da “PERSICILIA” questa recensione di Luigi Ficarra sul libro di Fiandaca e Lupo pubblicato da Laterza.
Il libro di Fiandaca e Lupo pubblicato da Laterza, “La mafia non ha vinto – Il labirinto della trattativa”, è interessante anche per chi, come me e penso molti altri, non condivida la tesi che vi è sostenuta, della legittimità della trattativa Stato – Mafia. Dai due autori giustificata con ricorso alla categoria giuridica dello “stato di necessità”.
Entrambi, il giurista ed il cattedratico, sanno e riconoscono – come fanno altri, ad esempio Bianconi sul Corriere del 17 febbraio – che “interessi tutt’altro che nobili e aspetti di forte ambiguità hanno contribuito a rendere poco chiaro e poco trasparente lo scenario di allora”. Ma, dicono, “ciò non è sufficiente per escludere la possibile liceità di concessioni a Cosa Nostra”, dove quel ‘possibile’ sta a significare un forte dubbio presente pure in loro. I quali, però, attaccano ugualmente, senza mezzi termini e senza riserva del dubbio, il processo in corso a Palermo, che definiscono tout court “sbagliato sul piano giuridico”, prima che esso si concluda. Errore di precipitazione che degli studiosi seri dovrebbero sempre evitare di commettere.
Anche perché c’è, a mio avviso, un errore nell’assunto del Fiandaca, supportato in ciò dal prof. Lupo.
Infatti, il giurista Fiandaca dopo aver accusato i magistrati di Palermo di una visione complottistica che instilla nell’opinione pubblica l’idea che fu commesso qualcosa di losco, si sofferma sul reato inserito nel capo d’imputazione di “violenza o minaccia a un corpo politico”. E vi si sofferma per definire tale accusa un mero ‘espediente giuridico’, teso a ‘colorare indirettamente di criminosità la stessa trattativa’. E qui sbaglia, perché l’accusa, come Egli ben sa, deve essere provata nel processo, e non può essere definita a priori un mero ‘espediente giuridico’. Cosa, questa, che può ben fare e fa Dell’Utri al fine di delegittimare la magistratura inquirente. Tra l’altro, osservo che trattasi di un capo d’accusa, che, leggendo gli atti ad oggi conosciuti, sembra sia molto fondato.
Il Fiandaca, così operando, si è comportato non da giurista terzo, come si pone nel succitato libro, ma da difensore di parte, soprattutto politico, difensore che ha interesse a instillare nell’opinione pubblica l’idea di una magistratura prevenuta e complottista.
Oltretutto, Fiandaca e Lupo dimostrano di non sapere, come ricorda loro Claudio Magris sul Corriere del 20 febbraio, che uno Stato che tratta con la Mafia “ha già perduto la guerra, una guerra fondamentale per la sua esistenza” , e quindi non ha logicamente vinto, come essi, senza tema di vergogna, osano al contrario affermare.
Pubblicato da PERSICILIA: Storia – Cultura – Arte a 02:11