ANPI SICILIA – slargo G. Almirante a S. Gregorio e l’incredibile posizione della Storia Patria di Catania

A.N.P.I.

anpi-logo

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA

COORDINAMENTO REGIONALE SICILIA

 

                                                                                   Istituto Storia Patria per la Sicilia Orientale

                                                                    c.a. Presidente   Prof. Giancarlo Magnano di San Lio

                                                                                               storiapatriacatania2016@gmail.com

 

Oggetto: Nota di ANPI SICILIA – slargo G. Almirante S. Gregorio di Catania

 

Pregiatissimo Istituto Storia Patria per la Sicilia Orientale,

come ben noto in data 12 febbraio c.a. , con grande sfolgorio di nominali intenti di civici principi espressi dall’amministrazione comunale di S. Gregorio di Catania, in un’area cittadina del paese è stato inaugurato uno slargo intitolato a Giorgio Almirante.

Ebbene, l’art. 1 della vigente legge 23 giugno 1927, n. 1188, – ancora in auge, prodotta dalla dittatura fascista -, riguardo la toponomastica stradale a personaggi contemporanei, dispone che “ nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade i piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto, udito il parere della ( Regia) deputazione di storia patria…..”

Come Coordinamento regionale Sicilia dell’ANPI – Associazione Nazionale partigiani d’Italia – Vi rivolgiamo cortese richiesta al fine di conoscere le motivazioni che da parte di codesto Istituto hanno determinato parere favorevole, quindi il riconoscimento di valore patrio, civile e democratico ad un rappresentante del regime fascista, tra l’altro segretario della rivista “ Difesa della Razza” e capo di gabinetto nel Ministero della “Cultura Popolare” della R.S.I. – Repubblica sociale Italiana”, durante la drammatica fase storica di occupazione nazista dell’Italia, di efferata persecuzione degli ebrei e dei tanti patrioti che si impegnarono per riconquistare libertà e democrazia.

In attesa di Vs. risposta volgiamo Distinti Saluti

Coordinatore ANPI Sicilia

Ottavio Terranova

 

Palermo, 6 marzo 201

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“Per conservare la memoria della Resistenza bisogna fare di più. Soprattutto a scuola”

Smuraglia (Anpi): “Per conservare la memoria della Resistenza bisogna fare di più. Soprattutto a scuola”

Smuraglia (Anpi): "Per conservare la memoria della Resistenza bisogna fare di più. Soprattutto a scuola"
 Carlo Smuraglia 

Il presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia: “Bisogna sconfiggere i nemici della memoria, e per farlo bisogna spiegare di più il fenomeno della guerra di liberazione. Che non fu una guerra solo del Nord”

di ALESSIO SGHERZA

Intervista al Presidente Nazionale dell’ANPI
pubblicata nello speciale di www.repubblica.it:
Partigiani, vite di Resistenza e Libertà
Presidente Smuraglia, che rilievo ha oggi il ricordo della
Resistenza nella società?
Bisogna fare una premessa: in Italia c’è una tendenza all’oblio piuttosto forte. Le istituzioni non hanno fatto molto per conservare la memoria. Non solo della Resistenza, ma nemmeno di quello che è successo prima, di quello che è stato il fascismo. Perché è da lì che bisogna partire per capire. E’ stata più l’opera delle associazioni, come l’Anpi, a tramandare il ricordo. Al massimo le istituzioni organizzano un evento, si celebrano le date, il 25 aprile, gli eccidi, gli scontri. Ma l’analisi e lo studio sono molto più rari, e per questo l’Anpi ha lavorato molto. Per conservare la memoria e proteggerla.
Da chi?
La memoria ha tre nemici fondamentali, strettamente collegati: il primo è la debolezza stessa del ricordo in una società che si evolve molto velocemente; il secondo è la tendenza all’oblio; e poi c’è il tempo, che è un nemico implacabile se non ci sono nella società antidoti efficaci.
E come si costruiscono antidoti efficaci alla perdita di
memoria?
Io sono convinto che la memoria sia prima di tutto ricordo, delle persone e dei fatti, ma non ci si può limitare a questo. Lo sforzo che abbiamo fatto è unire il doloroso ricordo dei caduti, il caloroso ricordo dei fatti gloriosi alla conoscenza di un fenomeno che è estremamente complesso. Spesso si punta al racconto del dolore e ci si dimentica il tentativo di storicizzare e contestualizzare quelle vicende e darne una spiegazione.
Provi a darcelo, il contesto.
La Resistenza fu un’esperienza collettiva fatta da tante persone di origine diversa, di storia diversa, di formazione politica diversa o a volte assente. Gli obiettivi erano due: c’era quello di liberare l’Italia dall’occupante tedesco e dal regime fascista e quello di creare un paese democratico dopo 20 anni di dittatura. E dall’impegno di quei tanti è maturata la consapevolezza che poi ci ha dato la Costituzione.
Ma permangono anche convinzioni sbagliate sulla resistenza…
Certo. Non fu ad esempio solo lotta armata: moltissime donne non furono impegnate nella lotta armata, ma il loro aiuto fu fondamentale. Penso poi ai sacerdoti che si sono immolati per salvare i propri concittadini. E poi c’è un altro tipo di resistenza, quella dei militari che potevano scegliere e non si sono arresi. E per questo hanno subito la morte, in migliaia, come a Cefalonia. Quella di quei 20 mesi fu una Resistenza di tanti, che hanno contribuito in mille forme. Altra convinzione sbagliata è che fu solo un fenomeno del Nord Italia quando in realtà ormai è chiaro che fu nazionale, perché prese forma anche al Sud: intanto perché molti meridionali combatterono al Nord, ma anche per i tanti esempi di insurrezione nelle città del centro-sud che l’Anpi ha raccolto in un libro.
Qual è il punto debole della catena di quella memoria in Italia? La scuola? La cultura? La politica?
Dovremmo dire che c’è un punto debole diffuso, che riguarda un po’ tutti. Forse quello della scuola è il peggiore, perché spesso non si arriva nemmeno a studiare gli eventi di quel periodo. Ma anche le istituzioni, che dovrebbero difendere la memoria, spesso si limitano a celebrare le ricorrenze. E c’è una parte del mondo della cultura che ha preferito sottolineare solo le ombre e le colpe della resistenza, quando si sa come ogni fenomeno di quel tipo abbia delle luci e delle ombre, ma quello che conta è soprattutto il complesso di quell’esperienza. Non aiuta la conoscenza e la memoria fare libri per raccogliere singoli episodi che andrebbero contestualizzati e spiegati, condannandoli se del caso, ma inserendoli nel giusto contesto.
Del ruolo dei media cosa pensa?
Anche gli organi di comunicazione in genere non fanno abbastanza, non si parla a sufficienza di Resistenza in tv e sulla stampa. C’è insomma una responsabilità collettiva, con un epicentro sulla scuola.
I ragazzi non sanno niente. Non sanno perché celebriamo il 25 aprile con tanto impegno, a loro potrebbe sembrare retorica. Ma io conservo il ricordo dei giorni della liberazione come i più appaganti della mia vita. Per le strade incontravamo persone ridenti e felici, quella era la fine delle stragi, delle torture, la fine della guerra. Erano momenti di gioia inenarrabile. È un peccato perché un paese civile dovrebbe ricordare le pagine gloriose della sua storia. Noi ricordiamo più il Risorgimento, come se il 1943-1945 fosse ancora cronaca. Ma ormai anche la Resistenza è storia. E senza spiegare che quello fu un fenomeno pluralistico e intenso non si può capire come fu possibile mettersi d’accordo e dare vita alla Costituente.
Molti partigiani sono restii a volte a raccontare la loro esperienza. C’è chi dice che le storie dei singoli emozionano ma non fanno conoscenza.                                                                                                Come mai questa ‘riservatezza’?
È un fenomeno molto diffuso, ci sono molti casi di persone che sono state perseguitate o hanno combattuto e poi per anni non ne hanno voluto parlare. Pensano di non dover mettere la propria esperienza in primo piano, davanti a un fatto storico, come se la offuscassero. Ma è importante tramandare. La Resistenza è un mosaico che si ricostruisce da tante parti, anche se ovviamente nessuno può erigersi a monumento di quella storia. L’esperienza dell’uno deve integrarsi con quella degli altri. Io ad esempio ho studiato molto prima di parlare, per non limitarmi a raccontare la mia esperienza, ma per poter spiegare cosa significò quel fenomeno. Un esempio è
quello delle donne. Perché le donne non furono solo staffette, ma anche in molti casi combattenti. E anche se molti uomini avrebbero voluto relegarle a ruoli marginali, non fu così. Ma molte donne per anni hanno avuto pudore a raccontare la loro esperienza.
Come vede l’Italia di oggi rispetto a quella che è uscita dalla guerra?
Quell’Italia era un Paese distrutto, mancava tutto. Ma c’era una grandissima voglia di rimettere in piedi il paese. Con entusiasmo ci si attaccava alla possibilità che potesse risorgere e rinascere. A
distanza di tanto tempo noi viviamo in un Paese smarrito. Ha perso molto dei suoi valori, vive una crisi economica enorme, ma non c’è una reazione, manca la voglia di riscatto. C’è più indifferenza e assenteismo.
E l’Italia di oggi come vede l’esperienza dei partigiani?
Oggi la memoria è flebile. C’è magari rispetto per l’anziano partigiano, ma c’è meno rispetto per l’Anpi, che invece rappresenta i combattenti per la libertà e ne è erede e successore, come
riconosciuto anche da molte sentenze. Non è decisivo che molti partigiani che hanno combattuto la guerra di liberazione non ci siano più. Rappresentare i valori dei combattenti per la libertà di ieri e di oggi è la ragion d’essere di un’associazione come la nostra. Anche per quelli iscritti delle nuove generazioni, che diventano a loro volta portatori di quei valori.
di Alessio Sgherza
L o speciale di Repubblica.it è disponibile su:
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COMMEMORAZIONE PARTIGIANI SICILIANI

POGGIO DI OTRICOLI ( TERNI): 18 febbraio 2017

COMMEMORAZIONE DEI DEI PARTIGIANI SICILIANI: ORAZIO COSTARELLA ( Misterbianco/Catania),19 ANNI –medaglia d’oro-), DI BLASI GAETANO ( Calatafimi/Trapani, 20 anni, medaglia d’argento)POGGIO DI OTRICOLIPOGGIO DI OTRICOLI 2

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VERSO L’8 MARZO

VERSO L’8 MARZO

La strada difficile della Scienza e il maschilismo

In un articolo di Piero Bianucci13528841_10210192836601597_7969679669469404407_n13131372_10206159827095148_1070160418482450145_o apparso su ‘Le Stelle’ febbraio 2017, sulla figura di una grande esploratrice della materia oscura, Vera Cooper Rubin scomparsa nel giorno di Natale, si fa opportunamente anche riferimento a curiose incredibili difficoltà di ‘genere’ che, erroneamente, non ci si aspetterebbe nel celeste mondo della astrofisica. Il pensiero corre a Ipazia, la celebre matematica a capo della scuola neoplatonica di Alessandria senza arrivare alla tragica terribile fine complice il vescovo, poi santo, Cirillo di cui ci parla Socrate.

Vera Rubin del 1928 “misurando … la velocità di rotazione in circa 200 galassie…, verificò accuratamente che le stelle esterne orbitano ad una velocità almeno doppia rispetto a quella che dovrebbero avere secondo la legge di gravitazione universale di Newton”. Plausibile risposta a questo fenomeno trovava spiegazione nella ipotesi dell’esistenza della materia oscura. Aveva con le sue osservazioni messo in evidenza l’esistenza della materia invisibile. Dice Biancucci un lavoro da premio Nobel che però non porta Vera Cooper Rubin a Stoccolma, così come non ci potè andare Jocelyn Bell, la scopritrice di stelle di neutroni che dovette cedere il suo posto al suo professore, Antony Hewish.

Questo importante indizio dell’esistenza di materia oscura la Rubin lo scrisse in un articolo che fu rifiutato dalle due più importanti riviste di astrofisica. Lo presentò allora ad un convegno mentre era alle prese con la nascita di un figlio. Il 30 dicembre 1950 il Washington Post uscì col titolo “Una giovane mamma scopre il centro della creazione studiando il moto delle stelle”. Incoraggiata la Cooper Rubin presentò domanda per il dottorato alla Università di Princeton. Neanche le risposero. Non sapeva che le donne non vi erano ammesse, divieto che durerà fino al 1975. Ma riesce a lavorare con Georges Gamow, uno dei profeti del Big Bang, che aveva notata la sua intelligenza. Ormai è una astronoma affermata. Ciò nonostante non era consentito né a lei né ad altre donne accedere al telescopio di 5 metri di Monte Palomar, il telescopio all’epoca più grande del mondo. Anche se la strada per abbattere il maschilismo è ancora lunga, questa barriera verrà abbattuta. Ormai dice Biancucci, Vera Cooper Rubin è diventata la “ dark lady”, anzi la “dark queen” che con l’enigma della materia oscura fa intravvedere all’orizzonte forse una “nuova fisica”.

Angelo Ficarra

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IL CONFINE ITALO SLOVENO E L’ECCIDIO DI PORZUS

E’ con attenzione e desiderio di approfondimento, senza concedere nulla ai vari tentativi di revisionismo storico, che ospitiamo l’intelligente e appassionato intervento della nostra compagna Carmela Zangara sull’eccidio di Porzùs emblematica tragedia destinata a proiettare un’ombra su tutta la vicenda della Resistenza dell’area friulana.

L’alba di quel mercoledì 7 febbraio del 1945 spuntò pigra sulle alture di Attamis, località sulle Prealpi Giulie, svelando appena oltre le umide malghe dai tetti spioventi e dalle pietre dai colori autunnali, un paesaggio intorpidito dal rigido inverno dove ogni cosa diventava grigia e uniforme, persino i monti della Carnia a stento modulati.

In una di queste malghe – tipiche costruzioni ad uso di mandrie e pastori – di Topli Uork -poi Porzus- era allocato il Quartier generale della Divisione Osoppo.

Una ventina di uomini in tutto che quel mattino dormivano ancora quando il gruppo GAP di Toffanin   irruppe prepotentemente nella malga uccidendo il comandante Francesco De Gregori   portando via i restanti 13 prigionieri. Nell’alba appena abbozzata si potevano scorgere a mala pena le loro sagome confuse con il paesaggio rivelando soltanto il movimento ritmico dei corpi che si inerpicavano su per il viottolo scosceso, procedendo lentamente come chi non vorrebbe andare oltre. A guardarli da vicino i volti erano cupi, lo sguardo perso in un punto lontano, mentre con rassegnata arrendevolezza andavano incontro alla esecuzione soltanto rimandata, non annullata-

Tra loro anche sei siciliani. Il più anziano, Pasquale Mazzeo Cariddi messinese, brigadiere di guardia di finanza di 31 anni col conterraneo Antonio Previti Guidone e al madonita Antonio Cammarata Tony di Petralia Sottana era arrivato alla malga il giorno prima 6 febbraio col gruppo di Guido Pasolini, Ermes fratello di Pier Paolo.

Già di stanza alla Divisione Osoppo erano gli altri tre siciliani: Angelo Augello di Canicattì e Giuseppe Urso di Aragona, con Erasmo Sparacino,   palermitano di Santa Flavia.

Prima di entrare a far parte della Osoppo sia Previti che Giuseppe Urso avevano prestato servizio nel battaglione Zanon a Zara mentre l’Augello, il Mazzeo e il Cammarata provenivano dalla I Divisione Osoppo Est.

A prima acchito c’è da chiedersi quali siano le radici di questa triste pagina di storia, cosa avesse spinto in questa terra di confine i Nostri ad arenarsi – restandovi insabbiati -nelle sacche della contraddizione di una guerra partigiana   scontratasi   -guarda caso -con un’altra dissimile idea – anch’essa partigiana- divenuta nei fatti guerra interna di fazzoletti rossi contro fazzoletti verdi. Gli uni- i rossi – passati al nono Corpo sloveno, gli altri -i verdi – accusati a torto di tradimento- legati invece ad un’idea partigiana più moderata ed autonoma. Guerra controversa   implosa all’interno stesso della Resistenza su cui neppure il lungo processo è riuscito a diradate del tutto le ombre che soltanto adesso cominciano a dileguarsi.

Ma veniamo ai fatti. Dopo avere assistito all’esecuzione del loro comandante e dei suoi,   i 13 partigiani furono giustiziati   a gruppi nei giorni successivi. Il 9 in località Prepotto di Rocca Bernarda fu giustiziato il carabiniere Angelo Augello Massimo insieme a Saba Salvatore di Cagliari,   Enzo D’Orlandi di Cividale e Gualtiero Michelin originario della provincia di Venezia; l’indomani mattina, 10 febbraio , fu la volta del carabiniere Giuseppe Urso, Aragona, e di Erasmo Sparacino di Vincenzo, di anni 24, nome in codice Flavio,   fucilato dietro la caserma dai Tedeschi nel bosco Musich in località Restocina, nel comune di Dolegna.

Su Flavio esiste un’altra versione più recente fatta dal testimone Silvano Dionisio che asserisce essere stato catturato dai tedeschi e   fucilato a Cividale del Friuli il 12/2/1945.

L’ultima esecuzione del 18 febbraio – avvenuta in località Novacuzzo di Prepotto nel Bosco Romagno – fu quella del gruppo di Pasolini di cui facevano parte- come si è detto-   Pasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata, insieme a Franco Celledoni e Primo Targato, tutti giustiziati.

I loro corpi rimasero insepolti sul luogo dell’esecuzione sino a giugno quando furono ritrovati da Mons. Moretti sotto gli alberi del bosco.

«Caduti pai nostris fogolars» è scritto sul cippo di pietra a ricordo dell’eccidio. E mai epigrafe fu più efficace ed incisiva. Morti per la nostra libertà di pensiero e di azione.

Carmela Zangara

Segue un ulteriore contributo di Carmela Zangara sull’eccidio di Porzus con vasti riferimenti storici.

Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro 
umile della famiglia, grossa testa di secondogenito, 
mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo 

tra le foglie secche, i caldi fieni 
di un bosco delle prealpi – nel dolore 
e la pace d’una interminabile domenica… 

Eppure, questo è un giorno di vittoria!

I versi dall’evidente dolorosa contraddizione violenza-vittoria, sono inseriti in una delle tante poesie che Pier Paolo Pasolini dedicò al fratello Guido caduto a Porzus. Vicenda quella di Porzus che in qualche modo è stata avvolta da un imbarazzato    silenzio istituzionale sdoganato soltanto nel maggio del 2012 quando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, recandosi a Faedis, rese omaggio ai Caduti, legittimandone la memoria e scoprendo una targa a ricordo.

Al silenzio istituzionale va poi aggiunto l’altro e più inquietante silenzio popolare che affonda le radici negli alveoli della rimozione collettiva soprattutto in Sicilia dove è ancora sconosciuta la vicenda dei sei siciliani che condivisero la stessa sorte di Guido Pasolini: Pasquale Mazzeo, Antonio Previti, Antonio Cammarata, Angelo Augelli, Giuseppe Urso, Erasmo Sparacino.

Ebbene tutto cominciò il 7 febbraio del 1945 quando, Ermes, Pasolini appunto, insieme ai compagni fu fatto prigioniero dai GAP e più precisamente dal  gruppo di Toffanin che era stato misteriosamente costituito cinque giorni prima il 2 febbraio del 1945 a Orsaria, presso Cividale, e altrettanto misteriosamente sciolto qualche giorno dopo i fatti di Porzus.

Il gruppo di Pasolini – che era giunto al Comando di Topli Uork   il giorno prima- era composto da tre siciliani: Cariddi, Guidone e Toni– nell’ordine Pasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata– capitanati da Centina, Aldo Bricco, altro comandante della Brigata Est Osoppo; e da altri due partigiani, Franco Celledoni, studente in medicina nativo di Faedis e Primo Targato della provincia di Padova, classe 1923.

Dunque i garibaldini irruppero all’improvviso al Comando allocato alle pendici delle Prealpi Giulie, dove c’era- e c’è – una ridente località del Friuli orientale chiamata Porzus e dove bellissimi prati sono disseminati qua e là da tipiche costruzioni rustiche ad uso di  mandrie e pastori, chiamate malghe. Quelle di Topli Uork in località di Porzus- ricadenti   sotto la giurisdizione della località di Faedis, comune di Attamis in provincia di Udine – erano state adibite a quartier generale della Brigata Osoppo.

Chiamate così dall’omonimo Comune in provincia di Udine, le Osoppo erano nate alla vigilia di Natale del 1943 presso il Seminario Arcivescovile di Udine con il concorso politico di Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione inglobando volontari sia di ispirazione cattolica che liberale e socialista. Essendo formazioni autonome, cooperarono con le altre formazioni garibaldine, di estrazione comunista, nella lotta antifascista contro i tedeschi che in quella terra di confine avevano istituito la Operationszone Adriatisches Kustenland.

I rapporti dell’Osoppo con i garibaldini e le formazioni partigiane slovene divennero però estremamente tesi dopo la decisione delle formazioni comuniste di passare alle dipendenze del 9º Corpus sloveno. Le Osoppo, invece, si rifiutarono di allinearsi alle formazioni titine, restando unicamente sotto il direttivo del Comitato di Liberazione italiano. Per tale via assunsero agli occhi dei garibaldini una sorta di connotazione anticomunista.

Si andava delineando, insomma, il terreno di scontro che sarebbe stato alimentato da altre e più complesse variabili. D’altra parte il Friuli orientale era continuamente percorso da rappresaglie naziste soprattutto dopo la caduta del territorio libero di Attamis.

L’eccidio di Porzus maturò, quindi, all’interno del coacervo di rivalità più o meno aperte tra comunisti sloveni- cui erano aggregati anche parte dei partigiani italiani- , nazisti e fascisti, giungendo al culmine nell’inverno del 1944- 45 quando si ventilò la notizia di incontri clandestini tra i vertici delle Brigate Osoppo e quelli della X Mas, incontri volti a concordare un piano antislavo- comunista.

La Brigata Osoppo Est divenne ipso facto nemica sia dei comunisti di Tito che delle frange partigiane estreme.

 

Dunque il gruppo di Toffanin in quell’alba gelida di Febbraio irruppe al Comando, disarmando prima il comandante della Osoppo Francesco De Gregori ( zio del cantautore) in codice Bolla uccidendolo poi insieme al commissario politico del Partito d’Azione, Gastone Valente “Enea“, al ventenne Giovanni Comin e ad Elda Turchetti indicata da Radio Londra come “spia” dei tedeschi. Infine portarono via oltre al cospicuo bottino altri 13 prigionieri osovani, tra cui sei siciliani

Due erano di Messina: il brigadiere della Guardia di Finanza Pasquale Mazzeo di 31 anni e il carabiniere Antonio Previti classe 1919 in servizio a Zara nel battaglione Zanon prima di entrare nella Osoppo ; altri due della provincia di Agrigento: Angelo Augello – nome in codice Massimo – nativo di Canicattì 22 anni, in servizio nella I Brigata e Giuseppe Urso di Aragona classe 1923 anche lui proveniente dal battaglione Zanon passato poi alla Osoppo; infine gli ultimi due della provincia di Palermo: Antonio Cammarata di appena 22 anni, nome in codice Toni , di   Petralia Sottana, un piccolo Comune montano sulle Madonie ed Erasmo Sparacino, nome in codice Flavio, di Santa Flavia.

Pasquale Mazzeo, e Antonio Cammarata appartenevano al Reparto Comando della I Brigata Osoppo Est, presumibilmente alle dipendenze del comandante Primo Cresta il quale collaborava strettamente col comandante del Gruppo Est delle Brigate Osoppo Bolla, Francesco De Gregori.

 

Il gruppo dei tredici prigionieri, dopo avere assistito alla esecuzione del loro Comandante De Gregori e di Gastone Valente, in codice Enea, furono condotti al Comando garibaldino per essere interrogati. Il giorno dopo smistati presso i battaglioni Ardito e Giotto, dopo avere subito processi sommari furono giustiziati a gruppi nelle località di Bosco Romagno, Restocina e Rocca Bernarda.

In località Prepotto di Rocca Bernarda il 9 febbraio fu fucilato per prima il carabiniere canicattinese Angelo Augello, Massimo, insieme a Saba Salvatore di Cagliari, Enzo D’Orlandi di Cividale e Gualtiero Michelin originario della provincia di Venezia.

L’indomani mattina, 10 febbraio nel bosco Musich in località di Restocina, comune di Dolegna, avvenne la seconda esecuzione per fucilazione dei siciliani Giuseppe Urso, Aragona, carabiniere ed Erasmo Sparacino di Vincenzo, di anni 24, nel cui atto di morte, rilasciato dal Comune di Cividale, pubblicato nel testo Fosse del Natisone di Jacolutti” 1978 è scritto: Fucilato dietro la caserma dai Tedeschi.

In realtà Flavio (Erasmo Sparacino),non risulta in alcun elenco dei caduti di Porzus perché secondo la testimonianza di Silvano Dionisio -fatta su Patria Indipendente nel numero del 27 luglio 2008- egli fu catturato dai tedeschi e fucilato a Cividale del Friuli il 12/2/1945. In realtà egli scampò all’esecuzione ma   due giorni dopo fu catturato e fu fucilato a Cividale.

Il 18 febbraio fu la volta dell’esecuzione del gruppo di Guido Pasolini.

I prigionieri Ermes, Cariddi, Guidone e ToniPasquale Mazzeo, Antonio Previti e Antonio Cammarata insieme a Franco Celledoni e Primo Targato,

condotti in località Novacuzzo di Prepotto nel Bosco Romagno, furono barbaramente trucidati. Mentre scavava la sua fossa il Pasolini sebbene ferito tentò la fuga senza però andare lontano, perchè fu presto raggiunto e ucciso da un colpo di pistola. I corpi delle sei vittime rimasero insepolti sul luogo dell’esecuzione sino a giugno quando furono ritrovati da Mons. Moretti sotto gli alberi di Bosco Romagno. Sul cippo di pietra a ricordo è scritto: «Caduti pai nestris fogolars».

Soltanto il 21 dello stesso mese furono celebrati i funerali solenni. Dei Siciliani è stato traslato a Canicattì Sicilia Urso Giuseppe, gli altri sono tumulati a Udine.

 

“Un’ombra cupa sulla Resistenza” è considerato l’eccidio di Porzus che vide schierati su fronti opposti i partigiani dei cosiddetti “fazzoletti verdi” e quelli dei “fazzoletti rossi”, di estrazione comunista secondo Paolo Deotto mentre per Monsignor Aldo Moretti, Lino, Medaglia d’Oro al valor militare – uno dei fondatori della Divisione Osoppo insieme a don Ascanio De Luca e don Zani –l’eccidio può essere considerato Resistenza nella Resistenza “Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo…Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento…quello stemma ricorda il fascismo, toglila. E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all’Italia… Ci furono discussioni assai accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportavano sacrifici di vite umane.”

Durante un convegno a Udine don Redento Bello, in codice Don Candido evidenziò in particolare il ruolo quasi obbligato dei Meridionali:

Fin dai primi giorni dopo l’armistizio monsignor Aldo Moretti, insegnante
in seminario, io e don Ascanio De Luca, ci siamo mobilitati per aiutare i
militari, specie del Meridione, rimasti bloccati dall’armistizio nei boschi
della Pedemontana friulana; non si fidavano di prendere il treno perché, se intercettati, venivano deportati nei campi di concentramento.

 

Vicenda complessa sulla quale esiste tutta una serie di studi che hanno tentato di focalizzare le responsabilità ancora non del tutto accertate giungendo alla conclusione che l’eccidio fu l’inizio di quello scontro ideologico che passando attraverso le lotte nelle terre irredente, culminò poi nei blocchi   ideologici della cortina di ferro del dopoguerra.

 

Il lungo processo, iniziato il 23 giugno 1945 quando gli Osovani Grassi e Berzanti presentarono denuncia al Procuratore di Udine, si concluse nel 1959, anno dell’amnistia che cancellò di fatto i quasi 450 anni di condanna per i reati politici inferti a più di cinquanta imputati, così che la corte di Perugia- che doveva emettere la sentenza definitiva- non potè far altro che ratificare la cancellazione del reato.

Sebbene Porzus rimanga ancora un puntino nero nella trama dell’ordito storico, a distanza di settant’anni andrebbe riconosciuto finalmente il diritto alla memoria di quei partigiani – siciliani e non – che hanno lasciato la vita appesa al filo del dovere o semplicemente sospesa sui fili d’erba dei prati delle malghe dove alita ancora un silenzio irreale.

Carmela Zangara

“Nonostante il tempo trascorso, la vicenda dei confini orientali è rimasta per molti versi scottante. A parere dell’ANPI, il tempo trascorso dovrebbe consentire di parlarne con rispetto per i sentimenti e con precisione storica.” ( Dal programma del seminario su “La drammatica vicenda dei confini orientali” Milano 16 gennaio 2016).

Partendo dalla raccomandazione di “una lettura attenta e una riflessione approfondita” del documento, approvato dal Comitato nazionale ANPI, con il quale “si conclude il proficuo lavoro svolto durante il seminario di Milano”, facciamo nostra la speranza espressa dal Presidente nazionale Carlo Smuraglia “di riuscire a mettere da parte le emozioni (pur rispettabilissime) per avvicinare idee e posizioni….per consentire un dialogo tra associazioni di esuli, persone e famiglie colpite da quella che è e resta una vera tragedia, un dialogo che sarebbe certamente produttivo di effetti positivi sul piano della convivenza pacifica e della civiltà”.

Esprimiano anche il desiderio (l’immenso archivio storico di Casarubea ne è motivo di speranza) di una ulteriore ricerca e riflessione sulla circostanza, alla quale l’Anpi Palermo ha sempre dedicato particolare attenzione, data dal fatto che sia nella zona del confine orientale che in Sicilia hanno operato, almeno due, importanti funzionari anche degli apparati fascisti della prima ora, Gueli e Messana, accusati di essersi macchiati di orrende stragi ed eccidi su entrambi i fronti in Friuli e in Sicilia.

af

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Palermo e Catania antifascista: il 15 ore 9,0 in marcia, da Piazza Maria SS di Pompei per ricordare Calogero Marrone,

image1-1Siciliani al fronte. Lettere dalla Grande Guerra_Locandina 18 febbraio 2017_Storia Patria_RGB96Nella foto in alto un momento della protesta degli antifascisti di Catania con Domenico Stimolo contro la vergognosa intitolazione di una piazza periferica  al fascista  Almirante.    Al centro la locandina per la presentazione di un libro di Carlo Verri ed Elena Riccio.

A Palermo

Manifestazione in memoria di Calogero Marrone 15.02.2017

16684281_10202741076245481_5304585919756099972_n-316730526_10202741071805370_7067155163485553280_n-1       L’Istituto Comprensivo Statale Maredolce di Palermo, nella volontà di celebrare la memoria di “un giusto tra le nazioni” e di socializzare al territorio le nobili gesta di un eroe della Nostra Terra, intende esprimere il proprio impegno morale attraverso una manifestazione che avrà luogo Il 15.02.2017 alle ore 9,00.

Gli alunni dell’ICS “Maredolce” insieme gli alunni dell’ICS “Mattarella-Bonagia”, raggiungeranno (a piedi), con una marcia, da Piazza Maria SS di Pompei a via Calogero Marrone, sita nel periferico quartiere di “Bonagia”, a Palermo.

Al corteo prenderanno parte il Sindaco di Palermo, i rappresentanti dell’A.N.P.I., di Scorta Civica, dell’Istituto Studi e Ricerca “Calogero Marrone”, dell’Associazione Maredolce, della Scuola Media “Odoardo Focherini” di Carpi; don Angelo Mannina titolare della Parrocchia Maria SS di Pompei; il Commissario della Polizia Municipale Rosolino Molica e l’Ispettore Capo della Polizia Municipale Rosa Mazzamuto; è stato invitato il Sindaco di Favara.

Per l’occasione è stata ripulita la Via Marrone che versava in uno stato di degrado e abbandono.

I ragazzi dei due istituti scolastici eseguiranno canti e daranno vita a un flash mob.

Su un grande lenzuolo bianco verranno apposte simbolicamente le firme dei partecipanti quasi a sottoscrivere un impegno a sostenere e coltivare i valori della memoria, della cultura, della bellezza, della legalità.

 

(docente referente: prof. Piero Carbone cell. 338 1117609)

 

 

Palermo 10.02.2017    Il Dirigente Scolastico

                                                                                              (Prof. Vito Pecoraro)

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GIORNATA DEL TESSERAMENTO

LIBRERIA GARIBALDI

Giornata del Tesseramento

LocandinaProiezione2017ok
Domenica 12 FESTA DEL TESSERAMENTO ANPI in tutta Italia.
A Palermo la celebreremo presso la libreria Garibaldi, locale del centro storico situato ad angolo della piazzetta Cattolica con la via Alessandro Paternostro, a due passi dalla piazza S. Francesco e dalla omonima Focacceria. Ci staremo dalle 10,00 fino al pomeriggio alle 19,00. Durante la giornata del Tesseramento Anpi saranno proiettate fotografie di Giulio Azzarello da un viaggio ad Auschwitz e Birkenau. L’adesione all’Anpi e’ una scelta culturale di libertà e democrazia e, come ampiamente dimostrato, garanzia di rispetto della Costituzione.
Saranno disponibili i quaderni dell’ANPI e “La Costituzione Italiana con la prefazione di Carlo Smuraglia
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Riflessioni sul Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016

Abbiamo voluto raggruppare impressioni, commenti, messaggi per farne memoria, per non perdere uno spaccato di umanità che prepotente affiora da questi ricordi. Ringraziamo fin d’ora le compagne e i compagni che che ci inviano e che vorranno ancora inviarci  testimonianze di una battaglia che è stata vissuta in gran parte come una battaglia per la democrazia. Certo non è stato tutto semplice e lineare. Ci sono stati momenti di sconforto come per esempio quando ci siamo resi conto, (comunque senza mollare),  che non ce l’avremmo fatta a raccogliere le firme necessarie per essere tra i promotori del referendum, ma sopratutto quando incontrando amiche, compagni/e dei quali davamo per scontata la scelta per il no ci siamo trovati di fronte ad un fermo, convinto si. Questo ci ha messo in difficoltà; a volte ci ha ammutolito sopratutto di fronte a compagne/i di cui avevamo, e abbiamo, piena stima e rispetto. Ci veniva difficile renderci conto di quale era il percorso logico per arrivare a quella scelta, della quale avevamo comunque pieno rispetto. Il fatto comunque non ha mai scalfito la nostra profonda convinzione.

Abbiamo voluto avviare una pagina di ricordi, di suggestioni, di emozioni della lunga campagna referendaria conclusasi con il voto del 4 dicembre 2016. Lo facciamo a partire dal messaggio di ringraziamento inviato sabato 3 dicembre a  Carlo Smuraglia.

Interventi:

Lettera a Smuraglia

Dichiarazioni del giorno dopo la vittoria del NO

Giusy Vacca

Lorenzo Baldo Antimafia 2000

AF

Natalia Milan

 

Lettera dell’ANPI Palermo a Carlo Smuraglia

3 dicembre 2016  Carissimo Presidente

Ti vogliamo inviare, questa sera alla vigilia del voto referendario, il nostro più cordiale ed affettuoso ringraziamento per la tua fondamentale guida nella  bellissima importante fondamentale battaglia per la democrazia, per la difesa della sovranità popolare, per la difesa della dignità umana. Lo vogliamo fare ora, in attesa  dell’esito anche se siamo fiduciosi, per dirti con affetto grazie a nome di tutte le compagne e i compagni delle ANPI siciliane con le quali abbiamo vissuto questo straordinario momento. Abbiamo imparato di più ad amare la nostra Costituzione, a ricostruirne la storia, ad approfondirne la conoscenza, ad impossessarci del suo grande valore sociale morale e civile. Ti siamo tanto grati per il coraggio che ci hai dato, per l’esempio di coerenza e di volontà che non dimenticheremo mai, per le tante nuove compagne e compagni che si sono iscritti all’ANPI.
Le compagne e i compagni dell’ANPI Palermo e della Sicilia ti abbracciano con grande affetto

ANPI – Dichiarazione del giorno dopo la vittoria

Ha vinto il popolo italiano che, così, ha salvato la Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza da manomissioni e stravolgimenti inutili e pericolosi.

E ciò ha fatto come espressione di quella sovranità  che i cosiddetti auproclamatisi riformatori volevano comprimere, impartendo una lezione di democrazia che, come partigiani della Costituzione, faremo in modo, assieme a tutte le forze del  progresso, possa generare una rinnovata  stagione di conquiste sociali e civili.

Il popolo italiano ha dimostrato fortemente che la Costituzione si può amare e che il suo vero cambiamento è costituito dalla sua completa attuazione.

L’ANPI continuerà a svolgere la propria funzione di coscienza critica del presente e di attiva custode  della memoria storica del Paese.

 

Di seguito alcune prime interessanti missive: Giusy Vacca

“Carissima Giusi, come stai? Desideravo gioire con te, per il risultato del referendum ma sopratutto ringraziarTi. In questo momento in cui tutti esultano e si considerano vincitori, nessuno dice che un anno e mezzo fa,proprio la Tua Associazione, l’ANPI, aveva lanciato l’allarme su come Renzi e la sua pseudo-riforma stava tentando di privare i cittadini della loro Democrazia. GRAZIE. Grazie a Te e all’ANPI, mi avete convinto a votare NO prima ancora che iniziasse la campagna referendaria. Un abbraccio e a presto. (Era Milena Murania a scrivermi. Fa parte di Scorta Civica e ha fatto la tessera ANPI.

Lorenzo Baldo il giornlista di Antimafia 2000 ; “Cara Giusy, in questa giornata di liberazione ti abbraccio forte e ringrazio te e tutta l’Anpi per il grande lavoro che avete fatto! Ti giro il mio pezzo con un pensiero per Peppino Benincasa. Un abbraccio forte e a presto.”

Mi ha fermato una architetta, durante la vicenda referendaria, per dirmi ti dobbiamo ringraziare, te e l’ANPI per esserci, per l’importantissimo lavoro che fate. Analoghi messaggi negli incontri con i ragazzi delle scuole. Il ringraziarti per esserci, rivolto all’ANPI, è sempre  stato un messaggio meditato, convinto, espresso con profonda commossa convinzione.AF

Pensieri su Referendum. Ho votato due volte di Luisa Muraro.

Questo testo è stato gentilmente pubblicato sul sito della Libreria delle donne di Milano il 2 febbraio 2017 col titolo “Lettera aperta a Luisa Muraro sul referendum con breve risposta”.

http://www.libreriadelledonne.it/lettera-aperta-a-luisa-muraro-sul-referendum-con-breve-risposta/

Natalia Milan

Cara Luisa, non posso essere d’accordo con te su Referendum. Ho votato due volte (http://www.libreriadelledonne.it/referendum-ho-votato-due-volte/, 15 dicembre 2016). E dico perché l’esigenza che con te condivido di svincolarmi dal tertium non datur l’ho espressa votando No.

Dal femminismo, in primis da quello della differenza, ho imparato ad allenare lo sguardo intercettando le trame del reale oltre e nonostante certe descrizioni del reale stesso: quei temi di scuola, per esempio, in cui i prati sono sempre verdi contro ogni esperienza che ne abbiamo e contro ogni evidenza, come avvertivi nel tuo magistrale Maglia o uncinetto. In quelle descrizioni l’uso metaforico del linguaggio diventa derealizzante e perde la realtà.

Penso che ci sia una confusione delle coscienze che può prodursi dal confronto con la complessità della realtà. Ma, in questa vicenda referendaria, c’è stata una non ignorabile forzatura confondente operata, tramite il linguaggio, sulla realtà.

Votare o no ad un referendum lo prendo come un tertium non datur fisiologico, vincolante ma non di per sé disturbante.

Invece, il tertium non datur con cui mi sono confrontata durante tutta la campagna referendaria, non pacificamente, per cercare una posizione svincolata rispetto ad esso, è stato il tertium non datur sul significato attribuito al votare e al votare no, sulle narrazioni del presente e le descrizioni di scenari da venire, sulla ricostruzione delle motivazioni per il e per il no.

Il tertium non datur più pressante era tra le narrazioni del come ad un cambiamento ineludibile, comunque progressivo, non rimandabile e del tutto necessario così come dato, e del no come espressione di conservazione, immobilismo, cosa da gufi e da screditata prima repubblica. È stata, questa, la narrazione fatta da chi ha promosso la riforma, che ha imposto il suo tertium non datur a partire dall’atto di chiudere il dibattito in parlamento rilanciando ai cittadini e alle cittadine un quesito monoblocco, come anche tu rilevi, su cui non si poteva più discutere, ma solo da prendere o lasciare in base ad una ricostruzione bloccata della storia politica ed istituzionale dell’Italia dell’ultimo quarto di secolo e all’affermata necessità prioritaria di riforme istituzionali da attuarsi comunque e a tutti i costi. Il tertium non datur era nel costruire così le alternative: o far confluire una lettura dei fatti ingessata nel a una riforma con finalità, obiettivi e soluzioni tecniche ingessate anch’esse o dire no alla riforma come se non si ammettessero i problemi, si rifiutasse ogni cambiamento, si scegliesse deliberatamente il peggio della nostra storia e del presente. Rispetto a questa narrazione delle alternative, ho subito sentito l’esigenza di svincolarmi per discutere se questa riforma fosse auspicabile e adeguata; io non ci ho creduto: né nella sua genesi priva del necessario ampio consenso, né nella finalità di privilegiare la governabilità rispetto alla rappresentanza, né negli obiettivi specifici né nelle soluzioni tecniche. Anzi l’ho reputata dannosa.

Ma non basta perché, con un certo uso delle parole, un altro forte vincolo hanno aggiunto i riformatori: non mi dilungo e sintetizzo con la frase da tanti e tante ripetuta che “se non si approva la riforma, andiamo a casa”. Come dici, alcuni/e, non tutti/e, hanno quindi votato con l’ulteriore vincolo del non far cadere il governo (o del farlo, invece, cadere). Ancora un tertium non datur, per scelta e responsabilità del governo promotore della riforma, e un ulteriore vincolo tra alternative così costruite: o votare per la stabilità e la governabilità o votare no rischiando di gettare il paese nel caos politico e finanziario.

Alzare la posta in gioco abusando del linguaggio, così descrivo questa operazione. Lo scenario poi non si è mostrato vero; non solo, ma non lo hanno praticato nemmeno i sostenitori: come altamente prevedibile, il Pd ha un ruolo nel governo, Renzi ha subito dato le dimissioni rilanciando di fatto i numeri della sconfitta e giocandoli sul piatto del suo futuro in politica, molti e molte strenui sostenitori della riforma sono ancora nel governo e nelle istituzioni e non sono certo “a casa”. Previsto e prevedibile perché appunto quelle affermazioni erano scommesse verbali, irrealistiche e frutto d’azzardo da giocatori. Fatte in spregio della lingua e della comunità politica che la parla.

Allora per me tertium datur: c’è stata e ho praticato con altri e altre un’altra possibilità, quella di votare o no in base ad altre motivazioni e con un pubblico discorso in campagna referendaria che provasse, pur nella confusione e nelle enormi difficoltà, ad esprimerle e spiegarle, nei discorsi e negli incontri pubblici.

Il tertium datur è stato per me provare a costruire con altri e altre, nei mesi precedenti al referendum, lo spazio per un discorso in cui i termini e le alternative non fossero ingessate per come venivano presentate, ma discusse con attenzione agli accadimenti passati e presenti, alle attese e alle aspirazioni nostre.

Non mi turbava votare come Berlusconi, Salvini o altri: è nelle cifre della democrazia rappresentativa che una minoranza – e ahinoi, per scelta del governo, il era proposto come governativo e “di maggioranza” – , una minoranza con cui pure si può non condividere molto, giochi un ruolo ed esprima una posizione che è a beneficio di tutti e tutte. È il miracolo della democrazia rappresentativa – per chi ci crede, pur criticandola anche da un punto di vista femminista – e proprio per scegliere che forma di democrazia rappresentativa vogliamo si votava. Se quindi sul tema del referendum posso ben comprendere il senso del nobile non voto anarchico, per me invece era irrinunciabile votare, votare no, partecipare alla costruzione di quel discorso politico molto complesso che è stato questo passaggio politico, sfilare le trame dei discorsi del potere e di quelli contro il potere che entrambi si costruivano su sé stessi occultando la realtà.

Il tertium datur era sfilare la trama delle affermazioni che l’Italia sarebbe di colpo del tutto cambiata quel 4 dicembre, segnando in senso trionfalmente progressivo e segnando no in senso irrimediabilmente regressivo. Il tertium datur era partecipare a quella pubblica discussione prima e immaginare il dopo, il dopo del no che chiamavamo costituente e il dopo in cui ricucire gli strappi di una campagna referendaria in cui tutti e tutte, e no, ci sentivamo minoranza, un po’ schiacciati, soverchiati dagli altri. E questo clima claustrofobico e da fame d’aria è responsabilità politica di chi ha promosso una riforma costituzionale in solitaria, sopravvalutando le sue forze e incurante del danno a tutti/e noi. Qui prendeva il suo senso il mio segnare no in cabina elettorale.

Nell’esito del voto sono confluiti tanti motivi e tante parti. Sarei un’illusa se pensassi, per esempio, che col No ha vinto la mia idea che questa riforma troppo poco garantiva un adeguato controllo del potere esecutivo schiacciando il ruolo delle minoranze parlamentari, delle autonomie locali e rischiando di far nominare alla maggioranza di governo gli organi di controllo (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Csm). C’è stato anche questo nel no, ma insieme a molto altro.

Posso dire che mi è dispiaciuto per gli elettori e le elettrici che hanno provato la delusione della sconfitta di una riforma in cui avevano creduto. Ma per me i due esiti non erano equivalenti: se la riforma fosse stata approvata sarebbe stato ben più che un dispiacere, sarebbe stato un peso sul cuore, per i motivi cui ho accennato. E il passaggio del voto referendario non l’avrebbe resa più digeribile. Come saltare nel cerchio di fuoco e uscirne vivi non rende innocenti. Era legittimo sì, ma non tutto quello che è legittimo è opportuno, non tutto quello che è legittimo è giusto. E se la riforma fosse stata approvata, la sconfitta dei no sarebbe stata più indigeribile di quella dei , perché la riforma nasceva escludente a partire dai promotori fino ai contenuti.

Il successo del No non ha espresso un governo alternativo a Renzi, non avrebbe potuto. Ma la vittoria del No non è solo di partiti, movimenti e pezzi di partiti, ma di tantissimi cittadini e cittadine, organizzati e non, che hanno votato numerosi. Ha vinto un No che non ha eletto un governo, anzi forse una crisi di governo si sarebbe aperta: in questo senso, il No ha scartato dal diktat della governabilità e della stabilità, dei timori per le reazioni dei mercati e delle agenzie di rating. In questo tentare un’altra strada da quella battuta negli ultimi anni, il No, che in tanti/e abbiamo votato non a cuor leggero, è stato coraggioso e ha cercato un cambiamento, anche se non quello stesso cambiamento che voleva chi ha votato : ha scelto e chiesto un cambiamento che non era quello della riforma. Si può pensare che da questa complessità e forse confusione venga un’indicazione politica? Io penso di sì, penso che, almeno in parte, abbia vinto un No politico in senso pieno, che riapre la discussione su ciò che ci accomuna: dalle regole del gioco alle politiche che vogliamo per i prossimi anni. Adesso ancora una volta tertium datur e tocca a noi,che abbiamo scelto il e il no, ricucire gli strappi prodotti dalle scelte altrui. E guardare oltre.

Natalia Milan

4 febbraio 2017

Marco Travaglio

Roma, Italia  10 feb 2017 —

Per la democrazia costituzionale

Il risultato straordinario del referendum del 4 dicembre segna una svolta nella storia del nostro Paese.
Con questo referendum il popolo italiano non solo ha respinto la deformazione della Costituzione contenuta nella proposta Renzi- Boschi ma ha anche rifiutato l’Italicum, un sistema elettorale disegnato a misura della riforma costituzionale, espressione dello stesso disegno neoautoritario ed accentratore.
Adesso che, con il vostro contributo, abbiamo raggiunto l’obiettivo di cancellare la riforma e sconfessare decenni di politica volta a restringere la democrazia rappresentativa nel nostro Paese si sono create le condizioni per ridare vigore alle istituzioni della democrazia rappresentativa asfissiate da una pratica politica oligarchica che aveva reso il Parlamento impermeabile alle domande che vengono dalla società e alle ragioni della giustizia sociale e dell’uguaglianza (lavoro, sanità, scuola, previdenza, ambiente).
Occorre ripristinare la piena credibilità e rappresentatività del Parlamento perché i cittadini debbono tornare ad essere protagonisti del voto ed artefici, con il concorso dei partiti, della scelta delle rappresentanze parlamentari, come richiede il principio fondante della Costituzione che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo.
Abbiamo bisogno di una riforma elettorale che restituisca la sovranità agli elettori e riconduca i partiti politici alla loro funzione costituzionale di canale di collegamento fra la società e le istituzioni.
Per questo il Comitato per il No ed il Comitato contro l’italicum hanno promosso una petizione popolare per chiedere al Parlamento una legge elettorale coerente con i principi della democrazia costituzionale. Vi invitiamo a firmare la petizione all’indirizzo
https://www.change.org/p/restituire-la-sovranit%C3%A0-agli-elettori
p. le Presidenze dei Comitati

Mauro Beschi
Domenico Gallo
Alfiero Grandi

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TENTATIVO DI GRAVE PROVOCAZIONE: NEOFASCISTI E NAZIONALISTI EUROPEI A GENOVA

ANPI GENOVA
COMUNICATO SUL CONVEGNO NEOFASCISTI E NAZIONALISTI EUROPEI a GENOVA

ANPI GENOVA·LUNEDÌ 30 GENNAIO 2017

Apprendiamo con stupore e tanto sdegno che la nostra città dovrebbe essere sede di un convegno dell’ultradestra europea su invito dei fascisti nostrani. E’ inaccettabile che ancora una volta si metta in atto un’ulteriore provocazione contro i valori democratici e antifascisti della nostra città. L’ANPI chiede alle Forze Politiche, alle Organizzazioni Sindacali, alle Associazioni Democratiche di mobilitarsi per impedire questo affronto alla città di Genova Medaglia d’Oro della Resistenza. Lanciamo un appello a tutti i genovesi per una ampia e unitaria mobilitazione, nella consapevolezza che il fascismo è tutto il contrario dell’intera Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, di cui contiene per intero i valori . Il fascismo purtroppo non è morto, perché continua ad esistere nell’anima, nel pensiero e nell’azione; e poi ci sono i nazifascisti, i fascisti “del terzo millennio”, i fascisti che sono tali anche se camuffati da associazioni culturali e sociali. Il fascismo è quello che – sotto il profilo dell’autoritarismo, della negazione della libertà, del razzismo, della xenofobia, della violenza e dell’antisemitismo – si profila in tante forme sempre,comunque riconoscibile. Coloro che vorrebbero venire a Genova a febbraio il giorno 11 con la loro presenza offendono la nostra città nella sua storia , nei suoi sentimenti e nella sua cultura, hanno un modo di pensare e di essere che non corrisponde in alcun modo ai valori di fondo della nostra democrazia e della nostra Carta fondamentale e come tale vanno combattuti e respinti, senza mai abbassare la guardia. Questa azione va potenziata, chiedendo anche agli organi di informazione e di comunicazione di fare la loro parte, alle Istituzioni di considerarla come un impegno programmatico, alle Associazioni democratiche di inserirla fra le loro priorità. L’allarme quindi e la vigilanza devono essere forti, tra coloro che amano la democrazia, perché il fascismo è un pericolo sempre in agguato e sempre concreto. Chiediamo alle Autorità competenti e alle Istituzioni statuali, regionali e comunali, di far rispettare le leggi che sono ben chiare e non lasciano dubbi di interpretazione, in particolare la legge Scelba e la legge Mancino che vanno semplicemente applicate (come la stessa Corte di Cassazione ha fatto rispettare più volte). Questa offesa a Genova va impedita, nel rispetto della Costituzione che è intrinsecamente e profondamente antifascista.

ANPI GENOVA

Appello ai Giuristi Democratici

Cari GD, genovesi e non,

nazifascisti italiani ed europei si sono dati convegno a Genova per il prossimo 11 febbraio. A tutta evidenza si tratta di una provocazione contro la Città medaglia d’oro della Resistenza. L’ANPI di Genova ha diffuso il comunicato che potete leggere qui:  https://www.facebook.com/notes/anpi-genova/comunicato-sul-convegno-neofascisti-e-nazionalisti-europei-a-genova/1559043040791478. Confido in un barlume di coscienza di chi presiede l’ordine pubblico che vieti simile manifestazione che nulla ha a vedere con la libertà di manifestazione del pensiero.

Nondimeno credo si debba reagire nel modo più netto possibile e propongo, pertanto, che la nostra associazione aderisca espressamente e formalmente alla mobilitazione, emettendo un comunicato ad hoc.

Buona giornata a tutti  Sandro

ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI

L’Associazione Nazionale Giuristi Democratici aderisce con assoluta convinzione all’appello proposto dall’ANPI di Genova per protestare contro la manifestazione, di matrice nazifascista, che si dovrebbe tenere a Genova l’11 febbraio prossimo.

I democratici italiani non devono dimenticare non solo che ci sono idee razziste, fasciste e xenofobe che stanno circolando pericolosamente in Europa, ma che l’Italia ha ben due leggi, la legge Scelba e la legge Mancino che vietano  manifestazioni e slogan inneggianti al fascismo, senza dimenticare la XII disposizione di attuazione della Costituzione che vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma del partito fascista.
Sono disposizioni che devono essere rigidamente applicate per impedire che l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi politici, di razza, di etnia possa produrre la diffusione di un veleno che si propaga in Europa, in un momento particolarmente delicato per la democrazia.
Chiediamo alle Autorità competenti di impedire un raduno delle forze nazifasciste europee, soprattutto in una città, come Genova, di cui è nota la storia democratica ed ai cittadini  di contrastare, nello spirito della nostra Costituzione antifascista,  le idee di violenza, odio e sopraffazione legate a quella manifestazione.

 

Torino-Padova-Bologna-Roma-Napoli 3 febbraio 2017
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI

http://www.giuristidemocratici.it/

Gianluca Farina

addetto stampa Associazione Nazionale Giuristi Democratici

3335805235 – press.giuristidemocratici@gmail.com

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RICORDO DI SANDRO PERTINI

Locandina docufilm Pertini def

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