STORIE DI PARTIGIANI: CANI SALVATORE Campobello di Licata

ringraziamo l’autrice della ricerca Carmela Zangara  cui si deve questo ulteriore importante recupero della memoria

In sperduti paesi arroccati sulle cime più alte delle Prealpi, o nelle dormienti valli alpine, non è raro trovare inciso su   cippi commemorativi ai Caduti della Resistenza il nome di soldati meridionali. Giovani che dopo l’8 settembre del 1943 salirono sui monti per combattere il nazifascismo pagando con la vita il prezzo della   libertà, catalogati genericamente come caduti della II guerra mondiale che però si distinsero per il valore tramandato al Nord Italia nei luoghi teatro degli eventi ma sconosciuto ai più – e a volte agli stessi familiari -nella loro terra di Sicilia.

Nasce da qui il mio impegno per il recupero della memoria di questi eroi ancora dimenticati, verso i quali avverto un debito di riconoscenza poggiando sul loro sacrificio la nascita della nostra democrazia.

Cani Salvatore di Giuseppe e Giordano Raimonda, nato a Campobello di Licata il 31 ottobre 1920 è uno di questi giovani eroi da aggiungere ai 230 nominativi di Caduti presenti nel mio libro Per liberar l’Italia…I Siciliani nella Resistenza 1943-1945 essendo a pieno merito uno dei primi partigiani caduti per la libertà. L’8 settembre lo colse in servizio a Savona in Liguria là dove subito dopo l’armistizio si formarono quattro nuclei partigiani: a Dego nella frazione S. Giulia, a Mentenotte di Cairo, a Bormida e sulla Montagna Roviasca di Savona.

Salvatore , figlio di contadini e contadino lui stesso, seguendo la tradizione dei Fasci siciliani, non esitò a schierarsi col distaccamento della Stella Rossa del Comandante Angelo Bevilacqua, operante nella zona di Santa Giulia prima e Gottasecca poi.

E tuttavia già il 10 dicembre del 1943 il Distaccamento si dovette sciogliere sia per scarsa organizzazione di uomini inesperti nella lotta armata clandestina, sia per alcune delazioni che causarono l’arresto di molti suoi membri così che Salvatore fu costretto a transitare nel gruppo di Bormida che aveva la sua sede in una impervia località dell’alta valle Bormida a 900 metri di altitudine nella Cascina Bergamotti, una di quelle tradizionali cascine disposte su due piani, al pianterreno la cucina e al primo piano le camere coi letti a castello.

Qui era ospitato il gruppo di partigiani di cui faceva parte Salvatore, ai quali se ne aggiunse un altro che , giunto alla cascina più o meno all’ora di pranzo del 29 dicembre, fu accolto dal proprietario con un piatto di minestra fumante.

Era la fine del 1943, un anno di grandi stravolgimenti e di grandi speranze. La sera di San Silvestro i contadini di Bormida mandarono su alla cascina una torta e alcune bottiglie di vino affinchè anche i 10 partigiani ivi ospitati accogliessero il nuovo anno festosamente. Si fece festa sino all’alba.

Era però nell’aria un vago presagio di imminente pericolo, tant’è che il Commissario politico Molinari riunì i suoi uomini per comunicare loro che da quella stessa sera sarebbe iniziato il servizio di guardia .

Il giorno di Capodanno trascorse tranquillo, a sera la sentinella Barberis di Osiglia montò di guardia. La notte era fredda e buia. Il silenzio interrotto di tanto in tanto soltanto dal gufare lontano di un infreddolito assiolo. Albeggiava quasi e tutto sembrava a posto quando il partigiano a guardia intravvide in lontananza la sagoma scura di una lunga fila di uomini sul sentiero che portava alla cascina.

Comprese la gravità del momento e diede l’allarme sparando un colpo di pistola.

Sul sentiero intanto una squadra di tedeschi -guidata da esponenti della G.N.R. in borghese -cercava di raggiungere la cascina. Avevano poco prima, verso le 5,30 circa, fatta irruzione nel forno di Pian Sottano, intimando al fornaio ed al suo aiutante di condurli alla cascina Bergamut. Lungo il tragitto il fornaio aveva avuto un malore mentre il ragazzo non potè esimersi dal guidarli alla meta. In prossimità della cascina i tedeschi si erano divisi in due gruppi: uno era quello che la sentinella aveva intravisto, l’altro si era arrestato nei pressi del gruppo di case dette Fiaccone, in attesa dell’attacco.

Appena avvertito il Commissario Molinari diede l’allerta.

Svegliati di soprassalto, in una gran confusione alcuni tra i partigiani, che dormivano completamente vestiti per il freddo, fecero in tempo a disperdersi per il bosco retrostante, mentre altri subirono l’accerchiamento. Il rumore cadenzato del crepitio delle mitragliatrici durò sin quasi alle otto quando i monti rimbombarono di una forte esplosione alla quale seguì un inquietante silenzio.

Era successo che Ugo Piero, Enzo Guazzotti, Nino Bori e il Nostro Salvatore Cani, dopo avere eroicamente sostenuto e fronteggiato l’attacco, furono catturati  e uccisi. Non ancora sazi di vendetta, i nazisti si accanirono sui loro corpi buttandoli nel fienile al quale appiccarono il fuoco. Completamente carbonizzati, i resti mortali dei quattro caduti irriconoscibili, furono recuperati alcuni giorni dopo e pietosamente ricomposti dalla gente del posto.

Una stele in bronzo ed una lapide in marmo – apposta sulla Cascina -riporta i nomi dei quattro Caduti a memoria del loro sacrificio.

Dall’atto di morte di Salvatore Cani -pervenuta al Comune di Campobello di Licata per la trascrizione in data 3 marzo del 1956 e redatto nella seduta del 25 gennaio 1956 dalla Commissione interministeriale preposta all’accertamento dei morti dispersi in guerra- si evince che il partigiano siciliano è sepolto nel Campo M., fila 6° tomba N° 19 del cimitero di Savona.

Carmela Zangara

Bibliografia:

  • Atto di morte
  • Malandra Guido, Il Distaccamento partigiano della Stella Rossa a Santa Giulia e Gottasecca, Anpi Savona, 2006
  • Toscani Gianni (a cura di), Partigiani martiri della Resistenza, Sulle vie della memoria Le lapidi dei partigiani in provincia di Savona, L. Editrice, Anpi Savona

 

 

 

 

 

 

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