leggere George Bernanos, un uomo che provò gli onori ma non l’arroganza del potere.
Nato a Cefalù il 24 settembre 1897, fin da giovanissimo contribuì alla vita sociale e culturale della sua città e insieme ad altri giovani della sinistra cattolica che si ispiravano a don Sturzo, fu (con Giuseppe Giardina e Giuseppe Giglio) tra gli animatori del giornale L’Idea, fondato nel 1920. L’Idea si caratterizzava per il richiamo ai valori della libertà, della giustizia, della pace, nel difficile periodo che seguì alla prima guerra mondiale, (a cui Spallino partecipò come ufficiale di fanteria ottenendo la “croce al merito”). Negli anni dell’affermazione del fascismo, la testata osteggiò la nascente dittatura pagando la sua indipendenza con la sospensione delle pubblicazioni.
Uno stralcio dell’articolo apparso dopo la morte di Matteotti e le violenze che ne seguirono, testimonia l’acutezza politica del giovane Spallino che, mentre molti cattolici, sedotti dal fascismo, ne abbracciavano l’ideologia, aveva subito compreso, al di là delle propagande populistiche, la natura profondamente violenta e antidemocratica del Regime: “Dopo il 1870 l’Italia non ha avuto per fatti e idee politiche tanti morti quanti in questi ultimi tempi in cui tanto si parla di rigenerazione, grandezza, amore di Patria. Ora la misura è colma. Noi invochiamo pace, giustizia e libertà. Tutte cose che non ci sono neanche apparentemente, perché per avere pace occorre sottomettersi, per avere giustizia occorre passare all’altra sponda, per avere libertà occorre confrontarsi con i seguaci di Farinacci. Non esistono nazionalisti e antinazionalisti. Esistono dei cittadini a cui fu elargita una Costituzione che garantiva loro la libertà di riunione, di opinione, di stampa.”(citato da D. Portera).
Lorenzo Spallino completò gli studi di giurisprudenza a Como dove conobbe e sposò Linda Fogliani dalla quale ebbe due figli. Membro del Partito Popolare italiano e avvocato del sindacato cattolico delle “Leghe Bianche”, negli anni della dittatura svolse un’attività di propaganda antifascista per cui nel ’44 fu deferito al tribunale speciale e arrestato. Partecipò alla Resistenza come capo partigiano e nel 1945 fu fatto il suo nome per trattare la resa della Questura di Como, anche se poi tale trattativa di fatto non ebbe luogo e la vicenda si concluse tragicamente con la morte del questore di Como Pozzoli che pure, per la sua moderatezza, godeva la stima di Spallino e di altri partigiani.
Fu membro del Cnl e nel primo congresso di Napoli del ’45 fu eletto nel Consiglio nazionale della Dc.
Il suo nome appare collegato anche all’inchiesta sul cosiddetto “oro di Dongo”, cioè il “tesoro” di valuta e preziosi che i fascisti in fuga nel Comasco portavano con sé. Nel libro “L’oro di Dongo”, di Urbano Lazzaro, si afferma: “Dopo la Liberazione il CLN di Como in riunione straordinaria di tutti i membri, Stella, Magni, Spallino, Sforni, Boncinelli, Bernardi, Scionti e De Angelis, […..]richiese all’ex comandante del gruppo GAP di Como Sabino Di Sibio, cui erano stati assegnati compiti di polizia, di accertare provenienza e liceità dei materiali ex bellici trattenuti in dotazione o in uso dai diversi Comandi partigiani”. Fu questo l’inizio dell’iter per la ricostruzione del mistero dell’Oro di Dongo. Spallino è menzionato anche nel libro “Ombre sul Lago”, di Giorgio Cavalleri, dove si accenna a una sua interpellanza “circa la conoscenza dei documenti per quanto riguarda il cosiddetto “tesoro di Mussolini”.
Dopo la Liberazione Spallino si dedicò alla carriera politica che non gli fece però mai abbandonare il suo lavoro di avvocato e la sua semplicità di vita. Diventato senatore nel 1948, fu sottosegretario alla Giustizia con Fanfani, Segni e Tambroni, e nel 1957 assunse la carica di ministro delle Poste e Telecomunicazioni .Una curiosità: toccò a lui disporre con procedura d’urgenza il ritiro del famoso francobollo detto “Gronchi rosa”, emesso esattamente 50 anni fa nel 1961 in occasione del viaggio del presidente Giovanni Gronchi in Sudamerica, per evitare un incidente diplomatico col Perù che nel francobollo era stato raffigurato erroneamente senza l’area del “triangolo amazzonico”. Il caso provocò interrogazioni parlamentari e persino l’intervento di una commissione d’inchiesta che accertò che l’errore del “Gronchi rosa”, diventato prezioso per il collezionismo, era stato casuale e non programmato per motivi speculativi.
L’anno precedente, 1960, si era verificato un altro episodio singolare: nella trasmissione “Controcanale” la battuta “L’Italia è una repubblica fondata sulle cambiali” pronunciata dal presentatore Corrado, e citata qualche volta ancora oggi, determinò accese polemiche e interrogazioni in Parlamento. Spallino la definì “parodia infelice” e minacciò provvedimenti. A difesa del programma si schierò Indro Montanelli. Tutto finì però con le scuse degli autori e la promessa di “comportarsi bene” in futuro. Il.programma non fu sospeso e completò le 5 puntate previste.(L’episodio è riferito nel libro di Aldo Grasso “Storia della televisione italiana”).
Ma l’anno 1960 si era caratterizzato per ben altri problemi. Fu quello “l’anno del governo Tambroni”. Quando, il 6 aprile 1960, iI governo Tambroni ottenne la fiducia della Camera con i voti a favore di Dc, Msi ed ex monarchici, Lorenzo Spallino, secondo alcune fonti, si dimise insieme ad altri della sinistra democristiana, per protesta e per coerenza con le sue idee antifasciste. Ma altre fonti, come il sito del Senato che ne ricostruisce l’attività politica, lo indicano come sottosegretario di Stato per la Grazia e Giustizia dal 2 aprile 1960 al 25 luglio 1960.
Chi sa se si sarà sentito responsabile dei morti che una polizia a cui per paura della “piazza” era stata data “licenza di uccidere” provocò a Reggio Emilia e in Sicilia (11 morti, uno a Licata, cinque a Reggio Emilia, quattro a Palermo tra cui un ragazzo di 14 anni, uno a Catania), lui che al ripudio etico e umano della violenza si era sempre ispirato.
Fin dall’inizio dei suoi mandati parlamentari, aveva portato avanti una importante battaglia civile volta a impedire l’abuso della reazione armata nella repressione del fenomeno del contrabbando.
Aveva visto con i suoi occhi a Moltrasio i finanzieri sparare contro un’auto che tentava di fuggire, senza che da parte dei contrabbandieri ci fosse stato alcun atteggiamento minaccioso. Aveva sentito, lui avvocato, il racconto di una madre che si era visto uccidere il figlio sorpreso con due sacchi di sigarette. E sapeva, per averne conosciuti e difesi tanti, che quei ragazzi che ai valichi delle frontiere sfidavano la legge non erano criminali, ma gente senza lavoro e senza prospettive per cui ci sarebbero volute soluzioni sociali e non giudiziarie.
Se perdeva qualche processo e il contrabbandiere finiva in carcere, inviava anonimamente del denaro alla famiglia che altrimenti non avrebbe avuto da mangiare.
Quando nel 1952 fu respinta la sua proposta di legge sull’ “uso delle armi da parte dei militari e degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria in servizio alla frontiera” , fu visto piangere.
Ma non si diede per vinto.«I contrabbandieri che muoiono uccisi dalla polizia – affermava – sono dei condannati a morte senza processo. E il nostro governo ha abolito la pena di morte». Ripresentò ogni anno negli anni successivi la proposta, considerato un “donchisciotte” anche dai compagni di partito, finchè nel 1958 la legge che impediva la “licenza di uccidere” fu finalmente approvata.
Spallino morì in un incidente stradale il 27 maggio 1962. Amava l’arte e non risparmiava per acquistare quadri d’arte moderna -Casorati, Carrà, Frisia, Campigli, Manzù, Guttuso,.-, meritandosi qualche rimprovero della moglie, perchè i guadagni dei politici di allora non erano tali da incoraggiare spese “sconsiderate”. Quella sera, alla guida della sua auto, una vecchia Lancia, -niente auto blu, niente autista- ritornava da Milano, dalla casa dell’artista Mario Sironi dove era andato ad acquistare due dipinti. Erano due oli su tela, e raffiguravano dei contrabbandieri.
Il giorno dopo L’Unità, giornale del Partito Comunista, titolava: «È morto un galantuomo».Angela Diana Di Francesca