Come insegnava Tucidide bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro

 

Dai Fasci Siciliani alla trattativa Stato mafia: Squarciare le nebbie che avvolgono la storia d’Italia.

Da una intervista al giudice istruttore del caso Moro che a distanza di trenta ani ha fatto riaprire il fascicolo presso la Procura di Roma ed ha raccontato la sua testimonianza nel libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” pubblicato da Newton Compton Editori 

Morte di Moro, il giudice Imposimato: “Vi spiego il complotto”

Lei ha fatto riaprire un fascicolo sul caso Moro. Perché a distanza di così tanti anni è importante per l’Italia fare luce su questo episodio?
“Perché come insegnava Tucidide bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro. Dalla morte di Moro, il più grande statista che ha avuto l’Italia dalla nascita della Repubblica, è iniziata una parabola discendente del nostro Paese dalla quale non ci siamo ancora ripresi. Purtroppo sono andati al potere quelli che io ritengo i responsabili della sua morte”.

A chi si riferisce in particolare?
“Ad Andreotti e a Cossiga”.

Oggi l’Italia è guidata dal governo delle larghe intese. Che differenza c’è tra l’attuale fase politica e il compromesso storico?
“C’è un abisso. Il compromesso storico era il frutto di un accordo che puntava alla tutela del lavoro. Le larghe intese invece hanno come preoccupazione principale la salvaguardia degli interessi della finanza e dei politici di assalto”.

 

di Michael Pontrelli

 

Ferdinando Imposimato è stato il giudice istruttore del caso Moro di cui ha condotto i primi tre processi. Tra i tanti casi importanti seguiti nel corso della sua lunga carriera quello del rapimento e dell’uccisione del leader democristiano lo ha segnato particolarmente. A distanza di oltre 30 anni, ha fatto riaprire il fascicolo presso la Procura di Roma ed ha raccontato la sua testimonianza nel libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” pubblicato da Newton Compton Editori.

Iniziamo dal sottotitolo del suo libro. Perché Aldo Moro doveva morire?
“Perché c’erano diversi moventi contro di lui. Prima di tutto le ambizioni politiche e private dei suoi compagni di partito tra cui Giulio Andreotti e Francesco Cossiga i quali intervennero, secondo le dichiarazioni di un testimone che saranno accertate dalla magistratura di Roma, per indurre il generale Dalla Chiesa a desistere dall’operazione militare di salvataggio”.

Quindi un movente di antagonismo intermo alla Democrazia Cristiana.
“Esatto, come del resto aveva capito già da tempo lo stesso Aldo Moro il quale disse che all’interno del suo partito c’era un gruppo di destra coinvolto nella strategia della tensione”.

Gli altri moventi?
“Due fattori internazionali. Uno che faceva capo agli Stati Uniti e ad altri paesi dell’occidente come Inghilterra e Germania e un altro che faceva capo all’Unione Sovietica. I servizi segreti di questi Stati hanno avuto un ruolo attivo nella vicenda”.

Perché l’America aveva interesse ad eliminare Moro?
“Per impedire il compromesso storico. Per gli Stati Uniti era inaccettabile il peso del Partito Comunista nel più importante paese del Mediterraneo. Questo fatto costituiva una spina nel cuore dell’apparato difensivo occidentale in quanto all’epoca si pensava che il Pci fosse legato a Mosca”.

La posizione degli Stati Uniti non desta particolare sorpresa. E’ meno facile invece comprendere la contrarietà dell’Unione Sovietica a Moro.
“Anche la Russia vedeva nel compromesso storico una minaccia e questa posizione è confermata dall’offensiva scatenata da Mosca anche nei confronti di Enrico Berlinguer. Nel libro cito un episodio del 1973 che è stato scoperto solamente 18 anni dopo. Si tratta di un attentato organizzato dal Kgb contro il segretario del Pci durante una visita in Bulgaria che si salvò da un incidente stradale simulato solo per puro miracolo. Fu lo stesso Berlinguer a volere che il fatto non venisse divulgato”.

Molti aspetti di questa triste pagina della storia italiana si stanno chiarendo dopo più di 30 anni. Lei è stato il giudice istruttore del caso. Se fosse possibile tornare indietro farebbe le stesse cose di allora? Sarebbe stato possibile far emergere la verità da subito?
“No, non sarebbe stato possibile. Il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali e russi cambia lo scenario ma non dal punto di vista esecutivo e organizzativo. Le Brigate rosse hanno materialmente eseguito la strage di via Fani e il sequestro e omicidio di Aldo Moro. La sentenza di condanna delle Br rispecchia i fatti. Quello che io non sapevo all’epoca, e che è emerso solo successivamente, è che la prigione del presidente della Dc era stata trovata da organismi dello Stato e quindi che sarebbe stato possibile evitare la sua morte”.

Possibile che niente facesse pensare fin da allora che qualcosa non tornava?
“All’epoca non c’era il minimo indizio che potesse far credere ad un comportamento simile da parte dello Stato. Quando qualcuno faceva delle ipotesi in questa direzione io addirittura respingevo con sdegno tali affermazioni, ovviamente sbagliando”.

Un certo Nino Arconte ha sostenuto di essere un ex agente dei servizi segreti italiani e di averle dato copia di documenti importanti per fare luce sulla vicenda. Conferma?
“Si confermo pienamente”.

Lei ha fatto riaprire un fascicolo sul caso Moro. Perché a distanza di così tanti anni è importante per l’Italia fare luce su questo episodio?
“Perché come insegnava Tucidide bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro. Dalla morte di Moro, il più grande statista che ha avuto l’Italia dalla nascita della Repubblica, è iniziata una parabola discendente del nostro Paese dalla quale non ci siamo ancora ripresi. Purtroppo sono andati al potere quelli che io ritengo i responsabili della sua morte”.

A chi si riferisce in particolare?
“Ad Andreotti e a Cossiga”.

Oggi l’Italia è guidata dal governo delle larghe intese. Che differenza c’è tra l’attuale fase politica e il compromesso storico?
“C’è un abisso. Il compromesso storico era il frutto di un accordo che puntava alla tutela del lavoro. Le larghe intese invece hanno come preoccupazione principale la salvaguardia degli interessi della finanza e dei politici di assalto”.

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