70 anni dell’Anpi, il senso di una storia

70 anni dell’Anpi, il senso di una storia

—  Enzo Collotti, “Il Manifesto”

Anniversario . L’associazione partigiani assolve a una duplice missione: tiene viva la memoria e assicura la partecipazione alla vita democratica facendosi tutrice dei valori che dalla lotta di liberazione si sono tramandati nelle istituzioni e nella societàsettant’anni dell’Anpi sol­le­ci­tano qual­che rifles­sione sulla fun­zione che que­sto orga­ni­smo ha assolto e ancora assolve nell’ambito dell’associazionismo com­bat­ten­ti­stico. Rispetto a que­sto tipo di asso­cia­zio­ni­smo, che anno­vera soprat­tutto asso­cia­zioni d’arma, l’Anpi si è sem­pre distinta per la sua voca­zione non redu­ci­stica, non cor­po­ra­zione d’arma sul filo di una tra­di­zione matu­rata nella soli­da­rietà della trin­cea o dell’inquadramento in for­ma­zioni rego­lari, ma pro­lun­ga­mento di una espe­rienza tipica di un eser­cito di irregolari.

In sostanza, l’Anpi non poteva non rispec­chiare le carat­te­ri­sti­che del par­ti­gia­nato fatto di militari-militanti, non chia­mati alle armi per classi di leva, ma di volon­tari mossi da impulsi patriot­tici o poli­tici o anche solo da istinto di difesa e di con­ser­va­zione, tutti alla fine coin­volti in un pro­cesso col­let­tivo di politicizzazione.

Muo­vendo da que­ste pre­messe, la spinta dei par­ti­giani all’associazionismo non poteva pro­ve­nire che dall’aspirazione a pre­ser­vare il patri­mo­nio di idee e di espe­rienze che era stato alla base della scelta di ope­rare nella Resi­stenza. Con que­sto spi­rito, che per decenni è stato incar­nato dal suo primo pre­si­dente, Arrigo Bol­drini, il leg­gen­da­rio Bulow, l’Anpi ha inse­rito il suo ori­gi­nale con­tri­buto tra le forze politico-culturali che hanno ali­men­tato la rico­stru­zione demo­cra­tica del nostro paese dopo il fasci­smo. Se in qual­che momento si può essere gene­rata l’impressione che nell’Anpi si espri­mes­sero posi­zioni di chiu­sura verso una sem­pre più aperta e cri­tica con­si­de­ra­zione dell’esperienza stessa della Resi­stenza, all’Anpi va rico­no­sciuta la fun­zione fon­da­men­tale che essa ha svolto nel custo­dire la memo­ria della Resistenza.

Diremmo che essa ha assolto e assolve una duplice mis­sione: da una parte tenere viva e tra­man­dare la memo­ria; dall’altra assi­cu­rare con la sua pre­senza nella società civile la par­te­ci­pa­zione alla vita demo­cra­tica facen­dosi tutrice dei valori che dalla lotta di libe­ra­zione si sono tra­man­dati nelle isti­tu­zioni e nella società, con par­ti­co­lare rife­ri­mento alla valo­riz­za­zione della Costituzione.

Rispetto ad entrambi que­sti com­piti la soglia dei settant’anni impone cer­ta­mente se non un momento di ripen­sa­mento un pro­cesso di rin­no­va­mento. L’elemento più deci­sivo di que­sto pro­cesso deriva dal ricam­bio gene­ra­zio­nale sot­to­li­neato dal fatto che già da molti anni l’Anpi si è aperta all’associazione di nuovi affi­liati che non pro­ven­gono più dalle gene­ra­zioni che hanno vis­suto la Resi­stenza in per­sona prima. Come nel caso di altre asso­cia­zioni ana­lo­ghe, penso all’Aned degli ex depor­tati, anch’esse depo­si­ta­rie di archivi e memo­rie di inso­sti­tui­bile valore, in que­sta seconda fase della sua vita anche l’Anpi si pro­pone nel plu­ra­li­smo della società, senza pre­ten­dere di avere il mono­po­lio della memo­ria della Resi­stenza, come un indi­spen­sa­bile punto di rife­ri­mento, riserva di ener­gie e di idee, desti­nato ad accom­pa­gnare la cre­scita di una demo­cra­zia che deve trarre giorno per giorno con­ferma della sua vita­lità dalla con­sa­pe­vo­lezza delle pro­prie origini.

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LIVIO PEPINO CONTRO LA MANOMISSIONE DELLA COSTITUZIONE

Dal 2006 al 2010 è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. In passato ha ricoperto i ruoli di consigliere di Cassazione.

La parentesi della Costituzione

Pubblicato il 5 ago 2014

Livio Pepino – da il manifesto

C’è un fatto, accaduto in questi giorni e apparentemente secondario, che mette a nudo

l’anomalia della situazione politica e istituzionale del paese e delle iniziative che la

accompagnano, a partire dalla «riforma» costituzionale e da quella della legge elettorale.

È la mancata elezione, da parte del parlamento in seduta comune, dei componenti di sua

spettanza del Consiglio superiore della magistratura, con la conseguente proroga senza

limiti predeterminati del Consiglio scaduto (della cui integrazione si riparlerà, forse, a

settembre).

Sarebbe come dire — per capirci — che un organo elettivo (per esempio il parlamento)

resta in carica, ancorché scaduto, perché non sono state indette nuove elezioni: lo dico

sommessamente, sperando che l’affermazione venga considerata un paradosso e non un’idea

utile per il futuro… È la prima volta che ciò accade nella nostra storia costituzionale (salvo

un remoto e diverso precedente) e — si noti — l’elezione non è stata neppure tentata.

La parentesi di rappresentatività di un organo di rilevanza costituzionale non è cosa da

poco e, infatti, c’è chi ne ha subito — e strumentalmente — tratto argomenti a conferma

della necessità di cambiare le regole. È vero esattamente il contrario! In tutte le precedenti

consiliature, anche nei momenti di più aspra conflittualità politica, l’elezione dei

componenti di spettanza del parlamento è avvenuta nei termini (e spesso con l’indicazione

di giuristi di prim’ordine). È, dunque, evidente che il difetto non sta nelle regole (rimaste

inalterate) ma nelle forze politiche e, in particolare, nella maggioranza parlamentare,

all’apparenza incapace e disinteressata a promuovere confronto e convergenze. Ma è solo

un’apparenza, ché non si tratta di inadeguatezza ma dell’ennesima dimostrazione della

cultura che permea la maggioranza politica (quella palese e quella allargata di supporto):

una cultura che rifiuta il confronto e la ricerca di soluzioni condivise e conosce solo le

ragioni della forza e dei numeri, anche a costo di sfasciare il sistema. Non è cosa nuova,

neppure nella storia repubblicana. Ma conviene segnalarne gli ascendenti.

All’inizio dell’epoca berlusconiana lo teorizzò in maniera brutale il costituzionalista di

riferimento della destra, Gianfranco Miglio, che, in un’intervista del marzo 1994 affermò

testualmente: «È sbagliato dire che una Costituzione deve essere voluta da tutto il popolo.

Una Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Qual è il mio sogno?

Lega e Forza Italia raggiungono la metà più uno. Metà degli italiani fanno la Costituzione

anche per l’altra metà. Poi si tratta di mantenere l’ordine nelle piazze». Non c’è riuscito

Berlusconi; oggi ci prova Renzi, per di più senza il consenso della metà più uno degli

italiani, ma solo — come ama ripetere — di 11 milioni di votanti, dimenticando quei 38

milioni di cittadini che nessuna delega o sostegno gli hanno dato.

Qualcuno — tra gli altri i migliori costituzionalisti italiani — ha provato a segnalare

l’anomalia di questa doppia «riforma» (costituzionale ed elettorale), dei suoi contenuti

e delle sue modalità. Subito è arrivata la severa e sprezzante risposta del presidente del

 

Consiglio e della ministra delle riforme che, con un’eleganza degna di miglior causa, hanno

ironizzato sull’età e sulle competenze dei soliti «professoroni». Anche qui, non è inutile

ricordare i precedenti: questa volta si tratta di Mario Scelba — esperto sia di istituzioni che

di ordine nelle piazze… — il quale, nel giugno 1949, si scagliò contro il «culturame» degli

intellettuali di cui la politica dovrebbe liberarsi. Allora non mancarono le prese di distanza

e le reazioni politiche. Oggi tutto tace. E, se non sorprendono le parole di Renzi (la cui

considerazione per la cultura è dimostrata dalla concessione degli Uffizi come trampolino

per sfilate di moda), spicca il silenzio miope e complice dei (pochi) residui intellettuali del

suo partito.

C’è di che preoccuparsi, e non poco. Ma, mentre tutto questo accade, il presidente del

Senato gigioneggia sul termine «canguri» e il capo dello Stato, in serena vacanza in

Trentino, si scandalizza che taluno evochi derive autoritarie (sic!). Un tempo, per molto

meno (la cosiddetta legge truffa), si dimisero ben due presidenti del senato mentre

l’onorevole Togliatti, nella seduta della camera dell’8 dicembre 1952, citava nientemeno

che parole di Camillo Cavour: «Io lo dichiaro altamente. Amico della realtà, nemico delle

illusioni, amerei meglio vedere la libertà soppressa che vederla falsata e vedere ingannato

il paese e l’Europa». Certo erano altri tempi ma, anziché esorcizzarli, sarebbe meglio

cercare di ripristinarli. Anche a costo di turbare la tranquilla vacanza del presidente della

Repubblica.

 

 

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Costituzione manomessa. Un delitto, tanti autori

09/08/2014

 Gaetano Azzariti è Professore ordinario di “Diritto Costituzionale presso l’Università degli studi “La Sapienza” di Roma.

Il Manifesto | Autore: Gaetano Azzariti

 

Costituzione manomessa. Un delitto, tanti autori

 

Il maggior responsabile è il Governo che ha diretto l’intera operazione senza lasciare nessuno spazio all’autonomia del Parlamento con progressive imposizioni e l’ininterrotta invasività della sua azione che hanno annullato di fatto il ruolo costituzionale del Senato

Un’infinita tri­stezza. È que­sto il sen­ti­mento che pre­vale nel momento in cui si assi­ste alla vota­zione del Senato sulla modi­fica della Costi­tu­zione. Domani ripren­de­remo la lotta per evi­tare il peg­gio: per­ché la legge costi­tu­zio­nale con­cluda il suo iter dovranno pas­sare ancora molti mesi e altri pas­saggi par­la­men­tari ci aspet­tano, poi — nel caso — il refe­ren­dum oppo­si­tivo. Dun­que, nulla è ancora per­duto. Salvo, forse, l’onore.

In pochi giorni il Senato non ha appro­vato una riforma costi­tu­zio­nale (buona o cat­tiva che si possa rite­nere), bensì ha distrutto il Par­la­mento sotto gli occhi degli ita­liani. Nes­suno dei pro­ta­go­ni­sti è stato esente da colpe. Si è assi­stito a una sorta di omi­ci­dio seriale, cia­scuno ha inferto la sua pugna­lata. Alcuni con mag­gior vigore, altri con imper­do­na­bile incon­sa­pe­vo­lezza, altri ancora non tro­vando altre vie d’uscita.

Il mag­gior respon­sa­bile è cer­ta­mente stato il Governo che ha diretto l’intera ope­ra­zione, senza lasciare nes­suno spa­zio all’autonomia del Par­la­mento. Le pro­gres­sive impo­si­zioni e l’ininterrotta inva­si­vità dell’azione del Governo in ogni pas­sag­gio par­la­men­tare hanno annul­lato di fatto il ruolo costi­tu­zio­nale del Senato. Non s’è trat­tato solo dell’anomalia della pre­sen­ta­zione di un dise­gno di legge gover­na­tivo in una mate­ria tra­di­zio­nal­mente non di sua competenza.

Ma anche nell’aver costretto la Com­mis­sione — in modo poco tra­spa­rente — a porre que­sto come testo base nono­stante la discus­sione avesse fatto emer­gere altre mag­gio­ranze. E poi, ancora, nell’aver voluto con­trol­lare tutto il lavoro dei rela­tori — è la pre­si­dente della Com­mis­sione che ha rico­no­sciuto che il Governo ha “vistato” gli emen­da­menti pre­sen­tati appunto dai rela­tori — con buona pace dell’autonomia del man­dato par­la­men­tare e del rispetto della divi­sione dei poteri.

Non solo i rela­tori, ma ogni sena­tore ha dovuto con­fron­tarsi non tanto con l’Assemblea bensì con la volontà gover­na­tiva, e molti si sono pie­gati. Mi dispiace doverlo dire, ma l’andamento dei lavori ha dimo­strato come un certo numero degli attuali sena­tori non ten­gano in nes­sun conto non solo la Costi­tu­zione, ma nep­pure la respon­sa­bi­lità poli­tica, di cui cia­scuno di loro dovrebbe essere tito­lare dinanzi al corpo elet­to­rale. I pochis­simi voti segreti con­cessi su que­stioni del tutto mar­gi­nali hanno for­nito la prova di quanto fos­sero con­di­zio­nati e insin­ceri i voti palesi. È stato così pos­si­bile evi­den­ziare l’esteso numero dei rap­pre­sen­tanti della nazione che hanno votato con la mag­gio­ranza solo per timore di essere messi all’indice dagli stati mag­giori dei rispet­tivi par­titi. Una lace­ra­zione costi­tu­zio­nal­mente insop­por­ta­bile. Se non si garan­ti­sce (o non si eser­cita) la libertà di coscienza sui temi costi­tu­zio­nali il prin­ci­pio del libero man­dato serve vera­mente a poco. E tutto è stato fatto, invece, per vin­co­lare i rap­pre­sen­tanti alla disci­plina di par­tito. Ancora un colpo all’autonomia del Par­la­mento inferto — più che dal Governo o dai par­titi — da que­gli stessi sena­tori che non si sono voluti opporre pale­se­mente a ciò che pure non condividevano.

S’è discusso e pole­miz­zato sulla con­du­zione dei lavori, sull’interpretazione dei rego­la­menti e dei pre­ce­denti. Quel che lascia basiti è però altro. Ciò che è man­cato è la con­sa­pe­vo­lezza che si stesse discu­tendo di una riforma pro­fonda del nostro assetto dei poteri e degli equi­li­bri com­ples­sivi defi­niti dalla Costi­tu­zione. Se si fosse par­titi da que­sto assunto non si sarebbe potuto accet­tare, in nes­sun caso, un anda­mento che ha sostan­zial­mente impe­dito ogni seria discus­sione su tutti i punti della revi­sione pro­po­sta. Non si sarebbe dovuto assi­stere allo spet­ta­colo sur­reale che ha visto prima esau­rire nella rissa e nel caos il tempo della discus­sione, per poi pro­ce­dere a un’interminabile serie di vota­zioni, con un’Assemblea muta e irri­fles­siva che mec­ca­ni­ca­mente respin­geva ogni emen­da­mento dei sena­tori di oppo­si­zione e appro­vava la riforma defi­nita dagli accordi con il Governo. Spetta al pre­si­dente di assem­blea diri­gere i lavori garan­tendo la discus­sione. Non credo possa affer­marsi che ciò sia avve­nuto. Anche in que­sto caso per il con­corso di molti. Per­sino dell’opposizione, la quale ha dovuto uti­liz­zare l’arma estrema dell’ostruzionismo che, evi­den­te­mente, osta­cola una discus­sione razio­nale e pacata. Ciò non toglie che non si doveva accet­tare nes­suna for­za­tura sui tempi, nes­suna inter­pre­ta­zione rego­la­men­tare restrit­tiva dei diritti delle oppo­si­zioni, nes­suna uti­liz­za­zione esten­siva dei pre­ce­denti. Si doveva invece ricer­care il dia­logo, la tra­spa­renza, il con­corso di tutti i rap­pre­sen­tanti della nazione. Era com­pito di tutti creare un clima “costi­tu­zio­nale”, ido­neo alla riforma. Nes­suno lo ha ricer­cato. E temo non sia solo una que­stione di tem­pe­ra­tura, ma — ahimè — di cul­tura costi­tu­zio­nale che non c’è.

La con­clu­sione di ieri ha san­cito la dis­sol­venza del Par­la­mento. La dele­git­ti­ma­zione dell’organo tito­lare del potere di revi­sione della Costi­tu­zione è alla fine stata san­zio­nata dagli stessi suoi com­po­nenti. Il rifiuto di par­te­ci­pare al voto con­clu­sivo da parte di tutti gli oppo­si­tori rende palese che non si può pro­se­guire su que­sta strada. Vedo esul­tare la mag­gio­ranza acce­cata dal suc­cesso di un giorno, mi aspetto qual­che rozza bat­tuta rivolta alla oppo­si­zione “che fugge”. Ma spero che, oltre la cor­tina dell’irrisione, qual­cuno si fermi per pen­sare a come rime­diare. La Costi­tu­zione non può essere impo­sta da una mag­gio­ranza poli­tica senza una discus­sione e con­tro l’autonomia del Parlamento.

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(S)TRIP TO GAZA

 

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Gaza. Ma c’è speranza per il popolo palestinese?

Gaza. Ma c’è speranza per il popolo palestinese?

Pubblicato il 6 agosto 2014 di

Domenico Stimolo

Roma per la Palestina

Roma per la Palestina

L’unica cosa certa è che nella Striscia di Gaza stanno attuando un assassinio di massa. Non è una guerra, come tradizionalmente e sventuratamente conosciuta. E’, questa, del tutto unilaterale; negli effetti materiali ed umani. Il resto è solo propaganda, costruita a tavolino da sapienti mani che inondano le strutture informative internazionali.

Nell’impianto più “consolidato” e nel dualismo più semplice del post ultima guerra mondiale, una guerra si svolge tra due stati strutturalmente costituiti che confliggono tra loro e tra due popoli chiamati alle armi “per difendere la patria”. Storia a parte fanno le “guerre umanitarie” che recentemente hanno visto coalizioni di stati, essenzialmente ex-coloniali, che sullo strapotere dello loro armate dicono di “esportare la democrazia”, lasciando poi gli stati aggrediti nello sfascio e nella contrapposizione interna più assoluta.

“Di norma” una guerra inizia e poi finisce. Per sconfitta di uno dei contendenti, o per la pace definita. Nello scenario planetario questa dinamica – con le sue varianti – si è ripetuta in tante occasioni, anche in caso di dittature militari e di guerriglia interna.

Un conflitto chiamato guerra, specie nella nostra era moderna, per svolgersi, ha “bisogno” di eserciti più o meno potentemente armati che si muovono in “cielo, terra e mare”, di: infrastrutture, tecnologie evolute, gerarchie codificate, alleanze, flussi di armamenti e quant’altro correlato, essenziali per spargere morte, mutilazioni e distruzioni a livello di massa, in maniera generalizzata. Continua a leggere

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Castronovo nel 70° anniversario della strage di Cefalonia celebra il ritorno del partigiano Peppino Benincasa

Una delegazione di ‘nuovi partigiani’ dell’ANPI Palermo sarà presente alla serata in onore di Peppino Benincasa  nel ricordo dei caduti di Cefalonia, terribile strage nazifascista, uno dei primi atti della Resistenza europea.

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Mascalucia ricorda l’insurrezione del 3 agosto 1943

Da ”La Voce dell’Jonio”

Mascalucia ricorda l’insurrezione del 3 agosto 1943: un comitato
cittadino ne chiede il riconoscimento ufficiale.
Tratto dal periodico ”La Voce dell’Jonio”
Cronaca degli eventi (1943)


La Resistenza è iniziata in Sicilia? Questa interessante domanda da tempo avvince
gli storici, non solo locali, che si occupano delle vicende belliche della seconda
guerra mondiale. Ciò sin da quando, in tempi più recenti, si è iniziato a fare luce su
un episodio di vera e propria insurrezione, avvenuto a Mascalucia, il 3 agosto 1943;
quindi ben prima della data che nei libri di storia viene ufficialmente indicata come
l’inizio della Resistenza in Italia, vale a dire le “quattro giornate” di Napoli (27-30
settembre 1943). Quando ancora non era stato firmato nè reso noto l’armistizio di
Cassibile (8 settembre 1943), la popolazione del paese etneo, armi in pugno, si
ribellò contro gli atti criminali commessi su inermi civili dai soldati tedeschi in
ritirata.
Intervento dell’avv. Domenico Scalia (ex sindaco di Mascalucia)
Per ricordare fatti e protagonisti di quell’evento storico, il 25 luglio (anniversario
della caduta del fascismo) a Mascalucia è stato convocato un consiglio comunale
straordinario presso l’auditorium di via Etnea. L’intento è stato quello di
sensibilizzare l’amministrazione mascaluciese e la cittadinanza tutta su una
importante iniziativa, partita alcuni anni fa e finalizzata ad ottenere un
riconoscimento ufficiale del contributo dato dai mascaluciesi alla lotta di liberazione
dell’Italia dal nazi-fascismo; riconoscimento già ottenuto da Randazzo e Castiglione,
città martiri del nazi-fascismo, insignite dal presidente della Repubblica Ciampi
delle medaglie al merito civile “per atti di abnegazione durante il secondo conflitto
mondiale”. Continua a leggere

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Estate 1943: Una lunga scia di sangue nell’area etnea. Le stragi naziste.

Estate 1943: Una lunga scia di sangue nell’area etnea. Le stragi naziste.

articolo di Domenico Stimolo

Nel corso di due mesi, in quella fatidica estate del 1943, si consumarono tre fondamentali eventi per la costruzione del percorso che portò alla  realizzazione della nuova Italia, repubblicana, libera dai nazi-fascisti e democratica: 10 luglio, lo sbarco degli Alleati in Sicilia; 25 luglio, la caduta e dissoluzione  della dittatura fascista con l’arresto di Mussolini,  che  concludeva l’infame e violento periodo del “ventennio” – iniziato con la “marcia su Roma” nell’ottobre del 1922 -; violentemente represse e distrutte tutte le strutture istituzionali dello stato liberale, dell’opposizione sociale- politica, le articolate manifestazioni di espressione della libertà di pensiero e d’azione; poi, all’ 8 settembre, con l’armistizio a Cassibile ( Sr), tra l’Italia e i paesi Alleati, si concluse l’ ”impresa” fascista che aveva portato il nostro Paese, assieme all’alleato tedesco- nazista, in onore della “razza eletta”, a scatenare la guerra di aggressione ed invasione contro tutti i popoli europei – iniziata con l’invasione tedesca della Polonia il 1° settembre 1940 -, costata oltre 55 milioni di morti, senza considerare le carneficine che si consumarono sul fronte orientale, quello asiatico, accese dal sistema dittatoriale-militare-imperiale del Giappone.

Ricorre, ora, 2013, il 70° Anniversario.

La Memoria, faro fondamentale di oggi e di domani, per la libertà, la solidarietà e lo sviluppo sociale dei popoli, rimane sempre viva, per mai dimenticare.

I 38 giorni della “battaglia di Sicilia”, in gran parte svoltosi nell’area della Sicilia orientale, Continua a leggere

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ORE DRAMMATICHE PER LA PACE E PER LA DEMOCRAZIA

ORE DRAMMATICHE PER LA PACE E PER LA DEMOCRAZIA
Con la popolazione di Gaza e con la Palestina nel Cuore
Palermo Venerdì 25 luglio FIACCOLATA PER GAZA ore 20 Piazza Verdi.
BASTA ai bombardamenti, NO ai bambini morti e all’indifferenza.

GRAVISSIMI DIKTAT PER CANCELLARE L’ANIMA DEMOCRATICA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA

Puntuale come un cronometro, rispunta – di quando in quando – l’idea del presidenzialismo, da affrontare subito dopo la riforma del Senato. Non so più come fare a ripetere che di presidenzialismo, nell’ANPI, ben pochi vogliono sentir parlare. La stragrande maggioranza di noi è fermamente convinta che questa è una Repubblica ancora troppo fragile perché ci si possa permettere il lusso di insistere su istituti, come il “premierato”, il “presidenzialismo”, e così via, che parlano sempre il linguaggio della concentrazione del potere in poche mani (…) SMURAGLIA

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E’ MORTO IL PARTIGIANO PALERMITANO GIROLAMO CONIGLIARO, NOME DI BATTAGLIA “TRAPANI”

 

L’ANPI Palermo tributa onore e gloria a Girolamo Conigliaro partigiano palermitano della 181 brigata Garibaldi, morto oggi a Palermo. Combattè per la libertà contro i  fascisti e i tedeschi in val Varaita in provincia di Cuneo. Nome di battaglia “Trapani”, bellissima, nobile figura che scrisse alcuni anni addietro una commovente pagina a testimonianza degli ideali, dei valori, dell’afflato umano che animarono i giovani che parteciparono alla lotta di Liberazione. Girolamo Conigliaro, nel 2002 ad 82 anni si reca a Piacenza per deporre sulla tomba del suo comandante partigiano Antonio Ferrari nome di battaglia “Otto”, 57 garofani rossi, uno per ogni anno dal 16 aprile 1945 giorno della strage nazifascista alla quale lui sopravvive. Nell’occasione viene accolto dall’ANPI di Piacenza, da diversi partigiani piacentini e diversi compagni della 181 brigata Garibaldi venuti in pulman dal Piemonte.

I funerali saranno celebrati in Palermo nella chiesa di S. Ernesto domani giovedì alle 10,00.

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