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POMPEO COLAJANNI
Carismatico comandante partigiano, valoroso combattente e membro del Partito Comunista: Pompeo Colajanni, nome di battaglia Nicola Barbato, fu un personaggio che seppe lottare per i propri ideali per tutta la vita, in pace e in guerra. Con la IV Brigata Garibaldi scrisse pagine importanti sul libro della Resistenza. Gente tosta i suoi uomini, capaci di far perdere il sonno a più di un gerarca fascista o nazista che fosse.
Pompeo Colajanni era un siciliano atipico, di terra e non di mare. Nato nel 1906, studiò a Caltanissetta, divenne avvocato e si schierò, giovanissimo, contro l’avvento di Mussolini. Non solo. Militante convinto del PCI clandestino fu tra i fondatori di un’organizzazione di cui facevano parte giovani repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti. Questa attività gli costò numerose perquisizioni e, in seguito, la prigione.
La Seconda Guerra Mondiale lo vide inizialmente far parte dell’esercito. Anche se la sua attività clandestina certo non si fermò in questo periodo. Già, perché prima di arrivare alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo aveva organizzato in segreto l’Amil (Associazione Militare Italia Libera) a cui aveva aderito un folto gruppo di giovani ufficiali. L’8 settembre 1943, come detto, lo ritroviamo in Piemonte, tenente anziano a Pinerolo, nel 1º Reggimento “Nizza Cavalleria”. Un grado che non rispecchiava affatto le sue doti, dal momento che gli era stata negata la meritata nomina a capitano a causa dei suoi trascorsi antifascisti. Ma la sua vita tra le fila dell’esercito italiano era destinata a finire molto presto. Fu in quel fatidico 1943, infatti, che Pompeo Colajanni disubbidì agli ordini del suo diretto superiore e abbandonò la caserma con un gruppo di soldati a lui fedeli. Tra loro c’erano anche Vincenzo Modica “Petralia”, Giovanni Latilla “Nanni” e Massimo Trani “Max”, che diventarono, in seguito, tutti protagonisti della lotta partigiana, al comando di diverse unità garibaldine.
(L’ANPI Palermo ha il piacere di ricordare, oltre a Vincenzo Modica “comandante Petralia” siciliano, fra i tanti altri siciliani che si aggregarono nelle formazioni garibaldine “Carlo Pisacane”, Mauro Zito “partigiano Palermo” di recente scomparso.)
A CONTATTO
CON I POLITICI COMUNISTI
Da qui iniziò la battaglia contro i nazifascisti portata avanti con destrezza, coraggio e senza esclusione di colpi. Una vicenda che ebbe il suo punto di partenza proprio a Pinerolo passando per Barge, nella valle Po, dove Pompeo si diresse, assieme ad alcuni militari del proprio reggimento, guidando automezzi carichi di munizioni. Qui prese contatto con politici comunisti che avevano formato il primo gruppo di resistenza che darà vita, in seguito, proprio alle “Brigate Garibaldi”. Colajanni si aggregò e si trovò quindi a combattere spalla a spalla con Ludovico Geymonat, Antonio Giolitti e Gian Carlo Pajetta. Le sue competenze militari fecero la differenza: in breve tempo quello che era un gruppo di resistenti nato spontaneamente si trasformò in una delle prime formazioni partigiane attive, il 1° Battaglione Carlo Pisacane. “Petralia”, “Nanni” e “Max” ne presero parte divenendo suoi luogotenenti.
NEL RICORDO DI UN EROE DEI FASCI SICILIANI
Ed è proprio a questo punto che Colajanni incominciò a farsi chiamare Nicola Barbato, adottando il nome del famoso medico fondatore dei Fasci Siciliani tra il 1891 e 1893. Una scelta tutt’altro che casuale. Entrambi gli uomini, infatti, si esposero direttamente e non ebbero paura di lottare per il proprio credo: se il primo divenne una delle figure di spicco del socialismo italiano tra fine Ottocento e inizio Novecento, il secondo prese parte personalmente a pericolose operazioni di guerriglia.
Le capacità organizzative e le sue gesta coraggiose valsero a Colajanni, nel 1944, la promozione a comandante di brigata e poi a comandante militare della 1ª Divisione Garibaldi Piemonte. Molti furono i combattimenti e le incursioni in cui si distinse, sempre in prima linea, di fianco agli amici partigiani e allo stesso tempo capace di infondere loro forza grazie al carisma e all’autorevolezza della sua forte personalità. Le sue unità, tra il marzo e il settembre 1944, superarono duri attacchi dei tedeschi. In seguito, il grosso dei combattenti venne ridistribuito sul territorio piemontese secondo la strategia della “pianurizzazione”, passando così da guerra di resistenza a guerra di liberazione.
L’INGRESSO TRIONFALE
NEL CAPOLUOGO PIEMONTESE
Sotto la guida di Barbato le formazioni garibaldine piemontesi crebbero, di numero e capacità di azione, al punto che nacque una seconda divisione, la II Garibaldi Piemonte. Colajanni lasciò il comando al suo braccio destro “Petralia” e assunse la guida dell’VIII Zona partigiana piemontese. Nell’aprile del 1945 organizzò l’attacco finale sferrato a Torino da nordest, distinguendosi anche in questo caso per intelligenza tattica. Fu lui, infatti, a coordinare l’azione della I e la XI garibaldine, appartenenti alle unità autonome di “Mauri” e del Gruppo Operativo Mobile di Giustizia e Libertà. Un’operazione organizzata in modo impeccabile, ma Colajanni non aveva fatto i conti con John Stevens, capo della missione locale alleata, che, per favorire l’ingresso a Torino delle truppe anglo-americane, mandò un falso messaggio ai partigiani intimando di interrompere la marcia. Barbato fiutò l’inganno e le formazioni fecero il loro ingresso trionfale nel capoluogo piemontese.
DEPUTATO A ROMA
Dopo la liberazione le attività di Colajanni si susseguirono febbrilmente. Prima vicequestore di Torino, pochi mesi dopo divenne sottosegretario alla difesa nei governi di Ferruccio Parri e Alcide De Gasperi. Tornato in seguito nella sua terra, fu consigliere comunale di Palermo, mentre nel 1947 fu eletto Deputato regionale in Sicilia per il Blocco del Popolo, federazione politica formata da PSI e PCI. Qui rimase per sei legislature, ricoprendo anche la carica di vice presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, fino alle sue dimissioni nel 1969. Tornato a Torino, nel 1975 fu eletto alla Camera dei Deputati subentrando a Vito Damico e ci restò fino al 1976. Non solo. Colajanni fu anche consultore nazionale, membro del comitato centrale del PCI, segretario delle federazioni comuniste di Enna e Palermo e consigliere nazionale dell’ANPI. Un impegno politico, il suo, vissuto in modo serio e profondo, in periodi di guerra come di pace. Solo la morte, avvenuta a Palermo nel 1987, mise fine ad una militanza sentita, prima di tutto, come un imprescindibile dovere morale.