Carlo Smuraglia: Confronto sulle riforme costituzionali

Non siamo conservatori, ma il cambiamento si realizza solo nel solco della Costituzione e nel quadro di una democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza

Carlo Smuraglia: Introduzione
(Roma, 29.4.2014,Teatro Eliseo)
Consentitemi, prima di tutto, di esprimere la mia emozione nel vedere questa bella sala
strapiena, con tante bandiere, fazzoletti dell’ANPI, ragazzi e ragazze, giovani e anziani,
di cui molti venuti da lontano (Sicilia, Sardegna, Piemonte, Veneto, Calabria, per dire
solo alcune delle provenienze); tutti col sorriso di chi è felice di incontrarsi, di ritrovarsi
insieme in una bella iniziativa della propria Associazione, su temi di grande importanza.
A tutti i presenti, che non sono solo iscritti all’ANPI, anche ai molti che non conosco,
che hanno ricevuto l’invito o semplicemente hanno visto i manifesti, un grazie di cuore
per la presenza qui, in una giornata importante e ricca di calore, anche se poi destinata al
ragionamento ed alle riflessioni più che sui dati puramente emozionali.
In questa sala c’è tutto l’orgoglio dell’ANPI, rigorosa custode dei valori costituzionali e
per questo ha promosso questa manifestazione. Preciso subito che non è per avviare un
cammino solitario, ma per lavorare unitariamente con tutti coloro che credono, appunto,
nei valori di fondo che devono regolare la vita del nostro Paese.


Sono quindi particolarmente lieto di aver ricevuto diverse adesioni di Associazioni che
hanno sempre dedicato il loro impegno al sostegno dei valori e princìpi costituzionali; e
di aver qui sul palco alcuni vecchi amici con i quali siamo legati, da molti anni, da
rapporti di stima e amicizia e che ho sempre apprezzato per le loro qualità e per la loro
preparazione. Parlo di Stefano Rodotà e Gianni Ferrara, ma mi riferisco anche a
Lorenza Carlassare, che non ha potuto venire e di cui ho letto la lettera di disappunto
per l’impegno che l’ha tenuta lontana da Roma.
Anche lei appartiene alla categoria di coloro che studiano, lavorano, riflettono e non
improvvisano; una qualità che sta diventando rara, ma che me la rende sempre più
amica, stimata ed apprezzata.
Sono lieto anche della presenza, qui in sala, di una qualificatissima delegazione della
CGIL, a riprova del fatto che anche con loro c’è una condivisione profonda, quali che
siano poi le soluzioni specifiche che ognuno preferisce, sul fatto che le riforme
costituzionali sono una cosa seria e dunque le modifiche necessarie devono essere
ponderate, rispettando – per quanto possibile – la volontà espressa dai Costituenti e gli
equilibri, fatti di pesi e contrappesi e soprattutto di garanzie per i cittadini, da loro
indicati e che sono, in linea di principio, aggiustabili ma non alterabili.
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Infine, un ringraziamento particolare è dovuto ad Elena De Rosa, finalmente una
giovane (ma in realtà ce ne sono tanti, oggi, di giovani, in questa sala), scelta non “per
far figura”, ma perché è una giovane intelligente e in gamba, a cui abbiamo chiesto non
solo di dare l’avvio a questo incontro, ma di condurlo e di dirci il pensiero suo e di altre
ragazze e ragazzi sul tema delle riforme.
Questa iniziativa, per noi è anche una sfida: perché si tiene a breve distanza dal 25
aprile, che ha costituito un altro grosso impegno, per noi; perché non si basa sulla
raccolta di firme e adesioni, che poi si risolvono spesso in un dato formale, ma solo su
alcune adesioni di rilievo, per significare che non siamo soli e tali non resteremo; e se
non abbiamo fatto una raccolta di firme individuali, abbiamo però ricorso alla
collaborazione di persone come Rodotà, Carlassarre, Ferrara, di cui vi sono note le
qualità e l’impegno, e di altri che, spiacenti, non hanno potuto intervenire.
Questa manifestazione vuol rompere il muro del silenzio, informare veramente i
cittadini di quale è il problema reale; e vuol dare il via ad una mobilitazione dell’ANPI
su tutto il territorio nazionale, per informare i distratti o quelli che non sanno, per
chiarire, per appoggiare e sostenere chi si oppone ad una iniziativa di riforma che ci
sembra inadeguata, per alcuni aspetti improvvisata e per altri ancora addirittura
rischiosa per i diritti dei cittadini e la tenuta dei necessari spazi di democrazia.
C’è, insomma, in questa iniziativa, l’orgoglio di una Associazione di grande tradizione e
di grande autorevolezza morale, che peraltro ha raccolto attorno a sé, il 25 aprile, solo a
Milano centomila cittadini.
Orgoglio che non significa presunzione. Non pensiamo di avere la verità in tasca e non a
caso abbiamo chiesto il contributo di alcuni esperti, in un momento in cui i professori,
gli esperti, nelle sfere governative, non vanno di moda, anzi sono da trattare quanto
meno con ironia.
Ma, si sa, le convinzioni espresse anche da fonti qualificate non sono sempre sorrette da
una robusta cultura giuridica e talvolta soffrono di una certa spericolatezza, non solo sul
piano della cultura istituzionale, ma addirittura su quello della cultura senza aggettivi.
Come può un Ministro o la Vicesegretaria di un importante partito pensare di poter
richiamare all’ordine e al rispetto della disciplina di partito il Presidente del Senato, che
si permette qualche osservazione sul progetto di riforma del Senato?
Come si può pensare, di trattare un gruppo di Senatori che avanzano un progetto
alternativo di riforma e lo sostengono, come soggetti “in cerca di visibilità”?
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Come si può concepire il rifiuto del confronto, il continuo richiamo ai “professoroni”,
con toni di sufficienza?
Io capisco che ognuno abbia il diritto di tenere alle proprie scelte e magari di
privilegiare gli incontri, le trattative e i confronti con chi ritiene più utile. Io, che sono di
gusti antiquati, continuo a preferire l’incontro, la collaborazione e magari il confronto,
con persone pulite, serie e di elevata cultura, come Rodotà, Ferrara, Carlassare,
Zagrebelsky e tanti altri, se non altro perché, anche se avanza l’età, sono sempre
“freschi di studi” nel senso che non smettono mai di interrogarsi, porsi problemi,
studiare soluzioni, senza arroganza e senza alterigia e senza mai far valere il fatto che
loro, agli studi e agli approfondimenti, hanno dedicato una vita.
Ma veniamo a noi, a questa bella e significativa giornata.
La prima cosa che io penso si debba evidenziare è la ragione per cui parliamo di
“questione democratica”.
In effetti, è assurdo discutere la possibile riforma del Senato come se fosse isolata, una
sorta di problema tecnico, o addirittura, un problema di risparmio di spese (che in tema
costituzionale è una vera bestemmia: le istituzioni vanno rese efficienti e corrispondenti
alle necessità dei cittadini, indipendentemente dai costi).
Veniamo da lontano: in questi anni, c’è stata una lenta, ma continua erosione degli spazi
di democrazia. Ne farò soltanto un’elencazione sommaria:
L’abuso della decretazione di urgenza e del voto di fiducia;
l’applicazione, in concreto e per molti anni, di una legge (il porcellum) che nega diritti
fondamentali dei cittadini e la rappresentanza;
gli accordi tra due soggetti, entrambi fuori dal Parlamento (ed uno per ragioni
particolarmente gravi), che poi vengono posti a base di scelte e decisioni intangibili dei
rispettivi partiti;
l’approvazione di una legge elettorale (italicum) solo in un ramo del Parlamento, del
tutto contraria alle promesse ed agli impegni (restituire la parola ai cittadini) e
soprattutto contraria alle preziose indicazioni della Corte Costituzionale, proprio in
materia;
infine, un progetto di riforma dell’istituzione centrale dello Stato, il Parlamento, che
squilibra fortemente il sistema costituzionale, assegna tutti i poteri ad una Camera,
composta anche con l’apporto del premio di maggioranza; eliminando ogni contrappeso
ed ogni strumento vero di garanzia (perché il Senato concepito dal Governo non è
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neppure una Camera di serie B; non è nulla, in concreto), contemporaneamente
riducendo la rappresentanza dei cittadini, che la Costituzione riferiva a due organi
Parlamentari ed ora si restringerebbe ad una sola.
Questa è già una questione, seria, di democrazia. Il resto è contorno; ma quale contorno!
Il disinteresse per la rappresentanza, a vantaggio della sola governabilità;
lo spregio per il dissenso e perfino per le osservazioni propositive;
l’idea di fissare tempi stretti (da parte del Governo, che dovrebbe restare estraneo), con
una data fissa collegata non ad un emergenza istituzionale, ma una convenienza politica
che alla fine (benché ciò venga smentito) appare di natura elettorale.
la convinzione di poter imporre tutto, con la disciplina di partito, anche in materia
costituzionale (si stanno facendo grossi passi indietro, verso tempi e modi che
credevamo sepolti per sempre);
il trattamento per i dissenzienti, che dimostra il fastidio di chi decide e non vuole essere
turbato nei suoi propositi.
Questo dà un’idea anche di ciò che significa l’ultima parte del progetto governativo, con
l’introduzione dell’istituto del voto a data certa, che significa attribuire al Governo il
potere di dettare il calendario parlamentare o comunque di annullare – se vuole – ogni
possibilità vera di iniziativa parlamentare e perfino di seri e approfonditi dibattiti
parlamentari.
Di questo stiamo dunque parlando, non di modelli teorici di Senato, che sono
abbondanti e sui quali si potrebbe scegliere, ma badando a criteri reali: l’efficienza del
sistema parlamentare; le garanzie di equilibrio dei poteri; l’effettività della
rappresentatività dei cittadini e la loro reale possibilità di partecipare e far sentire la
propria voce.
Chiarito questo, il mio intervento può essere breve, anche perché abbiamo diffuso
ampiamente la posizione dell’ANPI, anche in questa sede; non senza notare come i
partiti, i politici, la stampa si mostrino pochissimo interessati a conoscere il pensiero
altrui, magari anche il nostro, che in mille modi si è cercato di sottoporre ad una cortina
fumogena.
Dunque:
siamo per la differenziazione del lavoro delle due Camere; è un’esigenza reale, anche
se bisogna riconoscere che ci sono state occasioni in cui il bicameralismo “perfetto” ha
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reso servizi positivi su questioni fondamentali; ma adesso è venuto il momento di
cambiare, però a cinque condizioni fondamentali:
a) che si mantenga il sistema elettivo
b) che si colga l’occasione per trasformare il Senato in una vera camera Alta, per
la rappresentatività, per la qualità dei componenti, per il tipo di funzioni.
c) che contemporaneamente si faccia una legge elettorale conforme alle
indicazioni della Corte Costituzionale, sì da ridare possibilità di scelta ai
cittadini, consentendo forme effettive di rappresentanza (senza esclusioni
eccessive); limitando il premio di maggioranza a misure ragionevoli.
d) che si indichino forme adeguate per qualificare (nel senso di migliorare, per
qualità e competenza) la composizione del Senato (autonomia, competenza
culturale e scientifica, non interessi corporativi).
e) che si riservino ai regolamenti parlamentari la disciplina dei tempi ed i casi di
priorità, ponendo fine al sistema per cui sono i Governi che dettano tutto,
perfino i tempi della discussione, sempre in nome della governabilità.
Quanto ai modelli, la scelta è molto ampia, fra i modelli studiati e quelli sperimentati.
Va notato, peraltro:
1. Al di là della conta numerica, che non ha significato, il dato è che tutti i Paesi del
G8 sono bicamerali; quindici Paesi del G20 sono bicamerali; quattro miliardi di
persone su 5,5 (esclusa la Cina, che fa parte a sè) sono rappresentati da sistemi
bicamerali: tutte le grandi democrazie adottano il modello bicamerale (un vero
modello bicamerale, nel senso che le due Camere hanno pari rilievo e pari
autorevolezza), particolarmente diffuso quanto più il Paese è caratterizzato da
complessità;
2. I Senati, in genere, rappresentano uno strumento di equilibrio e di riflessione nei
confronti della Camera bassa, espressione della maggioranza di Governo;
3. Un bicameralismo vero (ancorché differenziato) garantisce, secondo la diffusa
opinione degli esperti e studiosi, una migliore qualità della legislazione e una
maggiore stabilità dell’ordinamento giuridico;
4. Sui metodi di elezione, esistono due grandi criteri: Senatori eletti direttamente e
Senatori eletti in secondo grado, a cui si aggiunge il gruppo dei Senatori eletti con
sistema misto. L’elezione di secondo grado non è mai occasionale, ma è sempre
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diretta allo scopo specifico di comporre il Senato con persone elette specificamente
per quella funzione. Non è concepibile, in nessuno dei Paesi europei, un Senato di
serie B, composto di “volontari” eletti per fare altre cose.
5. Il Senato, come strumento di governo delle complessità, si esprime particolarmente
attraverso:
– la funzione di Camera di riflessione nel procedimento legislativo (salvo
alcune materie di rilievo sulle quali si esprime in forma di
compartecipazione).
– la funzione di controllo dell’attività di Governo rispetto alla
possibilità di “dittatura della maggioranza”; e di trasparente monitoraggio
sull’azione dell’esecutivo, sulle nomine, sugli enti pubblici, ecc.;
– la funzione di raccordo ed espressione delle entità e realtà territoriali che
costituiscono lo Stato.
6. I processi di riforma del Senato nell’ultimo ventennio, nei Paesi di maggior rilievo,
presentano queste caratteristiche comuni:
a) differenziazione tra i due rami del Parlamento
b) specializzazione “alta” delle funzioni del Senato
c) tendenza ad incrementare la democraticità complessiva
d) garanzia di maggiore efficacia nel rappresentare i territori, nei rapporti
di carattere internazionale e nei diritti fondamentali dei cittadini;
e) esigenza di razionalizzazione nei rapporti con l’esecutivo
f) rafforzamento dell’equilibrio dei poteri
g) esaltazione della funzione di raccordo con le realtà territoriali e
istituzionali.
In conclusione, i modelli possono essere diversi, ma hanno molte caratteristiche
comuni, tra cui il rafforzamento (con funzioni differenziate) di una Camera che deve
essere “ALTA” per qualificazioni e per competenze, deve avere funzioni di equilibrio di
poteri, deve consentire una piena rappresentatività dei cittadini.
Tendenze che rendono ancora più evidenti le linee da perseguire nel nostro caso,
anziché pensare ad una legge elettorale antidemocratica e anticostituzionale; perché il
mix di questi fattori (Senato declassato e legge elettorale che dà un potere quasi
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esclusivo ad una maggioranza di governo) può essere addirittura disastroso, per gli
effetti e gli squilibri che può produrre.
Insomma, sui modelli si può discutere, ma sulle linee di fondo no, perché le stesse
tendenze in atto dimostrano che in tutto il mondo avanza l’esigenza di rappresentanza e
di democrazia, anche per contrapporsi alle tendenze e spinte di una destra autoritaria e
populista.
Su questo dobbiamo attestarci, per avere una riforma del Senato non finalizzata al
risparmio, ma ad esigenze di funzionalità e di democrazia.
Abbiamo parlato di una “questione democratica” anche e soprattutto per questo. In tutta
Europa avanzano tendenze autoritarie e rigurgiti fascisti o neofascisti; c’è una forte
tendenza, in diversi Paesi, a restringere le libertà anziché a renderle effettive. Ebbene,
questo è il momento di rafforzare la democrazia, in ogni Paese, non di indebolirla;
questo è il momento di assicurare più partecipazione e più diritti ai cittadini, perché
facciano sentire non solo la loro voce, ma la forte esigenza di rappresentanza e di
sovranità.
Sarebbe, dunque, anche in Italia, del tutto sbagliato indebolire questa democrazia,
ancora troppo fragile ed esposta a rischi. Occorre, invece, rinforzare le linee generali
chiaramente espresse dalla Costituzione, che richiedono partecipazione, rappresentanza,
centralità del Parlamento, sistemi veri di garanzia.
Ridurre tutte queste problematiche a temi di spese e di risparmio, mi sembra davvero
assurdo; anche perché alla fine, differenziando le funzioni delle due Camere, si può
benissimo ridurre il numero dei componenti dell’una e dell’altra e unificare i servizi,
con evidente e sicuro risparmio, ma senza toccare le linee portanti del sistema ed anzi,
rinforzandole con una legge elettorale che venga incontro alle istanze dei cittadini e
corrisponda alle precise indicazioni della Carta Costituzionale.
Ho letto uno scritto interessante di un Senatore che stimavo molto quando faceva il
giornalista e che mi sembra conservi anche oggi la stessa linearità di princìpi e la stessa
autonomia. C’è una frase lapidaria con cui si conclude lo scritto intitolato “La
Costituzione merita rispetto”: “occorre una seconda Camera, non una Camera
secondaria. E una seconda Camera è tale se può esercitare una funzione di garanzia,
grazie ad una saggia specializzazione ed all’autorevolezza che le deriva dal voto
popolare”.
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Mi pare che colga nel segno e rappresenti con semplici parole il succo del nostro
intendimento e del nostro impegno.
Che è tanto maggiore, quanto più sentiamo il peso di una legge elettorale, per fortuna
approvata solo da una Camera, che non risponde, come ho detto, né a criteri di rispetto
della Costituzione né a criteri di rispetto dei diritti dei cittadini, né tanto meno al
principio di rappresentanza.
Insomma, e per concludere, non si tratta di essere conservatori. Anzi, siamo
favorevoli al cambiamento, ma nel solco della Costituzione e nel quadro di una
democrazia che si rafforza anziché ridurre gli spazi della rappresentanza.
Non ci considereremo soddisfatti, dunque, se non quando il Paese non si sarà dotato di
una legge elettorale veramente democratica; tra rappresentanza e governabilità si
privilegerà la prima, pur cogliendo anche le esigenze di stabilità; la Costituzione sarà
rispettata ed attuata nei suoi fondamenti e nelle sue linee di coerenza, apportando gli
aggiustamenti necessari alla stessa struttura parlamentare, ma senza togliere alcunché
agli equilibri ed alle garanzie che la Costituzione ci offre e che restano il fondamento
della vita consociata.
In questa direzione intendiamo lavorare, col contributo di quanti credono nella
Costituzione e nella democrazia e con un’informazione adeguata ai cittadini sulla reale
posta in gioco e sul loro interesse a soluzioni chiare, trasparenti e ponderate.
Comincia qui un cammino, che può anche essere lungo.
Ma questa forte presenza, questo calore e questa giornata magnifica di incontro mi
induce a pensare che se ci impegneremo come dobbiamo, ce la faremo, nell’interesse
del Paese e della democrazia.

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