“…sono Numu, Lamin e Sheriff che amo parlino coi miei bambini raccontando loro cosa significhi essere cresciuti desiderando di vivere in un paese finalmente libero dalla dittatura e dall’oppressione. “

Ci sono stati diversi aggiornamenti: l’ultimo oggi 16/8/2017 art. di Tonino Perna dal “il manifesto”

Ringraziamo Alessandra Sciurba, Giuseppe Carlo Marino, Marco Revelli, Domenico Sabatino, Domenico Stimolo, Tonino Perna,  per vari contributi su “Emigrazioni e diritti” tema antico quanto drammatico che ci costringe a non chiudere gli occhi e a riflettere sulla condizione umana. Tentiamo di farlo nella consapevolezza della sua complessità e con assoluta apertura e anche nella profonda convinzione e determinazione di volere perseguire un obiettivo di vera ‘conoscenza liberatoria’. Lo facciamo tentando di aderire ad un comportamento ‘scientifico’, cioè nella assoluta consapevolezza che il perseguimento della verità non è per sempre, ma “fino a prova contraria”. Ringraziamo per l’importante contributo in chiave “di educazione per la conoscenza come liberazione degli oppressi“A.F.

 

GIUSEPPE CARLO MARINO
UN NUOVO GENOCIDIO DI CUI L’EUROPA E’ (DISTRATTAMENTE) RESPONSABILE
L’importante servizio televisivo di ieri sera (“In Onda”) della 7 ha rivelato quel che si sa da molto tempo e da molto tempo non si vuol vedere o si ignora circa il trattamento criminale riservato dalle cosiddette “autorità libiche” ai migranti. E ha messo in luce l’inferno di violenza al quale sono condannati quei disgraziati, ingabbiati come bestie in soffocanti contenitori metallici, costretti a vivere l’angoscia di come conquistarsi (se forniti di qualche rotolo di carta moneta nelle tasche) una via di fuga per sfuggire ad una morte quasi certa, per percosse, malattie, fame e disidratazione. Ha contestualmente denunziato il fatto incontrovertibile che ormai la Libia è una landa radicalmente deprivata di statualità, consegnata all’anarchia e ai turpi interessi di bande criminali la cui fondamentale risorsa è costituita da quell’infelice umanità di derelitti che sono soliti indicare cinicamente come la loro “merce”. Di fronte a quanto sta lì accadendo, in terra libica – non in mare, si badi, ma prima delle molte e sempre probabili tragedie del mare! – non è azzardato parlare di genocidio. Un genocidio ignorato, direi persino tollerato, da un’Europa che tutt’al più si limita a soccorrere (e con molto e contestato travaglio) quei migranti che siano riusciti a pagarsi il terrifico rischio della fuga e non si preoccupa minimamente di quelli costretti a rimanere in quell’inferno africano. Infatti, questa Europa ad uso e consumo di finanzieri e di sofisticati lestofanti , sa ed ignora e i suoi superflui politicanti (insieme ad una miriade di sciocchi e di codardi che ne costituiscono il seguito di massa), al massimo della loro ipocrisia umanitaria non sanno far altro che blaterare tronfiamente: “AIUTIAMOLI A CASA LORO”,
Ma qual è la loro “casa”, se non quell’inferno? E come aiutarli dopo averli secolarmente dominati e sfruttati, disgregando le loro società e violentando le loro culture con la pretesa di dettare le regole della “civiltà” e del progresso? Sono, queste, delle domande che putroppo rimangono senza risposta. Mentre l’immediato aiuto che potrebbe darsi a quelle crescenti masse di infelici in fuga dalla miseria e dalle torture dei loro indigeni tiranni sarebbe intanto un’azione comune della cosiddetta comunità internazionale (con l’ovvio, primario coinvolgimento operativo di una ben coordinata forza europea) per annientare l’inferno libico e imporre su quella landa di potere criminale e di desertificazione della civiltà gli standard minimi del rispetto della vita umana. Giuseppe Carlo Marino.

Marco Revelli

Edizione del 08.08.2017 il manifesto.it/archivio

Pubblicato 7.8.2017, 23:57

Negli ultimi giorni qualcosa di spaventosamente grave è accaduto, nella calura di mezza estate. Senza trovare quasi resistenza, con la forza inerte dell’apparente normalità, la dimensione dell’«inumano» è entrata nel nostro orizzonte, l’ha contaminato e occupato facendosi logica politica e linguaggio mediatico. E per questa via ha inferto un colpo mortale al nostro senso morale.

L’«inumano», è bene chiarirlo, non è la mera dimensione ferina della natura contrapposta all’acculturata condizione umana.

Non è il «mostruoso» che appare a prima vista estraneo all’uomo. Al contrario è un atteggiamento propriamente umano: l’«inumano» – come ha scritto Carlo Galli – «è piuttosto il presentarsi attuale della possibilità che l’uomo sia nulla per l’altro uomo».

Che l’Altro sia ridotto a Cosa, indifferente, sacrificabile, o semplicemente ignorabile. Che la vita dell’altro sia destituita di valore primario e ridotta a oggetto di calcolo. Ed è esattamente quanto, sotto gli occhi di tutti, hanno fatto il nostro governo – in primis il suo ministro di polizia Marco Minniti – e la maggior parte dei nostri commentatori politici, in prima pagina e a reti unificate.

Cos’è se non questo – se non, appunto, trionfo dell’inumano – la campagna di ostilità e diffidenza mossa contro le Ong, unici soggetti all’opera nel tentativo prioritario di salvare vite umane, e per questo messe sotto accusa da un’occhiuta «ragion di stato».

O la sconnessa, improvvisata, azione diplomatica e militare dispiegata nel caos libico con l’obiettivo di mobilitare ogni forza, anche le peggiori, per tentare di arrestare la fiumana disperata della nuda vita, anche a costo di consegnarla agli stupratori, ai torturatori, ai miliziani senza scrupoli che non si differenziano in nulla dagli scafisti e dai mercanti di uomini, o di respingerla a morire nel deserto.

Qui non c’è, come suggeriscono le finte anime belle dei media mainstream (e non solo, penso all’ultimo Travaglio) e dei Gabinetti governativi o d’opposizione, la volontà di ricondurre sotto la sovranità della Legge l’anarchismo incontrollato delle organizzazioni umanitarie.

Non è questo lo spirito del famigerato «Codice Minniti» imposto come condizione di operatività in violazione delle antiche, tradizionali Leggi del mare (il trasbordo) e della più genuina etica umanitaria (si pensi al rifiuto di presenze armate a bordo). O il senso dell’invio nel porto di Tripoli delle nostre navi militari.

Qui c’è la volontà, neppur tanto nascosta, di fermare il flusso, costi quel che costi. Di chiudere quei fragili «corridoi umanitari» che in qualche modo le navi di Medici senza frontiere e delle altre organizzazioni tenevano aperti. Di imporre a tutti la logica di Frontex, che non è quella della ricerca e soccorso, ma del respingimento (e il nome dice tutto).

Di fare, con gli strumenti degli Stati e dell’informazione scorretta, quanto fanno gli estremisti di destra di Defend Europe, non a caso proposti come i migliori alleati dei nuovi inquisitori. Di spostare più a sud, nella sabbia del deserto anziché nelle acque del Mare nostrum, lo spettacolo perturbante della morte di massa e il simbolo corporeo dell’Umanità sacrificata.

Non era ancora accaduto, nel lungo dopoguerra almeno, in Europa e nel mondo cosiddetto «civile», che la solidarietà, il salvataggio di vite umane, l’«umanità» come pratica individuale e collettiva, fossero stigmatizzati, circondati di diffidenza, scoraggiati e puniti.

Non si era mai sentita finora un’espressione come «estremismo umanitario», usata in senso spregiativo, come arma contundente. O la formula «crimine umanitario». E nessuno avrebbe probabilmente osato irridere a chi «ideologicamente persegue il solo scopo di salvare vite», quasi fosse al contrario encomiabile chi «pragmaticamente» sacrifica quello scopo ad altre ragioni, più o meno confessabili (un pugno di voti? un effimero consenso? il mantenimento del potere nelle proprie mani?)

A caldo, quando le prime avvisaglie della campagna politica e mediatica si erano manifestate, mi ero annotato una frase di George Steiner, scritta nel ’66. Diceva: «Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz». Aggiungevo: Anche noi «veniamo dopo».

Dopo quel dopo. Noi oggi sappiamo che un uomo può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell’emancipazione dell’Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente, e tuttavia, in un ufficio climatizzato del proprio ministero firmare la condanna a morte per migliaia di poveri del mondo, senza fare una piega. La cosa può essere sembrata eccessiva a qualcuno. E il paragone fuori luogo. Ma non mi pento di averlo pensato e di averlo scritto.

Consapevole o meno di ciò che fa, chi si fa tramite dell’irrompere del disumano nel nostro mondo è giusto che sia consapevole della gravità di ciò che compie. Della lacerazione etica prima che politica che produce.

Se l’inumano – è ancora Galli a scriverlo – «è il lacerarsi catastrofico della trama etica e logica dell’umano», allora chi a quella rottura contribuisce, quale che sia l’intenzione che lo muove, quale che sia la bandiera politica sotto cui si pone, ne deve portare, appieno, la responsabilità. Così come chi a quella lacerazione intende opporsi non può non schierarsi, e dire da che parte sta. Io sto con chi salva. Marco Revelli

Alessandra Sciurba

Migrazioni e diritti: il prezzo che stiamo pagando migrazioni

In quest’epoca di spot pubblicitari e slogan elettorali, da dare in pasto a un’opinione pubblica contaminata dai pregiudizi e imbarbarita dalle menzogne e dalla paura, è chiaro fino a che punto onestà intellettuale, ragionamento e senso critico siano banditi dal discorso politico, mentre l’evidenza dei dati non modifica in nulla azioni e pensiero.

Per questo rinuncio da subito a fare quello che sarebbe il mio mestiere di ricercatrice, ovvero descrivere nel dettaglio, come hanno già fatto tanti colleghe e colleghi più qualificati di me, verità semplici come queste:

– le migrazioni non sono aumentate, ma sono solo cambiate le rotte e le modalità di migrare (è soltanto a partire dal 2013, con la chiusura di ogni canale di ingresso legale, che gli arrivi dal mare diventano quelli numericamente più rilevanti);

– nonostante l’efferatezza fintamente idiota delle politiche migratorie, o la speculazione continua su un’emergenza costruita, che è la principale ratio delle politiche di cosiddetta accoglienza, le migrazioni continuano ad avere un impatto economico e demografico positivo sui paesi di arrivo, mentre il loro costo in termini di sicurezza sociale praticamente non esiste;

– prassi e legislazioni sempre più repressive in materia di immigrazione non hanno fatto altro, invece, che alimentare illegalità, sfruttamento, tratta di esseri umani (anche e soprattutto, cosa che quasi mai viene considerata, nei paesi di arrivo e ad opera di cittadini europei).

A nulla servono adesso questo tipo di verità, perché non assecondano quel desiderio viscerale, che ciclicamente prende il sopravvento e diventa fenomeno emotivo di massa, di nutrire odio e risentimento verso soggetti indiscriminatamente identificati come colpevoli di ogni male, proprio perché troppo innocenti e disarmati, e quindi indifesi e in qualche modo indifendibili.

La violenza istituzionale in atto costringe però a dovere prendere parola almeno per lasciare traccia, egoisticamente, del proprio dissenso e della propria frustrazione impotente. E ci si ritrova così a scrivere oggi, con la certezza di non trovare su questo alcun accordo universale nemmeno ipocritamente dichiarato, che le vite umane inermi andrebbero sempre salvate, in ogni circostanza, senza indugio e senza condizione, e che chi le salva, o contribuisce a salvarle, non può essere criminalizzato, inquisito, esposto alla pubblica gogna, o rischiare di essere militarmente aggredito.

Forzati ad arretrare su una linea di resistenza sempre più ritirata, riaffermando tutto da capo principi minimi fondamentali, per quanto fragili, che milioni di morti avevano sancito solo qualche decina di anni fa, si è trascinati a prendere posizione tra opposte fazioni che discutono, e assurdamente pretendono tutte pari legittimità, se lasciare morire, respingere nella morte, o portare in salvo i naufraghi.

Mentre andrebbe solo riaffermato, – ma chi ascolterebbe adesso? – che le persone non dovrebbero mai ritrovarsi a naufragare, e che questo non significa affatto impedire loro di fuggire, o semplicemente di partire, ché le frontiere e i blocchi (anche questo insegnerebbe l’esperienza se ci si prendesse la briga di guardare la realtà), servono solo a rendere più pericolosi i viaggi, ad arricchire le reti criminali, a riscrivere relazioni politiche internazionali e nazionali, a vendere armi e a ridisegnare economie, ma non certo ad arrestare la mobilità umana.

In questo mare di contesa e guerra, queste donne, questi uomini, questi bambini, non ci dovrebbero mai arrivare, restando in balia delle onde come degli eventi, al centro di una faida che li vede ridotti a vittime, merce di scambio, pretesti, simboli di ideologie avverse, capri espiatori. E allo stesso modo non dovrebbero mai arrivare in Libia, come fino a ieri arrivavano in Turchia, ad attendere un gommone messo in acqua per affondare, già sapendo, per di più, che il correlato inevitabile di questo passaggio saranno prigionia e sevizie.

E invece il Mediterraneo e questi efferati paesi di transito, e prima ancora il deserto o le foreste e altre pericolosissime frontiere, sono tappe imposte nei percorsi delle migrazioni contemporanee dai paesi più poveri: queste rotte non hanno nulla di naturale, ma sono definite dalle politiche dei paesi europei che hanno eliminato ogni possibilità di fare ingresso in altro modo sul loro territorio.

Ed è esattamente così che si offrono sconfinate opportunità di guadagno per chi lucra su un servizio che diventa indispensabile: l’attraversamento delle frontiere chiuse.

Si rende conto il neo-presidente dei vescovi italiani, che ha appena capitolato alle richieste di un ministro come Minniti; si rendono conto i procuratori che stanno alacremente indagando operatori sociali e preti come si trattasse di mafiosi e corrotti, che i cosiddetti “trafficanti di carne umana” non sono i principali colpevoli, e soprattutto che i loro migliori alleati e complici siedono tutti al Parlamento europeo e negli scranni dei governi nazionali?

Si volevano fermare gli attraversamenti nel Mediterraneo? Si volevano mettere in ginocchio gli “scafisti”? Sarebbe bastato aprire vie di ingresso legali percorribili concedendo un numero sufficiente di visti di ingresso declinati per varie ragioni, da quelle umanitarie, come previsto già dagli Accordi di Schengen in una clausola utilizzata per i corridoi attivati dal progetto Mediterranean Hope della Chiesa Valdese e della Comunità di Sant’Egidio, fino a quelle di ricerca lavoro. Chi avrebbe scelto, a quel punto, di viaggiare per mesi rischiando la morte mille volte a un costo anche economico molto più elevato?

Sarebbero in tal modo arrivate più persone? Questo è tutto da dimostrare, e andrebbe rilevato tenendo conto del fatto, ad esempio, che solo nel 2006 il decreto flussi italiano aveva portato all’emissione di 550.000 permessi di soggiorno in un anno (numeri mai raggiunti dagli arrivi via mare) senza che per questo qualcuno urlasse all’invasione o che la notizia occupasse le prime pagine di tutti i giornali.

Su questo l’Italia avrebbe dovuto combattere in seno all’Unione europea, su una politica armonica di ingressi legali in ogni paese membro, seguendo un semplice principio di razionalità, prima ancora che di umanità.

Ma non c’è nulla di razionale, nelle politiche migratorie degli ultimi decenni, se non un calcolo costante e criminale di quanti voti possa portare la strumentalizzazione di questo fenomeno, o del modo più efficace e veloce di distrarre le popolazioni dei paesi più ricchi dalle reali cause del loro legittimo malcontento, anche a costo di imbestialirle e terrorizzarle.

E questo è un rodato esercizio di potere.

Esiste un diritto, nella Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948, a lasciare qualunque paese, incluso il proprio. A questo diritto di emigrazione non corrisponde però un diritto di immigrazione in un altro stato, ché troppo avrebbe messo a repentaglio la sovranità nazionale che si fonda sul controllo dei confini, specialmente in tempi di crisi come questi, quando ogni altra funzione della politica istituzionale non ha più alcuna credibilità, quando la rinuncia alla felicità o anche solo all’aspirazione a una felicità possibile è il presupposto di ogni comune sentire. Sfiducia, disillusione, povertà materiale e delle relazioni, povertà educativa e culturale: su questo sostrato, ciclicamente, attecchiscono la cattiveria e la paura, atavici sentimenti dell’essere umano che le comunità “incivilite” hanno di volta in volta tenuto a bada ed edulcorato, oppure riorientato verso nemici interni o esterni e rinfocolato, esattamente come sta accadendo ora.

Ma a che prezzo? E non parlo solo del prezzo del sacrificio dei “diritti degli altri”, ma di quello che stiamo già pagando come conseguenza di precise scelte etiche e morali. A cosa porterà la rinnovata legittimazione del disprezzo della vita in nome della difesa di presunte identità culturali e nazionali? Quali possono essere le ricadute sociali di questa anno zero che ritorna, di questa lapide posta su un’età dei diritti che sta già morendo prima di essere stata sperimentata sul serio? Di questa rimozione collettiva e spensierata del monito di secoli di orrore, dal colonialismo al nazismo, rispetto a quel baratro sempre in agguato?

E quale spauracchio più idiota, specie in questa epoca storica, quanto quello dell’identità culturale da difendere? È legittimo chiedersi, banalmente, in che cosa la mia identità culturale, qualora fossi costretta a usare questa espressione, sarebbe omogenea a quella di Matteo Salvini, Di Beppe Grillo, Di Marco Minniti, di Daniela Santanché, o di quella banda di mercenari neonazisti, tanto ridicoli e pericolosi, che su una nave battente bandiera dello stato di Gibuti si aggira in questi giorni in mezzo al Mediterraneo per impedire che altre vite umane vengano salvate? Quale cultura comune esisterebbe tra loro e me?

È con Noaman che io condivido le mie lotte per i beni comuni, è con Fatoumata che parlo del mio essere madre e donna in una società globale diversamente maschilista, è con Serigne che mi confronto sulla sua omossessualità e su quanto violenta sia ogni forma di discriminazione, sono Numu, Lamin e Sheriff che amo parlino coi miei bambini raccontando loro cosa significhi essere cresciuti desiderando di vivere in un paese finalmente libero dalla dittatura e dall’oppressione.

Ecco l’ultimo dei paradossi: molte delle persone costrette ad attraversare il mare per cercare di sopravvivere o di vivere dignitosamente, sembrano credere molto più nei valori della pace, della democrazia, dell’eguaglianza e dei diritti, e persino della globalizzazione, di quanto non lo facciano le istituzioni che quei valori hanno inventato e posto, anche con la guerra, a fondamento del mondo, e che oggi sembrano pronte a disfarsene con una scrollata di spalle. Le migrazioni, con la loro disarmata pretesa di giustizia e partecipazione, tolgono il velo ad ogni ipocrisia che ha ammantato le magnifiche sorti e progressive di un’umanità votata alle tenebre. Alessandra Sciurba

 

Angelo Ficarra

“chi fugge deve essere salvato, chi salva non può essere criminalizzato”

TOTALE RIVOLUZIONARIA ADESIONE. – PRINCIPI DIRITTI UMANI NON SONO TRATTABILI. – CHIAMIAMO LE COSE CON IL LORO NOME. LA LOTTA CONTRO I TRAFFICANTI E’ UNA COSA. IL BLOCCO DEGLI ESSERI UMANI COSTRETTI AD EMIGRARE DALLE GUERRE E DALLE POLITICHE CAPITALISTICHE E COLONIALISTE E’ UN ASSASSINIO. VEDI COSIDETTA SOLUZIONE CANALE EMIGRANTI SIRIANI DATI IN PASTO AL DITTATORE TURCO ERDOGAN A SUON DI MILIARDI DALLA UNIONE EUROPEA CHE IN QUESTO MODO HA RITENUTO DI METTERSI A POSTO LA COSCIENZA. I L BRAVO UOMO DEI SERVIZI MINNITI RITIENE, INVERO CON POCA INTELLIGENTE LUNGIMIRANZA, DI POTER CONTINUARE A RISOLVERE I PROBLEMI, CON UNA MISEREVOLE LOGICA DI POTERE RENZIANA: HA PARLATO DI CODICE DI COMPORTAMENTO DELLE ONG PER NON PARLARE DELLA SCANDALOSA CONSEGNA DEGLI EMIGRANTI ALLE GIA’ BEN NOTE CONDIZIONI SCANDALOSE DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO ASSASSINI LIBICI. Angelo Ficarra

Domenico Sabatino

Continuate a blaterare e fare i depositari della verità. Non sono un simpatizzante di Renzi. Ma voi come pensate di risolvere il preblema? Invadendo la Libia per sconfiggere le tribù come si è fatto con la guida  di quel Napolitano, protagonista dell’assassinio di Gheddafi?  Quindi voi pensate che il problema è la Libia e non i paesi di origine. Ha ragione Renzi. Questa gente deve restare a casa sua e ciò si può fare aiutandoli lì anzi impedendo la desertificazione terrestre, politica economica, civile e umana dell’Africa.Questa migrazione fa parte del progetto del capitalismo scatenato che porta questi poveri in Europa per ridurre il potere contrattuale dei lavoratori e incentivare odi razziali per rsggiungere obiettivi autoritari.Spero di non essere considerato renziano perchè a causa di lui non voterò mai più PD o suoi candidati pur onesti. Domenico Sabatino   

Domenico Stimolo

I migranti italiani sono sempre  “belli, giovani e forti”

 Una sferzante ondata di odio contro i profughi-migranti, definitiinvasori” e “clandestini”,  cresciuta a dismisura negli ultimi mesi, è stata sapientemente costruita dalla gran parte delle forze politiche in maniera più o meno estremizzante, ripresa e ampiamente divulgata dai principali organi di informazione. In modo subdolo è stata creata la tipologia umana dei “migranti economici”.

La terminologia, utilizzata essenzialmente nei riguardi di tutti, uomini, donne e bambini, in maniera sprezzante, poiché stante il pensiero di questi lor Signori i soggetti incriminati non possono avere nessun diritto di solidarietà e accoglienza  riconosciuto dalla struttura socio-politica,  è un marchio volutamente indelebile, similare nel significato di disprezzo e vessazione, al numero marchiato a caldo sulle braccia dei deportati dei lager nazisti.

E’ come se queste persone, perfettamente simili alle sembianze che caratterizzano tutti gli esseri umani, muniti di cuori, sentimenti e intelletto, fossero mercanzie, pezzi inanimati o muti manufatti la cui circolazione dipende da atti economici, sottoposti a commerci vari nel mercato delle vendite.

A sentire queste novelle cialtronerie qualsiasi umano che cerca lavoro è esclusivamente uno strumento economico, una macchina “non pensante”, senza diritti,  dedicata a costruire profitti, come divulgato nelle più bieche teorie neoliberiste.

 Inoltre, se otturandosi il naso a difesa dei velenosi “olezzi” e sormontando la ripulsa etica e civile che naturalmente sgorga, si leggono i commenti inseriti a “corredo” delle notizie riportate sui siti nazionali e locali, si appunta che la parte preponderante in maniera “telegrafica” manifesta  rilevantissima violenza verbale nei riguardi dei nuovi arrivati. Evidentemente le coscienze democratiche fuggono da questi “confronti”. La tipica violenza ( già storicamente conosciuta in Italia nei confronti di coloro che sono stati marchiati “diversi”) che trova maggiore goduria se praticata contro i più deboli. Del resto molti sono stati gli eventi di chiamata alla mobilitazione caratterizzati da atti di vera e propria brutalità fisica.

Virtualmente, bene divulgato, è stato scritto un nuovo manifesto razziale, come il “ Manifesto della razza” promulgato dalla dittatura fascista nel 1938. 

 Si comprende bene che è stata largamente superata la soglia di allarme per la tenuta del sentimento democratico e della coesione sociale.

 L’aspetto più  stupefacente è rappresentato dal fatto che gli istigatori all’odio anagraficamente sono italiani, che per ignoranza o turpe strumentalizzazione, hanno gettato al macero la drammatica storia recente che ha contrassegnato la vita di decine di milioni di nostri concittadini. Gridando in maniera sconsiderata,  mostrano allarme e vivo stupore. “Stabiliscono” con i loro occhi traviati dall’odio, che i migranti “economici- clandestini” sono Soggetti ( così propagandano ai quattro venti)   “ ben messi, in carne” nella corporatura”, quindi  nel loro grezzo dire, non soffrono la fame.    

 Evidentemente disconoscono o fanno finta di avere dimenticato la storia recente che riguarda gli italiani. L’Italia è “patria” di un immenso processo di emigrazione, il più grande in assoluto tra i paesi europei. Iniziato nel corso del 1870. La dinamica di abbandono costrittivo delle terre natie si  è ridimensionata significativamente solo dopo più di cento anni.

Fino al 1915 i luoghi di arrivo riguardarono in maniera preponderante le Americhe, in particolare: Stati Uniti, Canada, Brasile, Argentina, Venezuela, Colombia, etc.  Alcuni flussi consistenti ebbero come meta anche diversi Stati europei. Durante la  dittatura fascista furono largamente ristrette e condannate  le vie di emigrazione in altri Stati ( tant’è, la fame restava solo a chi ne soffriva), sostenendo esclusivamente la presenza, che fu consistente e ben incentivata, nelle colonie del declamato a fatuo  ”Impero”.

Grande, altresì, il numero di italiani costretti ad andare fuori dall’Italia poiché perseguitati politici.

 Poi, dopo la guerra, con la Repubblica, dalla fine degli anni 40 del novecento, gli italiani continuarono a emigrare in maniera notevole, con significativa attenzione  a varie zone del centro-nord Europa, in particolare: Germania, Svizzera, Belgio, Francia, etc. Riprese anche il flusso verso le Americhe; iniziò anche l’emigrazione in una direzione nuova, l’Australia.

 Inoltre, durante la fase del “boom economico” –  dal 1950  fino  alla parte iniziale degli anni 80 – fu imponente  il flusso di spostamento interno operato da cittadini residenti nelle aree del sud verso il nord-Italia. Intere zone territoriali rimasero desertificate dalle energie più vitali. Milioni di valigie di cartone, tenute strette da una salda girata di robusto spago, si imbarcarono sui treni di lunga percorrenza, per cercare condizioni di vita migliore, per fuggire dagli atroci stenti che avevano sempre vissuto.

 L’ultimo rapporto dell’AIRE – Anagrafi Italiani Residenti all’Estero- ( 2016) evidenzia che gli iscritti sono 4.975.299, così suddivisi per aree geografiche: 2.686.431 in Europa, a.599.591 America meridionale, 451,186, America settentrionale e centrale, 278.091 in Africa, Asia, Oceania e Antartide. Nel 2000 erano 2.353.000. E’ cresciuta in maniera considerevole la richiesta di acquisizione della cittadinanza italiana “ per discendenza”. Il posizionamento ( primi otto posti) in questa speciale classifica è il seguente: Argentina, Germania, Svizzera, Francia, Brasile, Belgio, Stati Uniti, Regno Unito. Complessivamente il 55% proviene dalle regioni meridionali, il 30% dalle regioni settentrionali, il 15% dalle regioni del centro Italia.

 Come ben noto la dinamica di emigrazione per l’estero continua ancora oggi, con quantità più ridotte,  specie con i giovani laureati. Mediamente ogni anno  oltre 100.000 persone abbandonano i luoghi  di residenza emigrando all’estero. Prosegue sempre con quantità rilevanti ‘l’emigrazione interna, dalle regioni del Sud verso le regioni del centro-nord.

 Durante tutta questa lunghissima e drammatica fase emigratoria, solo verso Stati esteri –  compreso anche lo spostamento verso Paesi africani  situati nelle aree del nord, come avvenuto per alcuni decenni dalla fine dell’800  fino agli inizi del 900 – gli italiani coinvolti sono stati stimati in oltre venticinque milioni (25 milioni). Molti altri milioni di cittadini si sono spostati all’interno della penisola.

Per meglio focalizzare la drammaticità e  la “desertificazione” residenziale dell’emigrazione italiana è’ bene riportare alla comune memoria la situazione in essere in due periodi temporali particolarmente intensi nei processi di abbandono dell’Italia. Nella fase iniziale,1881, la popolazione italiana era costituita da meno di 29 milioni di residenti. Nel 1951 i residenti erano circa 48 milioni.

 Una imponente “massa” di intelligenze e sentimenti, costretti a fuggire dalle condizioni estreme di povertà. Si sradicarono di fatto dai loro luoghi di origine, lasciando traumaticamente  affetti, legami parentali e sociali. Sono stati tutti migranti economici.   

 Così come avviene oggi  per i profughi migranti che fuggono dai paesi devastati da guerre, carestie, disastri ambientali e fame strutturale.

 Come ben noto moltissimi  sono stati i siciliani coinvolti nelle emigrazioni, ben oltre 2 milioni di persone, solo fuori dall’Italia, nel corso del processo temporale evidenziato. Infatti in questa speciale classifica del dolore, nei dati EIRE la Sicilia è al primo posto, con 650.000 persone interessate. E’ bene altresì ricordare che fino all’inizio della prima guerra mondiale la componente numericamente più grande di emigranti proveniva dalle regioni del centro-nord Italia: oltre 8.300.000 su un complessivo di 14.000.000.

Ebbene, nell’attuale composizione della popolazione residente in Italia una quota preponderante ha nel proprio album di famiglia un emigrante.

 Chi aizza contro coloro che cercano protezione e una nuova vita in Italia e In Europa diabolicamente dimentica gli “scheletri” giacenti nei propri armadi, quelli del ceppo familiare. Nella parte preponderante dei casi le rimesse economiche degli emigranti costituirono per molto tempo il “bonus” fondamentale per vivere. Ovviamente non erano appartenenti alla nobiltà imperante o della borghesie proprietarie o commerciali. Per lo più abbandonavano le campagne, i luoghi  dei loro sfruttamenti e di fame secolari.

 In gran parte gli italiani emigrati, tutti, erano persone giovani, “ baldi e muscolosi”. Così come avviene oggi con chi sbarca nelle coste siciliane o cerca di venire in Italia in altra maniera. Nella stragrande maggioranza partirono in solitudine. In parecchi casi, bollati come “clandestini”, furono ricacciati indietro. In molti ritentarono ancora. Dopo, superate le spossanti tribolazioni, trovata sistemazione lavorativa – quasi sempre di tipo manuale -,  le persone sposate richiamarono moglie, figli e altri del ceppo parentale. La “famigerata” ricongiunzione, oggi messa sul banco degli accusati.

 L’emigrazione è stata ( ed è) il “sale della vita” che caratterizza da sempre la nostra Gaia Terra. Nel corso della storia umana si sono spostati in molte centinaia di milioni. Da tutti i continenti, verso altri lidi, per cercare di dare risposta ad una necessità elementare che riguarda tutti gli Umani: vivere senza atroci stenti, in libertà e senza sopraffazioni. Nei fatti, dati i processi storici che si sono determinati,  siamo tutti meticci.

 Infine è opportuno evidenziare che sul piano dei valori e delle regole sociali nulla è stato regalato.  I processi di forte avanzamento democratico sono stati determinati dalle Lotte di Liberazione contro il nazifascismo, in Italia e in Europa; compreso lo smantellamento delle violente azioni colonialiste che avevano caratterizzato gli ultimi secoli.  Si costruirono le fondamenta  per realizzare un modello sociale e politico basato sulla “fratellanza” e  sulla solidarietà operativa, diffusa e di massa. Quindi,  l’inserimento nei tessuti sociali di  coloro che cercavano accoglienza, sostegno e lavoro.  Pur con le contraddizioni “gestionali” in essere, in Europa  molte decine di milioni di persone provenienti da tutte le partì del mondo danno il proprio vitale contributo al contesto economico e sociale.  Del resto i nostri valori costituzionali giustamente  mettono in primo piano i postulati di accoglienza e rispetto (trave portante per tutte le democrazie) per gli uomini e le donne che  scappano dalle guerre e da condizioni catastrofiche di vita. Domenico Stimolo

Il virus che contagia la sinistra

«Aiutiamoli a casa loro». E dopo averli «aiutati» per secoli a casa loro, in Africa, schiavizzandoli e depredando le loro risorse, una generazione «ingrata» vuole venire a casa nostra. Deportiamoli, si dice anche al centro sinistra-destra.

Tonino Perna29.07.2017 – Manifesto

Adesso sono tutti d’accordo, compreso il segretario del Pd che ha sposato in pieno questo slogan che coniò per primo Salvini. Per la verità, la prima volta che ho sentito dire con convinzione «aiutiamoli a casa loro» è stato nel giugno del 2001.

Durante una conversazione con il presidente del Parco delle Cinque Terre, allora attivista del Pds e poi europarlamentare. Un presidente di Parco molto capace che ha trovato un modo intelligente per recuperare i vigneti ed i terrazzamenti nelle stupende colline delle Cinque Terre, cercando di promuovere un turismo sostenibile in un ambiente molto fragile.

Un uomo innamorato della sua terra e convinto oppositore della globalizzazione capitalistica. Ad un certo punto della discussione venne fuori la questione dell’immigrazione e lui mi raccontò di cinque albanesi che avevano accolto con entusiasmo alle Cinque Terre ed erano stati ricambiati con furti e violenze varie. Da qui la sua profonda avversione al fenomeno migratorio e il suo profondo convincimento: «Aiutiamoli a casa loro».

POCO TEMPO FA mentre attraversavo lo Stretto ho incontrato un amico magistrato, un democratico convinto e conseguente, cattolico socialmente impegnato, da sempre persona sensibile ai temi sociali.

Mentre l’aliscafo saltellava sulle onde, in una giornata da montagne russe, sono sbalzato via dalla poltrona, non per il mal di mare ma quando gli ho sentito dire: «Aiutiamoli a casa loro…qui non possiamo continuare ad accoglierli…anzi dovremmo far star male quelli che ci sono in modo tale che quando telefonano a casa sconsiglino altri a partire…» .

Me lo diceva con sofferenza, vera, con rammarico ma anche con la convinzione che se non vogliamo far vincere Salvini dobbiamo porre un argine a questi flussi migratori. Se li lasciamo a bighellonare tutto il giorno, ospiti di buoni alberghi- sosteneva- questi giovanissimi africani che hanno tutti un telefonino manderanno a casa delle belle immagini e il flusso diventerà una valanga e saremo sommersi.

COME HA LUCIDAMENTE ribadito Guido Viale su questo giornale con 180mila profughi o 200mila non si dovrebbe parlare di invasione in un paese con 60 milioni di abitanti.

Cosa avrebbe dovuto dire il popolo libanese quando sono arrivati un milione e mezzo di siriani in un paese di cinque milioni di abitanti? Inoltre, e spesso lo dimentichiamo, abbiamo un saldo demografico negativo di circa 50mila unità l’anno e un saldo migratorio nazionale negativo per oltre 100 mila unità (soprattutto dovuto a giovani italiani studenti e laureati che emigrano in vari paesi del mondo).

Inoltre, negli ultimi anni per via della crisi economica del nostro paese gli stranieri che ritornano nel loro paese sono superiori a quelli che arrivano, in particolare gli albanesi, i marocchini, rumeni, filippini, ecc.

Quindi non c’è nessuna esplosione demografica e non c’è nessun pericolo di invasione se gli immigrati sono ancora oggi l’8,5% della popolazione a fronte di percentuali ben maggiori in diversi paesi europei, dall’Austria all’Irlanda per non parlare della Svizzera.

MALGRADO queste evidenze statistiche è entrato nella pelle italica questo virus dell’invasione che porta ogni giorno persone insospettabili a chiedere di respingere i barconi e magari affondarli. Uno degli ultimi casi riguarda un noto intellettuale siciliano, Antonio Presti, l’ideatore di «Fiumara d’arte» famosa a livello internazionale, organizzatore di eventi artistici di assoluto rilievo.

Ebbene proprio lui, in una conferenza stampa che annunciava a Taormina il progetto di riqualificazione del Villaggio Le Rocce di Mazzarò, ad un certo punto denuncia l’arrivo nel paese di una trentina di migranti dicendo testualmente : «Meno italiani più immigrati, è iniziata la sostituzione di popolo»». Ed aggiungendo che «« non è razzismo, ci opponiamo all’invasione di altre culture e alla perdita della nostra identità».

HO VOLUTO CITARE questi casi concreti di intellettuali, di persone che hanno operato bene in diversi campi, non di operai disoccupati che temono la concorrenza di chi è costretto a lavorare a salari da fame – come avviene nell’edilizia e in agricoltura – né di persone ideologicamente di destra.

Ho voluto citarli perché dovremmo prendere atto che viviamo in un paese che sta diventando profondamente razzista nella sua stragrande maggioranza. A differenza degli anni ’30 del secolo scorso, oggi nessuno si dichiara apertamente razzista, o parla di razze superiori, ma di diritto a difendersi da una invasione distruttiva, sia sul piano culturale che su quello economico (i soldi ai migranti anziché ai nostri poveri!!).

E sono tutti convinti che «non possiamo accoglierli tutti» e quindi dobbiamo fermarli con ogni mezzo. E, siccome siamo buoni, l’unica cosa che possiamo fare è di «aiutarli a casa loro»». Come? Semplice: con lo sviluppo economico. Se i popoli dell’Africa subsahariana si svilupperanno come abbiamo fatto noi si fermerà l’emigrazione.

PECCATO CHE abbiamo dimenticato o non vogliamo fare i conti con la storia. Le prime grandi ondate migratorie dall’Europa verso altri continenti sono iniziate nei paesi in cui avveniva la rivoluzione industriale, a cominciare dall’Inghilterra, ovvero iniziava quello che chiamiamo sviluppo economico capitalista.

Anche in Italia, nell’ultimo quarto del XIX secolo, le prime ondate migratorie hanno interessato il Piemonte, la Liguria e la Lombardia, cioè le regioni dove è nata la prima rivoluzione industriale italiana. Prima che lo sviluppo economico porti ad un blocco dell’emigrazione possono passare decenni o secoli, come dimostra, tra l’altro il caso emblematico del nostro Mezzogiorno.

E noi italiani che non siamo riusciti in centocinquanta anni a risolvere la questione meridionale, che abbiamo milioni di giovani meridionali precari e/o disoccupati malgrado le politiche di sviluppo adottate nel corso di decenni, gli investimenti a valanga, i poli di sviluppo industriale, il sostegno alle start-up, vorremmo risolvere la «questione africana» esportando il nostro modello di sviluppo?

E QUALE AIUTO a casa loro vorremmo portare dopo che abbiamo tagliato le poche risorse che c’erano per la cooperazione popolare, quelle delle ong, che in qualche caso aveva dato buoni frutti quando non era caduta nella logica dell’economicismo o dello sviluppismo esasperato.

La cooperazione per garantire un minimo di welfare come scuole, sanità, case, questo sì che serve. Ma, se volessimo veramente «aiutarli a casa loro» ci sarebbe un mezzo immediato: un reddito minimo vitale per tutte le famiglie povere africane.

Si potrebbe cominciare dai paesi dove in questo momento partono il maggior numero di migranti come la Nigeria, Niger, Etiopia, Eritrea, ecc. Ipotizziamo che si riuscisse a dare a tutti i giovani tra i 16 ed i 32 anni un minimo vitale di 200 euro al mese, che mediamente in Africa consentono ad una famiglia di sopravvivere. E ipotizziamo sempre che un primo bacino di utenza sia di circa 100 milioni di giovani.

Il costo mensile sarebbe di 20 miliardi di euro al mese, un terzo di quello che Draghi ha elargito mensilmente al sistema creditizio europeo oberato da titoli spazzatura e crediti inesigibili. Immaginiamo che a Bruxelles passi una decisione del genere, quale sarebbe la reazione? Scandalo! Aiutiamo i giovani africani mentre i nostri sono precari, disoccupati e impoveriti? Morale della favola: quando diciamo «aiutiamoli a casa loro» vogliamo dire ben altro.

BASTA UN BREVE excursus storico per rendercene conto. Sono secoli che come europei ««aiutiamo a casa loro»» i popoli africani , latino-americani ed asiatici. Soprattutto gli africani sono stati oggetto delle nostre attenzioni, premure, affetto. Prima di tutto portandogli la civiltà e facendoli uscire da una condizione di uomini semiselvaggi, animisti e antropofagi, trasportandoli a nostre spese nel mondo civile (quello che i comunisti un tempo chiamavano «tratta degli schiavi»).

Poi con l’installazione delle nostre tecniche agricole, delle monoculture più moderne che hanno prodotto un notevole flusso di esportazioni, nonché la valorizzazione delle loro miniere che erano state ignorate per secoli come fonte di ricchezza. Ed ancora gli abbiamo insegnato l’uso delle moderne tecniche militari, li abbiamo fatti passare dall’arco e le lance ai carri armati e agli aerei, li abbiamo aiutati a combattersi nel modo più moderno ed avanzato possibile offrendogli consiglieri militari e le armi più sofisticate.

Infine gli abbiamo insegnato l’uso del denaro e come sia facile prenderlo in prestito e poi doverlo restituire con buoni tassi di interesse, ovvero quella che è la nostra libertà più grande e bella: la libertà di indebitarsi fino al collo.

E dopo aver operato per secoli a casa loro, per il loro benessere, adesso questa generazione ingrata vuole venire a casa nostra con tutti i problemi che già abbiamo …….. Non è possibile…riportiamoli a casa loro, anzi deportiamoli.

 Tonino Perna

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