VERSO IL SETTANTESIMO ANNIVERSARIO DEL SACRIFICIO DI NICOLO’ AZOTI
Nicolò Azoti, detto familiarmente “Cola”, fu assassinato alla vigilia del Natale 1946. Era stato gravemente ferito a Baucina (Palermo) in un agguato del 21 dicembre, tesogli dai grandi agrari del suo territorio (beneficiari per un ventennio della protezione del regime fascista) e dai loro gabelloti, fin dall’ottobre del 1944 coalizzatisi in “battaglia di classe” contro i decreti emanati dal ministro comunista Fausto Gullo che inaugurarono quella fase epica di lotte contadine destinata a concludersi con la riforma agraria (1950). “Cola”, non era un contadino, ma, per mestiere, un ebanista, anche se sarebbe meglio considerarlo un informale “intellettuale popolare” nutrito da una personale cultura libertario-antifascista, appassionato di musica e di teatro. Aveva dato senso operativo alla sua spiccata vocazione sociale mettendosi, da sindacalista della Cgil, alla testa e al servizio dei contadini per l’attuazione dei decreti Gullo, e fondando all’uopo la cooperativa agricola “San Marco”. Aver concretamente sfidato il fronte agrario-mafioso gli fu fatale. Così, può ben dirsi, egli cadde da anomalo “partigiano” sul terreno di quella specialissima “guerra di liberazione” combattuta dal popolo contro un asse di forze mafioso-fasciste, quasi in parallelo a quella combattutasi nel Centro.Nord d’Italia contro l’asse nazifascista. Nicolò Azoti fu uno dei protomartiri del lungo martirologio di quella guerra, tanto guerra di classe quanto guerra di civiltà. Sul caso esemplare della sua morte, a parte l’impunità assicurata ai suoi assassini, sarebbe calato per lungo tempo il sipario dell’oblìo. Ricordarlo oggi, ormai restituito alla venerazione della migliore Sicilia e della migliore Italia dopo la provvida rivendicazione della figlia Antonella, è un fatto che certifica quanto sia ancora possibile che la storia compia degli atti di giustizia, se alimentata da memoria e passione civile.
Giuseppe Carlo Marino
I discorsi, le belle parole, le speranze gridate al microfono, le canzoni eroiche, tutto è finito,
e le bandiere ripiegate di uomini sorridenti, tornano alle case;
ma le mie labbra,
ripetono sempre, nuovi nomi: di tutti oggi voglio ricordarmi,
ogni nome un ricordo,
e una nuova stretta al cuore, che trattiene le lacrime.
Gli occhi, aridi fissano, lontano.
Al di là delle Alpi, a monte, di un grande fiume, il Danubio, mura,
tragiche mura,
ornate da pagode, delimitano, un campo di morte, Mauthausen
grondante sangue proletario.
Da Pasquale Cucchiara, “Altri Uomini, Storie di antifascisti e partigiani favaresi”.
Questa bellissima toccante poesia è stata scritta da Antonio Galiano di Favara, in occasione della sfilata dei partigiani a Milano il 25 aprile del 1947. Operaio a Milano partecipa agli scioperi del 1944 e poi finisce deportato a Mauthausen e a Gusen dove viene torturato e martoriato.
La provvida rivendicazione di Antonella e il “di tutti oggi voglio ricordarmi” di Antonio ci riportano al decisivo difficile cammino per il recupero della memoria, per disvelare la Storia.