Ci sono due cose che lasciano un sapore molto amaro nella vittoria della brexit e, per quel che penso, ambedue più gravi e di più lungo e greve impatto sulla storia di questo Continente: la prima riguarda il motivo di fondo della vittoria degli antieuropeisti, ovvero la paura diffusa nei confronti di un’ondata di immigrazione che per il 52% degli inglesi è evidentemente una minaccia all’assetto economico e all’identità culturale dell’Inghilterra. Gli argomenti che in queste settimane hanno riempito i giornali inglesi sono identici a quelli pronunciati da tutti gli schieramenti della destra europea, dalla Polonia alla Danimarca, dalla Francia alla Norvegia fino all’Italia di Salvini e di Grillo. Si tratta di argomenti speciosi, perché muovono talvolta (ma solo talvolta) da problemi reali, ma li stravolgono e interpretano attraverso le lenti deformanti della demagogia, del populismo, della xenofobia ovvero del razzismo e del nazionalismo più estremi, rinverditi dalla diffusione di movimenti e partiti neofascisti e neonazisti. E’ la tattica dell’approccio emotivo e irrazionale, che viene intenzionalmente alimentato per scatenare insicurezza, risentimento e paura, i tre fattori che nel secolo scorso hanno consentito di giungere al consenso e al potere i fascismi europei.
Il fatto è che la percentuale degli antieuropeisti non corrisponde ai numeri degli schieramenti politici dichiaratamente di destra nel Regno Unito; dovremmo quindi essere seriamente preoccupati che ci siano tanti cittadini schierati di fatto con una visione “di destra” dei problemi – e soprattutto delle soluzioni – in un Paese così centrale nella Storia del Continente come l’Inghilterra. Il secondo motivo di inquietudine sta nel la disaffezione, che sembra irreversibile, verso una visione che nasce da lontano, da Erasmo, Montaigne, Voltaire, Kant , Mazzini fino a Spinelli e Rossi, quella di un’Europa che si riconosce in alcuni valori che non mortificano, ma rinsaldano le diversità e le specifità dei singoli paesi-membri: la pace, il libero scambio di persone e cose, la tutela di uguali dignità e diritti per tutti i cittadini, la libertà nelle forme e istituzioni della democrazia rappresentativa. Il rifiuto di questo progetto, che trova anche da noi sostenitori e seguaci, corrisponde al fallimento di una integrazione europea giocata più sugli interessi dell’economia e della finanza che su quelli dei diritti e della partecipazione. C’è tuttavia qualcosa di più, che mi pare di legato ad altre incrinature pericolose della politica e della cultura europee, sempre più disancorate da una visione solidaristica ed egalitaria e allineate nel perseguimento a tutti i costi di interessi parcellizzati, ritagliati a misura degli egoismi nazionali . L’indebolimento dell’Unione coincide infine con una crisi internazionale che – con l’effetto concomitante della globalizzazione – ha visto ridurre il ruolo dell’Occidente rispetto all’ascesa politica, economica e militare delle nuove potenze mondiali (Cina, India, Indonesia, Sudafrica, etc); si aggiunga l’incognita delle prossime elezioni presidenziali negli USA, con un rischio Trump che riporta all’America prekennedyana, quella degli anni ’50, intollerante, razzista, sciovinista, aggressiva e bigotta. Per questi e molti altri motivi credo che l‘indebolimento dell’Unione conseguente alla brexit, al di là degli effetti sull’economia, sia una tappa drammatica della storia di questi anni, su cui conviene riflettere e discutere, visto che è ormai illusorio pensare che possa esistere una dimensione locale immunizzata dai contraccolpi delle vicende nazionali, continentali e mondiali.
Un pensiero alla povera Jo Cox, morta per una idea e una passione che la maggioranza dei suoi concittadini ha ignorato e archiviato senza interrogativi e senza incertezze.
Fausto Clemente