Donatella Alfonso
“Chi lotta e continua a fare resistenza non invecchia mai…” sorride sicura Vanda Bianchi, la partigiana “Sonia”, con la sua medaglia d’oro di staffetta partigiana bene in vista e il fazzoletto rosso da garibaldina in mano, mentre Fabio Fazio l’abbraccia per interromperne il flusso appassionato di parole. “Vandina” come tutti la conoscono a Sarzana e nello spezzino, è stata una delle presenze più forti nelle tre serate della trasmissione di Fazio e Saviano su La7 “Quello che (non) ho”. Ed è anche una delle testimoni in prima persona che ho incontrato lavorando a “Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti inLiguria 1943-1945” edito da De Ferrari.
Incontrare queste donne è stato come percorrere il Novecento dalla parte delle donne. Vanda “la figlia del sovversivo”, così come Zenech Marani che dopo la guerra porta in fabbrica la necessità di tenere sempre la schiena dritta, Maria Grazia Pighetti che unisce il profondo sentimento cristiano alla necessità di una grande libertà intellettuale, Rosalda Panigo, la decana di tutte con la sua data di nascita nel 1915 e la certezza, già nel 1934, che “non eravamo cretine, perciò perché non potevamo votare?”. E ancora Gilda Piana che la sua lotta partigiana l’ha fatta “per amore di Pippo”, mentre Albertina Maranzana, allora studentessa di medicina, diventa poi la pediatra che sarà sempre dalla parte delle madri operaie; Carla Ferro che mette in scena una commedia “per la Croce Rossa” e invece raccoglie soldi per i partigiani anche dalle tasche di fascisti e nazisti, Mina Garibaldi che percorre la Riviera di ponente in bici, Mariuccia Fava che sale sui monti del Savonese perché sì, voleva sparare. E tocca a lei dover annunciare al figlio di Clelia Corradini, a sua volta giovanissimo combattente, che la madre è stata fucilata a Vado…
Testimonianze di prima mano, ma anche il doveroso ricordo di chi ha combattuto quella guerra silenziosa, taciuta, che è stata la Resistenza delle donne, il loro modo di dare una spallata fortissima al fascismo, sia dividendo il poco cibo che regalando un abito smesso, oltre che portare documenti e armi, quando non impugnandole direttamente.
Una guerra che è stata troppo poco ricordata e considerata, in Liguria forse più che altrove. Forse perché il riserbo insito nel dna dei liguri ha fatto la sua parte, ma anche perché è esistito un processo di innegabile rimozione della partecipazione femminile alla lotta partigiana, tranne in pochi casi, anche in una regione che peraltro ha sempre conservato una fortissima identità antifascista, anche con la prevalenza strica dei partiti della sinistra. Non è un caso che molte di queste donne raccontino di aver “ripreso il loro posto”, partecipando alla vita politica e alle attività dell’Anpi, ad esempio, in età avanzata, concluso il lungo periodo delle incombenze familiari. Ma è vero che la Resistenza, per tutte loro, è stata il confine che porta all’autodeterminazione, alla scelta di sapere da che parte stare, e perché: “Aver condiviso quest’esperienza significa aver deciso di non accettare l’ingiustizia, fosse anche in una riunione di condominio” spiega Carla Ferro.
E nella sua introduzione Lidia Menapace, staffetta partigiana, docente universitaria, senatrice e appassionata protagonista della vita e della politica ancora oggi, a 86 anni, segnala un fatto mai ricordato abbastanza: che è grazie alla esigua pattuglia delle donne costituenti che nella Carta fondatrice della Repubblica c’è l’articolo 3, riferito all’uguaglianza, proposto e sostenuto proprio dalle deputate.
A queste migliaia di donne che hanno combattuto la “loro” guerra, e che non hanno mai smesso di farlo, dobbiamo imparare a dire grazie. Io so che da queste “ragazze” che ho incontrato, ho imparato una delle più appassionanti lezioni della mia vita.
Donatella Alfonso “Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistentiin Liguria 1943-1945”. Ed.De Ferrari, pag. 185, euro 16,00.
Donatella Alfonso, genovese, giornalista de “la Repubblica”, si occupa di politica e cultura, storia sociale e movimenti delle donne