ANPInews n. 128 – 15/22 luglio 2014
ARGOMENTI
Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:
► Occorre promuovere un risveglio della coscienza civile e della partecipazione, per poter garantire alle nuove generazioni un futuro migliore (a proposito di guerre, violenze, riforme, disuguaglianze e democrazia )
La nostra Associazione vive soprattutto di memoria (quella vera, che non è solo un ricordo, ma molto di più) e del culto dei valori che ad essa si collegano e sono, a nostro modo di vedere, quelli che contano: la libertà, l’uguaglianza, la dignità, la solidarietà, la fratellanza, la pace, per citarne solo alcuni, i più salienti. Ma davanti a noi, in Italia e nel mondo, il panorama è addirittura sconvolgente. Prevalgono, ovunque, i falsi valori e i falsi miti e, con loro, l’indifferenza, la rassegnazione, il silenzio. Accadono fatti gravi ed importanti, alcuni drammatici, ma la risposta è modesta e spesso addirittura carente. La stampa ci parla di una situazione tragica sulla striscia di Gaza e nei rapporti tra la Palestina e Israele che peggiorano e sembrano avviare questi Paesi verso un nuovo, terribile conflitto. E il mondo che fa? I giornali ci forniscono foto terrificanti, di distruzione e di morte di civili, di donne, di bambini; ci parlano di preparazione di invasione, di prospettive di guerra.
E il mondo, l’Europa, che fanno? Guardano, “auspicano”, sperano, ma non fanno nulla di concreto per fermare le armi e riportare al dialogo e al confronto, difficile, ma pacifico. A che serve l’ONU, se non fa questo, né di fronte alla situazione gravissima in Medio – oriente, né di fronte ai massacri e alle violenze di diversi Paesi, in Africa? Possibile che non ci sia un modo per intervenire, per mettere – come si dice – pace, per ripristinare tavoli di trattativa, lunga, difficile, spesso sterile, ma almeno trattativa, che è sempre meglio della rovina dei
territori e dell’accumulo di cadaveri? Che fine ha fatto la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, che doveva costituire la base della convivenza civile, in tutto il mondo e la riaffermazione continua dei diritti umani?
E l’Europa, che dedica tanto tempo alla discussione sulla distribuzione dei posti nei nuovi organismi, non può trovare qualche spazio per parlare di pace e per imporre – senza armi, ma con l’autorevolezza e il rigore della sua unità – il ritorno al tavolo delle trattative e la cessazione del fuoco, in Medio-oriente, così come in ogni parte del mondo? Purtroppo, non solo gli Stati, ma anche i cittadini sono insensibili a quanto sta accadendo e non pensano neppure a come fare per intervenire, per riportare alla luce, ovunque, quei valori che all’inizio ho ricordato. Forse qualcuno addirittura si commuove, di fronte a certe foto; ma poi la vita continua, nell’indifferenza e nel dedicarsi alle occupazioni quotidiane, ai falsi valori, ai falsi miti, con i quali si tranquillizza, forse, la coscienza ma non si costruiscono né la pace, né la solidarietà, né la fratellanza.
Si stanno consumando, a quanto si legge, telefonate e incontri a livello europeo, sul tema di chi dovrà occupare il ruolo di “Alto Rappresentante per la politica estera dell’UE”.
E’ certo che la nomina di un’italiana tranquillizzerebbe quel tanto di orgoglio nazionale che ancora ci resta. Ma nessuno si chiede a che cosa gioverebbe la nomina di un’italiana o di una o un rappresentante di altro Paese, se poi tutta la stampa scrive che l’Europa non ha una
politica estera e quel posto rappresenta poco di più di un guscio vuoto, come per lo più è sempre stato.
Davvero non sarebbe possibile, accanto alle nostre “rivendicazioni”, collocare la pressante domanda di una politica estera vera dell’Europa, capace di intervenire non solo sui drammi dell’Ucraina, ma anche su quelli del Medio-oriente e dell’Africa? E davvero, non sarebbe più utile lavorare all’obiettivo della pace (che è indivisibile, ricordiamocelo) piuttosto che semplicemente a quello della ripartizione dei posti?
Ma non c’è solo questo, perché all’indifferenza si accompagnano, come ho accennato, i falsi miti, le promesse generiche, il richiamo a valori retorici e formali, se non, addirittura, quel tema della visibilità, che tanti problemi ha creato, da Berlusconi in poi.
Ancora una volta, i dati ISTAT sono non più solo allarmanti, ma disastrosi, perché il quadro, già tremendo, tende a peggiorare. Si acuisce il problema della disoccupazione, cresce la precarietà, soprattutto aumenta la povertà (compresa quella “relativa”). Si tratta di un autentico dramma, di fronte al quale un giornalista ha scritto che non basterebbe l’”Urlo” di Munch.
Ma nessuno grida, sembriamo rassegnati, tutti, al peggio, abituati alla disuguaglianza sociale, alla mancanza di equità, alla negazione di tutti i princìpi enunciati dalla Costituzione. Non ci sono rimedi efficaci, a breve, si dice, perché c’è la politica del rigore e dell’austerità e non abbiamo spazi finché non la cambiano.
Ma è davvero così? E’ davvero impossibile progettare qualcosa che ci porti fuori da una situazione come quella fotografata dall’ISTAT ed anche, in
questi giorni, dalla Caritas? In un Paese disastrato, con l’ambiente e le bellezze naturali e culturali che vanno a pezzi, è proprio inimmaginabile un progetto che miri a risolvere, nel tempo, questi gravissimi problemi, fornendo occupazione, favorendo il turismo, incentivando i consumi? Se si crede, come taluno afferma, che allo stato attuale nulla di tutto questo sia concretamente possibile, perché mancano i fondi, come mai nessuno pronuncia più quella magica parola (la “patrimoniale”) che, certo, aiuterebbe non poco a cominciare ad affrontare le vere questioni che affliggono il Paese? Si tratta di ritrosia, di preoccupazione per le alleanze di Governo o del timore di trovarsi di fronte allo sbarramento dei cosiddetti poteri forti? Ma allora, se così fosse, non si dovrebbero fare promesse e si dovrebbe almeno parlare chiaro e non suscitare attese concretamente inappagabili.
In un contesto del genere, non è singolare il fatto che si stia in silenzio perfino davanti allo scempio delle nostre principali istituzioni e della continua riduzione degli spazi della rappresentanza e dei diritti dei cittadini? Fra mille problemi, quelli del Senato e della legge elettorale sembrano, a tanti, ben poca cosa, di cui è giusto che si occupi chi ha il potere –dovere di farlo. Ma non si comprende che proprio questo è il guaio, perché il buon cittadino non può e non deve lasciare manomettere la Costituzione, non può consentire di essere privato di una parte della sua sovranità popolare e del suo diritto ad essere validamente rappresentato, con le opportune garanzie e con i necessari controlli.
E soprattutto non si può restare silenti quando risulta sempre più evidente, stando ai fatti, che si tratta di un problema di immagine piuttosto che di contenuti, perché bisogna assolutamente che il Presidente del Consiglio porti un primo risultato alla prossima riunione in Europa.
Basterebbe questo per drizzare le orecchie e chiedersi se è giusto che una riforma delle istituzioni principali sia fatta con l’obiettivo soprattutto di acquisire un’immagine di capacità decisionale e di forza, di fronte agli europei. E chi lo facesse non tarderebbe ad accorgersi che si sta combinando davvero un pasticcio, che verrà ulteriormente aggravato se passerà anche quella legge elettorale, che è stata già approvata dalla Camera, e che rappresenta una reale diminuzione di sovranità e di rappresentanza per i cittadini. Peraltro, aspettare a svegliarsi al momento del referendum, sarebbe assai pericoloso, perché ci stanno dicendo a chiare lettere che si sta facendo di tutto per approvare la riforma con una maggioranza (i
famosi 2/3) tale da escludere la possibilità, per i cittadini, di esprimersi, appunto in sede referendaria.
Purtroppo, il rischio è quello delle parole al vento, della impossibilità materiale di superare quella barriera, che perfino le varie forme di informazione stanno elevando contro la consapevolezza dei cittadini di ciò che sta realmente accadendo, in Parlamento, in tema di
riforme ed altro.
E’ questo silenzio che fa paura; è questa indifferenza che preoccupa; è questa rassegnazione che ci fa guardare, con angoscia, ad un passato che ci ammonisce che si può anche finir male quando si lasciano cadere i valori veri e si considerano con fastidio i “doveri” civili che sarebbero imposti addirittura dalla Costituzione.
E’ per tutto questo che è giusto rivolgersi ai governanti perché si ispirino solo al bene comune e all’interesse collettivo; ma è anche necessario chiedere ai cittadini di ricordarsi che la democrazia è, prima di tutto, partecipazione e che una vera democrazia è l’unica che può garantire pace, serenità, diritti.
Ciò che dobbiamo chiedere con forza – noi che crediamo nei valori veri e che in essi vediamo le nostre stesse ragioni di essere – è che si creino le condizioni per un risveglio delle coscienze, con la pretesa di un impegno reale per la pace, di maggiori spazi per la rappresentanza e per l’esercizio effettivo della sovranità popolare, più garanzie per i cittadini di una reale partecipazione.
E’ solo questo, assieme ad una rinnovata politica (che non è un male, in sé, come alcuni vogliono farci credere, ma anzi è il sale della democrazia, purché persegua davvero l’interesse della collettività e quindi sia capace anche di trasformarsi), che può garantirci contro i mali del presente ed i rischi del futuro. Solo questo può consentirci di promettere davvero e con serenità alle nuove generazioni, un futuro migliore.