ANPI Favara: Il giorno della memoria

Settantuno anni fa l’Armata Rossa sovietica liberò il campo di Auschwitz


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Il 27 gennaio di settantuno anni fa l’Armata Rossa sovietica liberò il campo di concentramento di Auschwitz. Da allora, il mondo scoprì l’orrore perpetrato dai nazisti nei confronti non solo degli Ebrei ma anche verso altre “minoranze” come omosessuali, zingari, prostitute, senza tetto, religiosi, prigionieri di guerra ecc. ecc.

Via via che gli Alleati avanzavano vennero “smascherati” altri campi di concentramento diffusi in Germania, Polonia Repubblica Ceca e anche in Italia.

Il fascismo, in linea con l’alleato tedesco, emanò nel novembre del 1939 delle leggi antisemite in nome di una presunta difesa della razza italiana.

Non a caso, il favarese Calogero Marrone, da dipendente dell’ufficio anagrafe di Varese, salvò la vita di centinaia di ebrei falsificando le loro carte d’identità. Il nostro illustre compaesano pagò con la vita questo suo grande gesto di coraggio, proprio all’interno di un campo di concentramento, precisamente a Dachau. Dunque, il nostro eroe è figlio di un’aberrazione del sistema italiano. Patria Indipendente, ovvero il giornale dell’ANPI, in un numero pubblicato il 27/02/2005, sostiene che nel luglio del ‘42 i campi di concentramento presenti in Italia erano ben 202. Fu un massacro terribile del quale si è sempre parlato poco forse per VERGOGNA. Molti di questi campi di concentramento si trovavano nei confini orientali e fecero incetta di slavi, sloveni, croati e zingari, provocando di conseguenza, qualche anno dopo, la strage di italiani nelle Foibe.

Dopo l’armistizio di Cassibile del ‘43 anche gli alleati italiani divennero, per i nazisti, nemici da deportare, sfruttare ed eliminare. Aggiungiamo che il trattamento riservato ai prigionieri di guerra italiani fu comunque peggiore di quello riservato agli altri prigionieri. Gli italiani avevano un doppio peccato: quello di essere sia prigionieri che traditori.

Per informazioni potete chiedere a Lillo Vaccaro (ma anche alle famiglie Giglia, Taranto, Butticè solo per citare qualche esempio), prigioniero di guerra in Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca), numero di matricola 23302. Il nostro anziano compaesano è oggi l’unico superstite di questa triste pagina di storia. Il mio caro amico Lillo nel giugno del 2012 ha anche ricevuto l’onorificenza di “Cavaliere” della Repubblica.

In totale, i favaresi internati nei campi di concentramento furono 20. Del resto, Favara, non si è mai mostrata insensibile verso questo importantissimo giorno di memoria e sensibilizzazione. Infatti, nel 1994 l’amministrazione, guidata dal sindaco Gaetano Sanfilippo, fece incidere su una lapide marmorea i nomi di alcuni favaresi che finirono internati nei campi di concentramento posta in piazza Belvedere, negli anni in cui frequentavo il liceo M.L.K ricordo che, il Prof. Gerlando Cilona era solito organizzare la commemorazione del 27 gennaio ed infine l’anno scorso è stato inaugurato un monumento dedicato a Calogero Marrone collocato in Piazza della Pace. Quest’anno il giorno della memoria sarà celebrato fra i banchi di scuola dell’istituto “V. Brancati” diretto dalla Dott.ssa Carmelina Broccia, dove anch’io, avrò il piacere di intervenire. Oggi più che mai bisogna continuare a parlare di questa vergognosa pagina di storia soprattutto alla luce dei ripetuti atti di razzismo e di intolleranza che si registrano un pò in tutta Italia, anche a causa di qualche partito politico, che continua a fomentare odi e rancori nei confronti del “diverso” ieri identificato nell’ ebreo, oggi nei “neri” o nei musulmani.

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Insigniti della medaglia di partigiani nel 70° della Liberazione

peppino 2Armando Follari OtelloIMG-20160127-WA0008-1068x641Mercoledì 27 gennaio 2016, “Giorno della Memoria”ore 11 in via Cavour il nuovo prefetto di Palermo dott.ssa Antonella De Miro
consegna la medaglia coniata in  occasione del 70° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo  ai partigiani  e agli internati militari rimasti con noi. f

Nella foto Peppino Benincasa sopravvissuto alla strage nazifascista di Cefalonia con il figlio e parenti del deportato nei campi di internamento nazisti Pizzuto, l’ANPI di Palermo con Ottavio Terranova, Angelo Ficarra, Giusy Vacca, Caterina Pollichino, Salvo Li Castri, Franco Ciminato, Pippo Oddo, il deputato regionale Giuseppe Lupo, il Sindaco di Castronovo di Sicilia e tutti gli amici e conoscenti dello straordinario antifascista  Peppino Benincasa, reduce della divisione Acqui a Cefalonia e partigiano nella resistenza greca contro il nazifascismo.

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ANPI RIESI: I GIOVANI E LA COSTITUZIONE

i diritti di cittadinanzaL’A.N.P.I. Riesi sezione Gaetano Butera, in collaborazione con il Comune di Riesi e l’Istituto Carlo Maria Carafa di Mazzarino e Riesi, hanno avviato nel mese di novembre 2015, il progetto “I giovani e la Costituzione” che si pone come obiettivo di valorizzare la storia e il testo dalla Costituzione ai ragazzi  e ragazze di quarto e quinto anno delle scuole superiori, per conferire quelle conoscenze utile per prepararsi alla “maturità” come cittadini italiani.  Il primo incontro si è svolto il 19 novembre 2015 presso l’Aula Maglia dell’Istituto C.M. Carafa di Riesi, dove gli studenti  si sono confrontati con il prof. Antonio Vitellaro, storico e presidente dell’Ass. Storia Patria di Caltanissetta,  sul tema: “Dalla crisi dello stato liberale alla
Costituzione”. Un filo che unisce due differente epoche storiche, che descrive come i cittadini italiani erano rilegati nello svolgere soltanto le attività lavorativa e non potevano avere il diritto di voto. ll potere amministrativo e decisionale era rilegato nella mani del monarca e dell’aristocrazia. Gli italiani iniziano ad occuparsi anche delle questioni sociali e politiche della penisola,  necessarie a modificare il loro status quo all’interno di un società fortemente gerarchizzata e conservatrice. Tutto
questo avviene attraverso la creazione dei Fasci Siciliani e delle Cooperative di Mutuo Soccorso che sono le antesignane delle associazioni sindacali e dei partiti politici. Movimenti che si scontrano con la borghesia che deteneva il potere feudale e i privilegi sanciti dalla Stato. Tutto questo malumore porta a diversi scontri  e rivoluzioni popolari, fino a culminare nella lotta partitica antifascista e nella lotta armata con la Resistenza. Da qui tutti i partiti liberali che fino adesso hanno lottato, uniscono le loro ideologie attraverso l’Assembla Costituente, per dare origine alla Costituzione della Repubblica Italiana. Il secondo incontro del progetto,  si svolgerà giorno 26 Gennaio 2016 alle ore 11,30 presso l’Aula Magna dell’Istituto Carlo Maria Carafa di Riesi, dove si discuterà sul tema: “I diritti di cittadinanza” con il prof.  Edoardo Vagginelli.

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ANPI: REFERENDUM NO ALLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE

L’ANPI per il referendum popolare: “no” alla riforma del Senato ed alla legge elettorale

L’ANPI si schiera per il referendum popolare, per dire “no” alla legge di riforma del Senato ed alla legge elettorale

La decisione è stata presa nella riunione del Comitato nazionale del 21 gennaio dove si è ampiamente ed approfonditamente discusso circa la riforma del Senato e la legge elettorale e sulla proposta di aderire ai Comitati referendari già costituiti.

La discussione è stata veramente apprezzabile, per la ricchezza e la serietà delle argomentazioni e per la compostezza del confronto. Si partiva dalla proposta del Presidente di aderire ai Comitati referendari già costituiti sull’una e sull’altra legge, tutta fondata sul tema della coerenza nella intransigente difesa della Costituzione, secondo la linea perseguita dell’ANPI negli ultimi due anni. Sulla relazione vi sono stati molti consensi e sono state manifestate alcune perplessità e preoccupazioni, che hanno contribuito – anch’esse – alla valenza complessiva del dibattito, consentendo di arrivare, alla fine, ad un voto sostanzialmente unitario (solo tre astensioni).
In effetti, proprio per il contributo della discussione e del confronto, si è pervenuti, non solo all’esito positivo già indicato, ma anche alla definizione – ai fini della chiarezza – delle modalità e delle “condizioni” che devono caratterizzare l’ingresso dell’ANPI nella compagine referendaria. Questi aspetti, resi evidenti ed esposti nelle conclusioni del Presidente, possono essere così sintetizzati:

a. l’ANPI aderisce alla iniziativa referendaria in stretta coerenza con la linea seguita per due anni sul tema della riforma del Senato e sulla legge elettorale, qualificata fin dalla prima manifestazione, al Teatro Eliseo di Roma. come “una questione di democrazia”. La conseguenza logica della approvazione delle due leggi in termini poco diversi rispetto a quelli iniziali, è che la parola va data alle cittadine e ai cittadini perché si esprimano liberamente, senza pressioni e soprattutto senza ”ricatti”.
b. nell’aderire ai Comitati referendari già costituiti, l’ANPI mantiene la sua piena autonomia e la sua piena libertà di azione e di giudizio, impegnandosi peraltro a contribuire ad un efficace svolgimento della campagna referendaria, basata, prima di ogni altra cosa, su una corretta e completa informazione delle cittadine e dei cittadini sui contenuti dei provvedimenti di cui si chiederà l’abrogazione.
c. l’ANPI non è interessata – nel caso particolare delle riforme – ai problemi più specificamente “politici” (il “plebiscito”, la tenuta e le sorti del Governo, etc.); per la nostra Associazione il tema è solo quello dell’intransigente difesa della Costituzione da ogni “stravolgimento” che rimetta in discussione le linee portanti (anche della seconda parte) ed i valori di fondo; considera la Riforma del Senato e la legge elettorale, così come approvate dal Parlamento, un vulnus al sistema democratico di rappresentanza ed ai diritti dei cittadini, in sostanza una riduzione degli spazi di democrazia;
d. l’ANPI esclude la collocazione della battaglia referendaria nel recinto di un qualsiasi schieramento politico, nonché ogni altra opzione politica che non sia quella, appunto, della salvaguardia della Costituzione;
e. l’ANPI, che attualmente ha oltre 120.000 iscritti e un’organizzazione estesa all’intero territorio nazionale, deve godere di una rappresentatività all’interno dei Comitati referendari, adeguata a ciò che essa rappresenta, in tema di iscritti e di valori;
f. l’ANPI ritiene che – rispetto alle Assemblee pubbliche, pur talora necessarie – debbano essere privilegiati gli incontri e le iniziative di contatto e rapporto con i cittadini attraverso la formazione di Comitati locali, ampi ed aperti e rivolti soprattutto alla popolazione, per informare e convincere sui complessi temi in discussione;
g. si ritiene opportuno che i Comitati referendari, se non lo hanno già fatto, provvedano alla costituzione di esecutivi snelli e dotati di particolare autorevolezza, in grado di coordinare ed intervenire con indicazioni, suggerimenti e proposte, anche in rapporto con i comitati locali che si andranno costituendo;
h. l’ANPI si riserva di assumere anche iniziative autonome, ma non confliggenti con quelle dei Comitati, per informare sulla posizione assunta e sulle sue caratteristiche anche di autonomia, nonché su tutte le questioni che riguardano le due leggi in discussione.
Questi sono i connotati fondamentali e le “condizioni” dell’adesione dell’ANPI ai Comitati referendari.
Sotto il profilo interno, è evidente che questo ci impegna a dare il nostro contributo, in sede nazionale e in periferia, allo sviluppo della campagna referendaria, con iniziative, con la costituzione dei Comitati, con tutti i mezzi e gli strumenti di informazione e di convincimento.

Naturalmente, ci sono due condizioni “interne”, perché tutto questo si possa svolgere regolarmente: la prima dipende strettamente dalla concomitanza con la campagna congressuale, che culminerà nel Congresso nazionale a metà maggio. Bisogna riuscire a far bene l’una e l’altra cosa, considerando l’importanza che assume per la nostra Associazione, il Congresso, che è occasione di confronto, ma anche e soprattutto di definizione della linea che si adotterà per il futuro.
La seconda è che in una associazione pluralista come la nostra ci saranno certamente opinioni anche diverse da quella prevalsa nel Comitato nazionale; e del resto, alcune perplessità e preoccupazioni sono emerse anche in quella sede. Ebbene, la parola chiave è: “rispetto” di tutte le opinioni, pur nel contesto dell’attuazione delle decisioni assunte. Ognuno sarà libero di votare come crede, quando verrà il momento; ma oggi sono da evitare azioni ed iniziative che contrastino con la linea assunta dal massimo organo dirigente, così come devono essere – da parte di chi è convinto della bontà e della giustezza della decisione adottata – evitati toni e comportamenti che in qualche modo possano apparire prevaricatori. L’ANPI è perfettamente in grado di mantenere la sua preziosa unità se tutti rispettano le regole, le decisioni adottate e – al tempo stesso – le opinioni diverse.

C’è troppo da fare per continuare a discutere all’infinito: c’è il congresso e ci sarà la campagna referendaria. Dunque, c’è lavoro in abbondanza è c’è, soprattutto, la convinzione e la certezza che ciò che facciamo, in piena autonomia e con assoluta attenzione all’identità ed ai valori dell’ANPI, è funzionale al bene del Paese e della collettività e soprattutto all’intransigente (e non conservatrice) salvaguardia della Costituzione.
Non escludiamo la possibilità di iniziative anche autonome, per illustrare e chiarire la nostra posizione e per indicare positivamente (lo ripeto per l’ennesima volta, non siamo per la conservazione dell’esistente a tutti i costi) ciò che si potrebbe (e si dovrebbe) fare, semmai, per superare alcuni difetti del bicameralismo “perfetto”, senza stravolgere la Costituzione, prendendo esempio anche da esperienze già realizzate in altri Paesi.
Pertanto, è opportuno “attrezzarsi”, conoscere bene la legge di riforma del Senato, conoscere bene la legge elettorale, per poterne indicare e spiegare i difetti, i limiti e le ragioni per cui ne chiediamo la cancellazione.
È un momento delicato e complesso; ancora una volta, questo costituirà motivo e stimolo per un impegno solido e convinto.

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20 gennaio 1893 Caltavuturo prima strage Fasci Siciliani anniversario

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appuntamenti verso il 16° congresso con i valori della Resistenza e della Costituzione

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I SICILIANI CONFINATI DURANTE LA DITTATURA FASCISTA

logo_2logo_2a cura di Gaetano Imbrociano

I SICILIANI
Le biografie dei confinati politici che hanno un corrispondente fascicolo nel Casellario Politico Centrale, di cui la quasi totalità di essi vengono ricordati nell’elenco allegato, rivelano un aspetto della società siciliana oggi dimenticata.
Le biografie, redatte utilizzando esclusivamente la documentazione contenuta nei fascicoli personali dei Confinati politici, mirano a fare emergere ” i senza storia “ che contro il regime fascista hanno lottato subendo carcere e confino.
Molti di questi Confinati hanno rivendicato con una propria coscienza di classe una migliore qualità della vita.
Non si possono ignorare quei ristretti gruppi di coraggiosi, che furono ben fermi nel perseguire i loro ideali di libertà e di riscatto sociale, pur non essendo nella maggioranza dei casi intellettuali.
Il riferimento è a quegli stessi che lottavano per sopravvivere; muratori, zolfatari, disoccupati, operai, contadini, sarti, ex ferrovieri, ex ufficiali postali, barbieri, falegnami, tutti con un livello culturale molto basso, ma con una sufficiente capacità di comprendere la realtà politica e sociale per potere desiderare ardentemente di modificarla.
Tuttavia rispetto alla massa della popolazione erano minoranze molto esigue.
Senza sminuire il valore dei loro sforzi, purtroppo, prima ancora che i loro progetti fossero portati a compimento la repressione fascista, il cui braccio operativo era l’Ovra stroncò sul nascere ogni iniziativa antifascista, mentre la maggioranza della popolazione restava inerte.
Il compito che svolsero queste minoranze fu di importanza vitale; si trattava di suscitare e mantenere viva nella coscienza popolare quel sentimento di libertà e di giustizia sociale che era stato sommerso dal flusso reazionario.
Si trattava di contrastare la manipolazione ideologica ed impedire l’asservimento completo al potere.

Elenco, per difetto, dei confinati antifascisti siciliani : tratto dalla Persecuzione fascista in Sicilia – Archivio Centrale di Stato – Roma. Redatto dagli studiosi : Salvatore Carbone e Laura Grimal

GRASSO Francesco, nato a Palermo il 26 ottobre 1913, dottore in lettere, comunista.
GRASSO Giuseppe Alfio Alfredo, nato a Catania il 7 aprile 1889, ragioniere, massone.
GRASSO Rosario, nato a Vittoria (RG) l’8 luglio 1912, bracciante agricolo, comunista.
GRASSO Sebastiano, nato a Messina il 7 febbraio 1896, macchinista, antifascista.

IMBROCIANO Giuseppe, nato a Palermo il 23 febbraio 1901, meccanico, comunista.
Arrestato a Palermo il 22 gennaio 1942, venne rinchiuso per cinque mesi in
segregazione cellulare nel carcere dell’Ucciardone.
Nel mese di maggio venne internato a Pisticci dove si ammalò di osteomelite
alla gamba sinistra, con difficoltà a deambulare.
Da Pisticci venne trasferito al confino di Pollica (SA).
Con la caduta del fascismo ottenne la liberazione, ma la comunicazione gli
venne consegnato dalle Autorità del paese nel mese di luglio del 1944.

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IN RICORDO DI NICOLO’ AZOTI

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VERSO IL SETTANTESIMO ANNIVERSARIO DEL SACRIFICIO DI NICOLO’ AZOTI
Nicolò Azoti, detto familiarmente “Cola”, fu assassinato alla vigilia del Natale 1946. Era stato gravemente ferito a Baucina (Palermo) in un agguato del 21 dicembre, tesogli dai grandi agrari del suo territorio (beneficiari per un ventennio della protezione del regime fascista) e dai loro gabelloti, fin dall’ottobre del 1944 coalizzatisi in “battaglia di classe” contro i decreti emanati dal ministro comunista Fausto Gullo che inaugurarono quella fase epica di lotte contadine destinata a concludersi con la riforma agraria (1950). “Cola”, non era un contadino, ma, per mestiere, un ebanista, anche se sarebbe meglio considerarlo un informale “intellettuale popolare” nutrito da una personale cultura libertario-antifascista, appassionato di musica e di teatro. Aveva dato senso operativo alla sua spiccata vocazione sociale mettendosi, da sindacalista della Cgil, alla testa e al servizio dei contadini per l’attuazione dei decreti Gullo, e fondando all’uopo la cooperativa agricola “San Marco”. Aver concretamente sfidato il fronte agrario-mafioso gli fu fatale. Così, può ben dirsi, egli cadde da anomalo “partigiano” sul terreno di quella specialissima “guerra di liberazione” combattuta dal popolo contro un asse di forze mafioso-fasciste, quasi in parallelo a quella combattutasi nel Centro.Nord d’Italia contro l’asse nazifascista. Nicolò Azoti fu uno dei protomartiri del lungo martirologio di quella guerra, tanto guerra di classe quanto guerra di civiltà. Sul caso esemplare della sua morte, a parte l’impunità assicurata ai suoi assassini, sarebbe calato per lungo tempo il sipario dell’oblìo. Ricordarlo oggi, ormai restituito alla venerazione della migliore Sicilia e della migliore Italia dopo la provvida rivendicazione della figlia Antonella, è un fatto che certifica quanto sia ancora possibile che la storia compia degli atti di giustizia, se alimentata da memoria e passione civile.
Giuseppe Carlo Marino

   I discorsi, le belle parole, le speranze gridate al microfono, le canzoni eroiche, tutto è finito,

   e le bandiere ripiegate di uomini sorridenti, tornano alle case;

ma le mie labbra,

ripetono sempre, nuovi nomi: di tutti oggi voglio ricordarmi,

ogni nome un ricordo,

e una nuova stretta al cuore, che trattiene le lacrime.

Gli occhi, aridi fissano, lontano.

Al di là delle Alpi, a monte, di un grande fiume, il Danubio, mura,

tragiche mura,

ornate da pagode, delimitano, un campo di morte, Mauthausen

grondante sangue proletario.

Da Pasquale Cucchiara, “Altri Uomini, Storie di antifascisti e partigiani favaresi”.

Questa bellissima toccante poesia è stata scritta da Antonio Galiano di Favara, in occasione della sfilata dei partigiani a Milano il 25 aprile del 1947. Operaio a Milano partecipa agli scioperi del 1944 e poi finisce deportato a Mauthausen e a Gusen dove viene torturato e martoriato.

La provvida rivendicazione di Antonella e il “di tutti oggi voglio ricordarmi” di Antonio ci riportano al decisivo difficile cammino per il recupero della memoria, per disvelare la Storia.

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ADDIO AL COMPAGNO VINCENZO FONTI CASTELBONESI

12391936_10203705990210321_7238712589543389285_nlogo_2L’ANPI PALERMO COMMOSSA DA L’ULTIMO SALUTO AL COMPAGNO VINCENZO FONTI CASTELBONESI NOSTRO  ISCRITTO.
Palermo 15 dicembre 2015

Castell’Umberto – Il “Partigiano” Vincenzo torna a vivere sulle note di bella ciao

Castell’Umberto- Ieri pomeriggio a dare l’ultimo saluto a Vincenzo Fonti  CastelbonesI, politico, cantautore e ricercatore umbertino, c’erano, con un nodo alla gola, tantissime persone. In prima fila, con le bandiere…

Castell’Umberto – Note nel cielo….Hasta siempre Vincenzo

Note nel cielo Narran le corde il pensiero pentagramma del cuore più vero. *** Gente di Sicilia nel cuore soffocate rime d’amore. *** Canto sofferto di voci negate figlie di…

da Cstell’Umberto news 24

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IN RICORDO DI ARMANDO COSSUTTA PARTIGIANO

logo_2n. 184 – 15/22 dicembre 2015
IL CORDOGLIO DELL’ANPI  PER LA SCOMPARSA DI ARMANDO COSSUTTA
La Presidenza e la Segreteria nazionale dell’ANPI hanno appreso con immenso dolore della scomparsa dell’amico, partigiano e generosissimo dirigente dell’Associazione, Armando Cossutta. Figlio di un operaio di origine triestina che lavorava alla Marelli di Sesto San Giovanni, Cossutta, nel 1943, si è iscritto al Partito Comunista Italiano. Subito dopo l’armistizio è entrato nelle Brigate Garibaldi. Catturato e condannato alla fucilazione, si salvò soltanto perché i militi del plotone d’esecuzione (come racconta nel libro autobiografico “Una storia comunista”, edito nel 2004, dalla Rizzoli), spararono in aria. Dalla Liberazione ha dedicato tutta la sua vita alla politica senza mai distrarsi un momento dal battersi per dare corpo nel Paese a quegli ideali che avevano mosso ogni sua scelta: l’antifascismo e la Resistenza. Ha sempre avuto l’ANPI nel cuore, essendo presente nei tanti momenti che hanno marcato il cammino dell’Associazione, fino a diventarne prezioso braccio operativo e quotidiano dal 2008, anno in cui prestò un’opera decisiva per la riuscita della Prima Festa nazionale che si tenne a Casa Cervi e che vide un’affluenza di migliaia di giovani e una grandiosa attenzione mediatica. Nel 2009, divenuto Vice Presidente, si impegnò a fondo nell’avvio e nella concretizzazione della “nuova stagione dell’ANPI”, che portò l’Associazione ad essere presente con i suoi Comitati in tutte le province d’Italia. Indimenticabile anche il suo strenuo impegno per impedire che venisse approvato, sempre nel 2009, il famigerato progetto di legge 1360 che mirava a parificare i partigiani con i repubblichini di Salò. Confermato Vicepresidente a seguito del Congresso dell’aprile 2011, lo
è rimasto fino alla morte, anche se nell’ultimo periodo non aveva più potuto dedicarsi pienamente all’amata Associazione. Perdiamo con Armando una radice, uno sguardo lungo di civiltà e passione democratica, un punto fermo di responsabilità e amore per il Paese e la sua gente. Non lo dimenticheremo mai e mai smetteremo di additare il suo esempio alle giovani generazioni. Una commemorazione più ampia sarà effettuata dal Presidente Smuraglia nel Comitato Nazionale previsto per gennaio. Mandiamo, commossi, un fraterno e amichevole abbraccio a tutti i suoi famigliari, al cui dolore tutta l’ANPI partecipa col cuore e con l’affetto di sempre.

L’ANPI PALERMO SALUTA COMMOSSA CON FRATERNO ABBRACCIO IL PARTIGIANO E GENEROSISSIMO DIRIGENTE DELL’ASSOCIAZIONE, ARMANDO COSSUTTA

ARGOMENTI NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI
CARLO SMURAGLIA:
Carceri: a fronte delle ataviche carenze dello Stato, si diffondono le iniziative e l’impegno solidale di cittadini e di alcuni dirigenti carcerari volonterosi, per rispettare lo spirito e la sostanza degli artt. 3 e 27 della Costituzione
In un recente articolo apparso su un quotidiano, il Prof. Flick, notissimo giurista, che è stato anche Ministro della Giustizia, esponeva una preoccupazione per lo stato delle carceri, tant’è che l’articolo recava un titolo significativo: “Costituzione affievolita dietro le sbarre”. Il Prof. Flick esprimeva riprovazione per le condizioni delle carceri, nonostante le osservazioni della Consulta e la condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea per i Diritti dell’uomo di Strasburgo, e preoccupazioni serie per il timore di un peggioramento ulteriore a fronte delle minacce e degli attacchi del terrorismo. La tentazione di risolvere i problemi della sicurezza “mettendo più diversi in galera e poi buttando via la chiave” (come, purtroppo, pensano non pochi) è forte; e non solo nel nostro Paese. Ma sarebbe sbagliato, avverte l’autore, col quale non posso che concordare. La lentezza della giustizia e le condizioni carcerarie sono problemi da affrontare con urgenza, e non con i palliativi e tanto meno con i soliti condoni, ma con iniziative concrete, efficaci e rapide, sull’uno e sull’altro fronte, tenendo presente che, al fondo, c’è un grande problema di umanità e di dignità. Su questo, la nostra posizione è stata sempre ferma e coerente, tant’è che ho apprezzato l’iniziativa assunta da alcuni nostri organismi periferici (per esempio Palermo) di visitare le carceri, incontrare detenuti ed
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esprimere con chiarezza le impressioni ricevute. E’ una battaglia di principio, che bisogna portare avanti senza renitenze e senza indugi. Ma io voglio soffermarmi sul “bicchiere mezzo pieno”, sulle iniziative spontanee di molti, a cominciare da alcuni Direttori, (spesso Direttrici) di carceri anche importanti e “difficili”, ma anche di cittadini ed Associazioni, per cercare di affrontare in modo diverso quelle che Flick definisce “le tre emergenze del carcere emerse fin dall’Unità d’Italia: violenza, centralizzazione burocratica e chiusura verso l’esterno”.
Su questo terreno, le iniziative si stanno moltiplicando in alcune zone d’Italia, in modo spesso imprevedibile e addirittura ricco di fantasia. Voglio citare solo qualche esempio (senza far torto alle iniziative di cui non parlo per non appesantire il discorso e restare alle esemplificazioni, di cui più direttamente ho notizia). So, per dirla in breve, che iniziative di chi crede nella finalità rieducativa della pena, sono state adottate e sono in corso ad Opera, a Rebibbia, a Solliciano, a Bollate, a San Vittore ed altre carceri. Me ne compiaccio, perché a suo tempo considerai già un successo aver ottenuto una legge che prometteva agevolazioni, anche fiscali, a chi dava lavoro ai detenuti, dentro e fuori dal carcere (almeno per il primo periodo, a pena scontata); un successo limitato in sé, e poi colpito negativamente dalla scarsità dei finanziamenti adottati. Ora ho letto che anche a Milano ci sono industriali pronti ad impegnarsi su questo fronte, cosa di cui non occorre sottolineare la positività. Ma voglio accennare a soluzioni addirittura fantasiose che si stanno attivando e che devono essere guardate e sostenute con simpatia, ma anche con impegno effettivo. Mi riferisco a due esempi in particolare, di cui ha dato notizia la stampa e su cui – almeno in un paio di occasioni – ho fatto un’esperienza personale. Ecco il primo: il titolo dell’articolo è di per sé significativo “Si guasta la TV? Gli ex detenuti aggiustano tutto”. Come? Attraverso un furgone attrezzato per pronti interventi di manutenzione e riparazione, gestito da una Cooperativa Sociale, in collaborazione col Comune di Milano e il Comune di Bollate. Il “personale” è costituito da detenuti che dispongono della semi libertà e da ex detenuti, che provvedono, direttamente in loco, alla soluzione dei problemi più lievi. Se invece, occorrono riparazioni più consistenti, gli interventi sono effettuati nell’apposito laboratorio del carcere, dove i lavori sono eseguiti da detenuti con una formazione specifica e con attrezzature adeguate. L’altro esempio è ancora più clamoroso: la creazione di un ristorante che significativamente si chiama “InGalera”, organizzato da una Cooperativa, di cui è Presidente una benemerita di queste iniziative (Silvia Polleri). Si era partiti dal catering effettuato all’esterno con tutte le necessarie cautele, ma con una professionalità e un impegno che ho avuto occasione di sperimentare personalmente, ma poi si è andati ancora più in là, con questo ristorante (un vero ristorante) che sta dentro il perimetro del Carcere di Bollate, ma in un’area distaccata rispetto a quella di vera e propria carcerazione, quindi accessibile dall’esterno, ovviamente, anche qui, con le cautele del caso (ridotte, peraltro, al minimo e per nulla invasive).
Nel ristorante, che dispone di circa 50 coperti ed è ottimamente attrezzato, anche con l’aiuto di alcune aziende che hanno fornito soprattutto materiale, lavorano alcuni detenuti, diretti, in cucina e in sala, da professionisti “esterni”. Il servizio è ottimo e attento, la cucina di gran livello e l’atmosfera che si respira è di vitalità e di impegno. Questo è ciò che si ottiene quando ai detenuti si dà una possibilità di formazione e di contatti con l’esterno, offrendo loro, insomma, una prospettiva che va molto al di là della espiazione della pena. Un detenuto “cameriere” ci ha detto che si è appassionato a questo lavoro e adesso lo ama; si vedeva dall’impegno con cui svolgeva il suo compito. L’iniziativa ha avuto un enorme successo, tant’è che il ristorante è sempre completo e per tutto il periodo delle feste le prenotazioni sono esaurite.
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Insomma, si sono fusi diversi comportamenti coraggiosi: l’iniziativa di una donna intraprendente (e che “ci crede”) e di una Cooperativa, il coraggio di un Direttore (che ha “osato” tentare l’esperimento), la disponibilità di alcuni imprenditori e del Comune di Milano ed infine la comprensione del Ministero della Giustizia, cui spettava – infine – la definitiva autorizzazione. Riporto, per completezza, un brano (la “mission”) che traggo di rettamente dal sito di “ingalera.it” che esprime molto bene il senso dell’iniziativa.
“Il ristorante nasce per offrire ai detenuti, regolarmente assunti, la possibilità di riappropriarsi o apprendere la cultura del lavoro, un percorso di formazione professionale e responsabilizzazione, mettendoli in rapporto con il mercato, il mondo del lavoro e la società civile. Il nuovo ristorante InGalera è il primo ed unico ristorante in Italia, realizzato in un carcere, aperto al pubblico sia a mezzogiorno che alla sera, in cui lavorano i detenuti. I detenuti che lavorano nel ristorante sono seguiti da uno chef professionista, imparano o hanno già imparato la lavorazione dei cibi e sanno sorprendere i clienti con ricette esclusive e ben fatte. In sala servono camerieri e personale ospite nel Carcere di Bollate. È un posto giusto per mangiare bene, un’esperienza personale da raccontare.”
Aggiungo peraltro che la “mission” è ancora più ampia, perché anche i cittadini se ne giovano, perché entrano in contatto con un mondo “sconosciuto” e sono invitati a cogliere, al di là delle responsabilità, anche gli aspetti umani. Mi sono attardato su questo esempio, perché esso – come gli altri cui ho sommariamente accennato – dimostra che “si può fare”, si possono conciliare l’esigenza della libertà e della sicurezza, con l’umanità ed il rispetto della dignità.
Ovviamente, per sconfiggere i mali di cui parlava il Prof. Flick, non bastano l’iniziativa privata, la disponibilità e il coraggio. Restano i problemi di fondo: la giustizia, la pena, la rieducazione, la preparazione del personale, la cura degli “spazi” che devono essere idonei a perseguire tutte queste finalità. Ma anche la cosiddetta iniziativa privata può fare molto ed è bene che lo faccia; anzi, è bene che la facciamo tutti nei vari modi in cui si può contribuire ad un’opera di civiltà.

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