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La partecipazione delle donne alla Resistenza
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14 novembre ROMA: NO TRATTATIVA STATO MAFIA
Solidarietà dell’Anpi al Pm Di Matteo
ANPI PALERMO – COMANDANTE BARBATO.
L’ANPI Palermo – Comitato Comandante Barbato aderisce alla Manifestazione nazionale del 14 novembre 2015 a Roma per chiedere verità e giustizia per le stragi degli anni 1992 e 1993.
L’ANPI Palermo – Comitato Comandante Barbato ha dedicato il massimo dell’attenzione al processo avviato a Palermo nel 2013 per fare luce sulla trattativa fra settori dello Stato e la mafia e per fare luce sui mandanti occulti delle stragi degli anni 1992 e 1993, che tanti lutti hanno provocato.
Nel gennaio del 2014, l’ANPI Palermo –Comitato Comandante Barbato si è unita a tanti cittadini ed Associazioni in un Presidio davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo per esprimere solidarietà ai magistrati della Procura della Repubblica di Palermo e chiedere il massimo della protezione per i magistrati e le forze dell’ordine minacciati dalla mafia e ha partecipato alle numerose iniziative di Scorta civica per chiedere ai cittadini, ed in particolare ai giovani, di non essere spettatori ma di scendere in campo “per un Paese libero dalla criminalità organizzata, libero dalla insicurezza, libero da tutto ciò che comprime la nostra dignità di persone, nel senso indicato dalla Costituzione”, come dichiarato dal Presidente Nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia nella lettera di solidarietà indirizzata al Pm Nino Di Matteo.
In coerenza con l’attività svolta e con lo spirito di partigiani della Costituzione, l’ANPI Palermo – Comandante Barbato partecipa alla Manifestazione nazionale del 14 novembre 2015 a Roma per chiedere verità e giustizia per le stragi degli anni 1992 e 1993 e per pretendere dalle più alte cariche dello Stato democratico che sia assicurato il massimo della protezione ai Magistrati, Agenti di polizia, Carabinieri e funzionari, quotidianamente impegnati nel contrasto alle organizzazioni criminali, per estirpare una malapianta che continua a mortificare i più elementari diritti democratici, che sono il cardine della nostra Costituzione.
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ANPI PALERMO NO AL GENOCIDIO DEL POPOLO CURDO
L’ANPI chiede di fermare il genocidio dei Curdi
In piazza contro il fascismo in Turchia
Il terribile attentato di Ankara, avvenuto durante una manifestazione per la pace, ha causato quasi cento morti e diverse centinaia di feriti, un bilancio tremendo destinato purtroppo ad aggravarsi.
Questa strage dalla chiara matrice fascista islamica, segue altri attentati come quelli di Diyarbakir e Suruc altrettanto sanguinosi ed una sistematica eliminazione di dirigenti e militanti delle formazioni curde e turche progressiste e di sinistra in Turchia.
Come democratici ed antifascisti italiani non possiamo rimanere indifferenti a quello che sta accadendo, chiediamo che ci sia nel nostro paese, che ha conosciuto la terribile stagione delle stragi fasciste di stato, la più ampia mobilitazione possibile per far in modo che le richieste di pace della manifestazione di Ankara, la fine del confronto armato con i curdi, venga fatta propria dalle istituzioni europee e che immediatamente ci si attivi per richiedere al governo turco l’immediata fine delle ostilità contro il popolo curdo, ricordando anche l’appello di Papa Francesco. Chiediamo che venga fatta luce sulle stragi e che la comunità internazionale si impegni per impedire l’involuzione autoritaria in Turchia.
Chiediamo che il Sindaco di Palermo si faccia tramite di queste nostre richieste con il Presidente della Repubblica per far arrivare con forza il messaggio di solidarietà del popolo italiano ai progressisti curdi e turchi così duramente colpiti.
L’Anpi Palermo indice un presidio a Piazza Pretoria per giorno 12 ottobre alle ore 17,00. Chiediamo a tutti i cittadini democratici ed antifascisti di mobilitarsi ed essere presenti, facciamo appello a tutte le forze democratiche alla mobilitazione.
Angelo Ficarra Ottavio Terranova
Segretario Anpi Palermo Presidente Anpi Palermo
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Lampedusa faro di civiltà nella tragedia neocapitalista delle migrazioni
PROIEZIONE DEL FILM DOCUMENTARIO DI ANTONINO MAGGIORE
SULLE TRAGEDIE NEOCAPITALISTICHE DELLE MIGRAZIONI
NEL GIORNO ANNIVERSARIO DELLA TRAGEDIA NELLE ACQUE DI LAMPEDUSA DEL
3 OTTOBRE 2013
CHIESA S. NICOLO’ ALL’ALBERGHERIA 3 OTTOBRE ORE 20,00
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COSTITUZIONE E DEMOCRAZIA
http://ilmanifesto.info/
Edizione del 2 ottobre 2015
Il precedente pericoloso
Massimo Villone
Avevamo la Costituzione di De Gasperi, Togliatti, Nenni, Mortati, Calamandrei, Perassi e altri, a molti di noi cari. Una Costituzione che ha retto bene il paese per decenni, anche in momenti bui. Abbiamo da oggi la Costituzione di Renzi, Boschi e Cociancich. Ogni tempo ha gli eroi che si merita.
Quando fu presentato per l’Italicum il noto emendamento Esposito, fu chiaro che si poneva un precedente pericoloso, tale da poter stroncare non solo l’ostruzionismo, ma qualsiasi dibattito o confronto parlamentare. Riassumere un dettato normativo in un emendamento da anteporre e da votare prima degli altri ha infatti la conseguenza, secondo una lettura notarile dei regolamenti, di far cadere ogni altro emendamento perché l’Aula ha ormai deciso. Scrissi allora su queste pagine che il presidente avrebbe dovuto dichiarare l’emendamento Esposito inammissibile, per carenza di contenuto normativo. Fece diversamente.
Vicenda simile abbiamo ora con l’emendamento Cocianchic (1.203). Non importa chi l’abbia scritto. Calderoli ha riferito in Aula voci per cui Cociancich «avrebbe detto a più persone che ignorava il contenuto ovvero la portata del suo emendamento».
Non sappiamo se sia vero. Comunque, non ci voleva un genio del diritto parlamentare per infilarsi nel varco aperto allora dalla decisione del presidente del senato sull’emendamento Esposito. La cosa fu già grave con l’Italicum. È ancor più grave adesso, con una riforma della Costituzione di grande momento. E non si può ribadire abbastanza che il senso della Costituzione, ed in specie dell’art. 138, non è certo quello di favorire i trucchetti per stroncare il dibattito, e arrivare in qualunque modo alla decisione.
Dopo tanto esitare, il presidente Grasso è sceso in campo per il governo. Per la verità, qualche sospetto l’avevamo. Ne troviamo ora conferma nelle decisioni sull’ordine delle votazioni e sui subemendamenti.
Qual era il corretto ordine di votazione degli emendamenti? Secondo principio, gli emendamenti si votano a partire dal più lontano fino al più vicino al testo da emendare. In Aula, è stata contestata a Grasso la scelta di mettere in prima fila l’emendamento 1.203, e il presidente in realtà non ha risposto. Ancor più significativa la decisione di precludere ogni subemendamento al Cociancich. Va infatti considerato che gli emendamenti di maggioranza (quelli concordati in casa Pd) sono stati portati a conoscenza dei senatori all’ultimo momento. Molti sono andati in Aula senza nemmeno averli visti. Il presidente ha deciso che i termini per la presentazione di subemendamenti erano già scaduti. Forse vero, ma le condizioni reali del dibattito avrebbero certo suggerito, se non imposto, almeno una breve riapertura dei termini. Approvato il Cociancich, Grasso ha anche respinto il tentativo di subemendarlo attraverso l’art. 100, comma 5, reg. sen., norma raramente invocata, che però avrebbe potuto consentire una almeno parziale riapertura del confronto.
Il trucco c’è, e si vede. Con queste decisioni, l’approvazione del nuovo art. 55 della Costituzione si è sostanzialmente risolta nel voto sull’emendamento Cociancich, che ha precluso tutti gli altri, mentre veniva contestualmente impedito ai senatori di opposizione qualsiasi intervento in via di subemendamento. È stata così anche superata una raffica di voti segreti, rischiosi per il governo. All’accusa di avere consentito l’uso strumentale dell’emendamento 1.203 contro le opposizioni — avanzata da molti nella seduta di giovedì — Grasso ha reagito con stizza, ma senza porre argomenti. E nemmeno ha raccolto le ripetute e insistite richieste di riunire la Giunta per il regolamento. Non a caso. Come sappiamo, i numeri della Giunta non sono blindati per il governo, e il passaggio poteva rivelarsi pericoloso. Analoghe manovre si preannunciano per gli articoli successivi al primo. A quanto leggiamo, per i subemendamenti all’art. 2 il tempo concesso è mezz’ora.
Grasso protagonista, dunque. Avremmo pensato che il primo dovere di un presidente di assemblea fosse nei confronti dell’istituzione presieduta. Dobbiamo ricrederci. Possiamo forse capire l’atteggiamento tenuto verso gli 82 milioni di emendamenti Calderoli, per cui poteva valere l’argomento che non si può mai favorire la paralisi dell’istituzione. Ma questo era ieri. Oggi, vediamo Grasso schierato al fianco del governo. Erano possibili scelte diverse, e letture di regolamento secundum constitutionem, più attente alla necessità che una Costituzione nasca da un confronto reale, e non per il sostegno acritico di maggioranze occasionali e raccogliticce, popolate di anime morte e di voltagabbana.
Quanto accade ci conferma che la fu minoranza Pd ha sbagliato facendosi riassorbire nel gruppone, e sostanzialmente scomparendo nel gorgo della rottamazione costituzionale. Un pezzo del paese non accetta la Costituzione di Renzi, senza se e senza ma perché quella che abbiamo è di gran lunga migliore. Il senatore Cociancich ci comunica in una intervista di preferire la precisione e non la quantità come Calderoli. Rispetto ad entrambi, preferiamo l’intelligenza.
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Una riforma che divide, la Costituzione e la casa di tutti
Una riforma che divide, la Costituzione e la casa di tutti
Ad un passo dall’approvazione della riforma del Senato, si cambia la Costituzione come se servisse per dividere, per far prevalere un’unica ragione
Antifascismo Bicameralismo Costituzione Democrazia Libertà Politica
Siamo ad un tornante decisivo. Se il Senato approverà il disegno di legge costituzionale senza modifiche profonde non rimarrà che aspettare pochi mesi per un’ultima votazione da parte dei due rami del Parlamento e poi si giungerà al referendum, senza possibilità di cambiar più nulla. Siamo, dunque, alla probabile vigilia della più profonda trasformazione della Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Eppure non sembra esservi una diffusa consapevolezza della solennità e gravità del momento. L’intero dibattito politico sembra ben più attento alle procedure parlamentari, agli equilibri tra le diverse anime dei partiti (profonda la divisione all’interno del maggiore partito di governo), alla sfida tra leader, che non al merito della riforma propagandata.
Pur di non discutere si forzano le procedure parlamentari e si forniscono interpretazioni “strette” dei regolamenti delle Camere. La risicata maggioranza filogovernativa si chiude a riccio di fronte alle legittime divisioni politiche, ai contrasti di opinione, alle proposte alternative delle opposizioni (ma anche dinanzi alle preoccupazioni che provengono dall’interno stesso della fragile maggioranza): anziché discuterle nel merito nelle sedi proprie (in Parlamento) ci si limita ad irriderle nelle sedi improprie (interviste, direzioni di partito, dialoghi diretti con l’opinione pubblica). La diffusa mancanza di consenso non ferma la corsa intrapresa, semmai impone la ricerca di strade traverse per ottenere comunque “i numeri necessari”: quasi che la riforma della Costituzione fosse una mera questione contabile. Non ci si avvede che una Costituzione approvata a stretta maggioranza sarebbe una Costituzione dimidiata, non potendo più rappresentare la “casa di tutti”, ma finendo per essere percepita come imposta dal Governo in carica a tutti i cittadini. Verrebbe meno così uno dei caratteri più profondi della nostra Costituzione repubblicana, formata per unire tutte le diverse anime che avevano combattuto il regime autoritario fascista. Ora, non più: la Costituzione serve per dividere, per far prevalere un’unica ragione, magari uno specifico indirizzo politico contro i suoi “nemici”. Lo scontro in atto – più sul Governo che sul merito della riforma – ne rappresenta plastica dimostrazione.
In questa prospettiva ha assunto un valore simbolico un solo punto, importante ma non decisivo: le modalità di elezione dei senatori. Quel che sembra però in tal modo sottovalutarsi è che la composizione degli organi costituzionali (del Senato, nel nostro caso) è una conseguenza delle funzioni che essi esercitano. Non avrebbe senso, ad esempio, far eleggere direttamente dal corpo elettorale un ramo del Parlamento privo di ogni potere, puro simulacro di una Camera “rappresentativa”. Ed è proprio questo il rischio maggiore che si corre. La scarsità di funzioni proprie, la minorità rispetto all’altro ramo del Parlamento, la confusione nelle competenze attribuite, il dominio che su di esso eserciterebbe l’esecutivo, secondo quanto previsto dal disegno di legge in discussione, rendono assai debole l’organo Senato.
C’è molta confusione del dibattito politico, che sembra più propenso alla propaganda che non alla riflessione. Eppure cambiare una costituzione presupporrebbe grande attenzione e competenza. Così non è. Basta richiamare la cronaca. Si è partiti da una considerazione che può essere condivisa, accettata da tutti i soggetti politici: si è proposto di differenziare le funzioni esercitate dai due rami del Parlamento, il nostro bicameralismo perfetto ha fatto il suo tempo ed è ora di differenziare il lavoro delle due Camere. Un accordo generalizzato s’è anche trovato con riferimento ai compiti esclusivi della Camera dei Deputati: solo ad essa va attribuito il potere di conferire la fiducia al Governo. E l’altro ramo del Parlamento? Qui la confusione ha regnato sovrana, sin da principio. In una prima fase, nell’originario disegno di legge del Governo, s’era pensato di farle esprimere solo dei pareri sulle leggi approvate dalla Camera (ma, incoerentemente, s’era lasciato anche al Senato il delicatissimo compito di revisione della costituzione), poi si sono assegnati una serie disorganica di competenze legislative, moltiplicando irragionevolmente la tipologia delle leggi, complicando (anziché semplificare!) i rapporti con l’altro ramo del Parlamento, infine – nell’ultimo esame svolto dalla Camera – si sono ridotti ulteriormente i poteri e confuse le funzioni del Senato.
Nel dibattito pubblico, ma anche nei testi in discussione, si sostiene che al Senato spetterebbe il compito di rappresentare le istituzioni territoriali. A tutto concedere, dovrebbe però aggiungersi che sarebbe questa una rappresentanza assai fragile, vista la riduzione dei poteri e dell’autonomia che questa revisione costituzionale impone. Un netto passo indietro rispetto alla pur insoddisfacente riforme del titolo V effettuata nel 2001.
In sostanza tutto concorre non tanto a semplificare il sistema istituzionale quanto a renderlo incoerente, con il rischio di passare da un bicameralismo perfetto ad un bicameralismo confuso. Non sarebbe certo un buon risultato.
È per questo che una classe dirigente consapevole dovrebbe avere il coraggio di tornare a riflettere, ritrovare le fila perdute di un percorso coerente di riforma, prima di gettare a mare una costituzione che può essere riformata, ma non stravolta.
Gaetano Azzariti, professore di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma
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ANPI news 174 Colpi di scena sulla riforma del Senato
Palermo via Cavour davanti la Prefettura ore 16,30
Roma, 23 settembre 2015 ‒ Piazza delle Cinque Lune ‒ ore 15/20
e davanti a tutte le Prefetture d’Italia
Perché siamo e saremo in piazza
CONTRO LO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
nata dalla Resistenza?
Perché la (contro)riforma in discussione:
– aggrava la ferita già arrecata alle strutture portanti del sistema democratico dall’Italicum, legge elettorale truffaldina con cui si determina una sinergia perversa e inevitabile;
– indebolisce irrimediabilmente l’istituzione parlamento, che con il senato non elettivo vede ribadito il diniego ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti già derivante dall’Italicum con il voto bloccato sui capilista. L’esito ultimo è che solo una esigua minoranza di parlamentari sarà scelta dagli elettori con il proprio voto; mentre al superamento del bicameralismo paritario si potrebbe ugualmente giungere, mantenendo l’elezione diretta dei senatori;
– asservisce il parlamento al governo sia attraverso la previsione di una maggioranza blindata da un premio sostanzialmente senza soglia per la previsione del ballottaggio, sia con l’attribuzione all’esecutivo di poteri sull’agenda dei lavori parlamentari;
– vanifica sostanzialmente il sistema di checks and balances (controlli e bilanciamenti), dando al partito vincente con il premio di maggioranza un peso decisivo nella scelta di giudici costituzionali, componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, e persino del Capo dello Stato;
– indebolisce la stessa rigidità della Costituzione, principale garanzia di diritti e libertà, esposta a modifiche potenzialmente volute da un partito minoritario gonfiato nei numeri parlamentari fino a superare la maggioranza assoluta dei componenti in base alla legge elettorale;
– rende più difficile il ricorso a strumenti di democrazia diretta, e in particolare del referendum abrogativo con l’innalzamento delle firme richieste per la proposizione dei quesiti;
– opera uno stravolgimento di capisaldi della Costituzione in base al voto di un parlamento colpito nei suoi fondamenti per la incostituzionalità della legge elettorale. È in particolare grave che i numeri parlamentari necessari per la riforma siano dati proprio dal premio di maggioranza dichiarato costituzionalmente illegittimo;
– indebolisce le assemblee rappresentative e la partecipazione democratica, aprendo la via a politiche conservatrici quando non reazionarie. Ne sono già ora esempio le scelte sulla scuola, sul Jobs Act, sui controlli nei luoghi di lavoro, sulle pensioni, sui bavagli alla stampa, sul fisco (IMU e TASI). Anche se questa (contro)riforma sembra riguardare solo la parte organizzativa della Costituzione, si pongono in realtà a rischio i diritti fondamentali che richiedono un’attuazione legislativa (lavoro, istruzione, sanità, previdenza). È dunque indispensabile utilizzare, con una lettura ampia e non notarile di norme regolamentari e prassi, ogni possibile occasione per un’ampia e sostanziale modifica della proposta in discussione.
Salvaguardare la democrazia oggi, è garantire la propria libera voce domani.
Diciamo NO allo scempio della Costituzione
attuato attraverso una riforma che sottrae poteri ai cittadini e mortifica il Parlamento!!!
Mobilitiamoci per far sentire la nostra voce in tutte le sedi e fermare questo progetto politico che vuole riportare indietro le lancette della storia, azzerando il lascito della Resistenza.
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Gli uomini e le donne i bambini morti in mare non sono numeri, ma VITE UMANE!
“Palermo senza frontiere”: Gli uomini e le donne, i bambini morti in mare non sono numeri, ma VITE UMANE!
Un manifesto e un’iniziativa del Forum Antirazzista di Palermo che possa riunire tutte le istanze e le voci di singoli, associazioni, movimenti, centri sociali, chiunque senta il bisogno di essere presente nel chiedere verità e giustizia per tutte le vittime dello spaventoso genocidio in atto da decenni alle frontiere di un’Europa sempre meno unita e sempre più Fortezza.
Il Forum Antirazzista di Palermo sarà presente domani alle 19 a piazza Massimo con le stesse modalità attuate a Milano, per una veglia non urlata, con le immagini di alcuni desaparecidos, i volti di migranti mai restituiti dal mare, immagini di cui i genitori hanno concesso l’uso.
Come le madri di Plaza de Mayo dal 1977, anche a Milano da giugno, e a Palermo da domani, ogni giovedì gireremo in cerchio portando le immagini di quei volti.
Al centro della piazza stenderemo la lista delle oltre 23000 vittime accertate (si valuta circa un terzo di quelle reali) alle frontiere.
Vi aspettiamo, come successivo (ma certamente non unico) passo per dar seguito alla marcia delle donne e degli uomini scalzi del 10 settembre.
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Contrassegnato ANPI Palermo, Pasqua De Candia
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NO TRIV – Salvaguardia della salute dei cittadini e la tutela mari .
Resistere… Resistere… Resistere…
Antonella Leto
COMUNICATO STAMPA
CROCETTA SI SCHIERI PER LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE E CONTRO TRIVELLAZIONI ED INCENERITORI
Palermo 9 settembre. Il Forum Siciliano dei Movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni ha scritto al presidente Crocetta per sollecitare una sua forte presa di posizione in conferenza stato-regioni contro i decreti attuativi dello Sblocca-Italia del governo Renzi, ed in particolare contro l’art.35 sulla gestione dei rifiuti, e chiede che la Regione Siciliana deliberi per il referendum abrogativo dell’art. 35 del decreto sviluppo del governo Monti, per bloccare i processi autorizzativi sulle trivellazioni a mare per la ricerca di idrocarburi e gas.
Le due iniziative promosse rispettivamente da Zero-Waste Sicilia e dal Coordinamento Nazionale No-Triv, già componenti del nostro Forum regionale, sono supportate da un’ampia documentazione che abbiamo nuovamente trasmesso al Presidente, nella quale si evidenziano le ragioni etiche, tecniche e scientifiche che dovrebbero indurre Crocetta a farsi interprete dell’interesse collettivo del nostro territorio, concorrendo a determinare una opposizione convinta ai decreti attuativi, ed a promuovere insieme ad almeno altre quattro regioni entro il 30 settembre il referendum abrogativo.
Riteniamo indispensabile che la nostra regione si doti di una politica energetica rivolta all’uscita dal fossile ed orientata alle energie rinnovabili ed al recupero di materia anziché all’incenerimento, anche in considerazione dei mutamenti climatici in atto ai quali la conferenza sul clima di Parigi di dicembre 2015 dovrà dare risposta.
Crediamo che gli obiettivi di salvaguardia della salute dei cittadini e la tutela dei nostri mari debbano indurre a promuovere politiche di salvaguardia e sostenibilità ambientale; che con la conversione ecologica, che promuoviamo, si possa contribuire ad aumentare i livelli occupazionali nei settori del turismo e dell’impiantistica necessaria alla conversione energetica, dando ossigeno all’economia siciliana anziché favorire gli interessi di gruppi finanziari che poco o nulla lasciano sul territorio.
Auspichiamo pertanto, insieme a moltissime altre associazioni e personalità della cultura a livello nazionale, che il nostro appello possa essere accolto e che la Sicilia imbocchi un percorso virtuoso che faccia gli interessi della collettività.
Aderiamo a tutte le manifestazioni di ordine regionale e nazionale che sostengono questi obiettivi comuni.
Forum Siciliano dei Movimenti per l’Acqua ed i Beni Comuni.
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Contrassegnato Antonella Leto
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