La città di Palermo rende onore a Nicolò Azoti

Stamattina in via Girolamo Savonarola si è tenuta una cerimonia di intitolazione di un giardino dedicato a Nicolò Azoti, , il segretario della Camera del lavoro di Baucina e partigiano, ucciso dalla mafia il 21 dicembre 1946.
Tra gli intervenuti il Presidente dell’ Anpi Palermo Ottavio Terranova, il sindaco Leoluca Orlando, la figlia Antonella Azoti, i rappresentanti della Cgil di Palermo con Enzo Campo nuovo segretario della Camera del Lavoro, rappresentnti del Consiglio Comunale di Baucina. Erano presenti assessori ed esponenti di varie associazioni come l’Anpi Palermo ampiamente rappresentata cito il segretario Angelo Ficarra, Franco Carollo, Francesco Ciminato, Carmelo Botta, Franceca Lo Nigro,rappresentanti di Libera, Centro di documentazione Peppino Impastato, Vincenzo Agostino che ancora chiede giustizia per l’assassinio del figlio Nino e della nuora Ida, e Lia Blanda, componente della segreteria Anpi Palermo  aderente a Scorta Civica Palermo cartello di associazioni impegnata nel contrasto alla cultura mafiosa!

Dal Web Lia Blanda

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La figura carismatica e sovversiva di Maria Occhipinti

dal Link di seguito trascritto questi interessanti articoli di Fabio Gaudioso e Domenico Stimolo su Maria Occhipinti

http://www.argocatania.org/2014/09/11/il-secolo-breve-di-maria-occhipinti-un-film-felice/

Lasciamo oggi la parola a Fabio Gaudosio, docente di Storia e Filosofia, per ricordare la figura carismatica e sovversiva di Maria Occhipinti, coraggiosa e convinta pacifista nata nel 1921 e morta nel 1996, che ha attraversato molte delle vicende del Novecento. Luca Scivoletto le ha dedicato un bel docufilm, proiettato di recente al  cinema King, di cui Gaudioso è animatore.

Mercoledì 3 Settembre nella Sala grande della Multisala King Cinestudio di Catania è stato presentato, a cura de “La Città Felice”, il docufilm di Luca Scivoletto “Con quella faccia da straniera: il lungo viaggio di Maria Occhipinti”.

Puntuale l’introduzione di Mirella Clausi, docente presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, sul perchè della scelta di un documentario tra la ricostruzione storica e il profilo biografico come avvio della nuova stagione di attività della associazione femminile.

Ha preso poi la parola la sceneggiatrice del docufilm, Maria Grazia Calabrese, madre del giovane regista modicano e militante storica della sinistra ragusana, che ha tratteggiato con grande e sincero coinvolgimento emotivo la figura, davvero straordinaria, della femminista ante litteram iblea, autrice, tra l’altro, da autodidatta, di uno splendido libro per la Sellerio che ha, liberamente, ispirato il film: “Una donna di Ragusa”.

E’ toccato, poi, Pina La Villa contestualizzare la vicenda di Occhipinti all’interno di quella magmatica e controversa pagina di storia che va dall’Armistizio del Settembre ’43 alla Liberazione dell’Aprile ’45 che ha visto, anche in Sicilia, episodi di grande eroismo mischiati, inevitabilmente, a zone d’ombra e ambiguità.

Infine, è stata la volta dell’autore, il bravo Luca Scivoletto che ha, con quest’importante lavoro, reso omaggio alle sue radici siciliane, per lui da tanti anni, ormai, trapiantato a Roma dove, oltre che come regista, lavora, pure, come PhD presso l’Università La Sapienza.

Il docufilm è, davvero, molto bello: l’ora vola via tra immagini di repertorio in nostalgico e intenso bianco e nero (che

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70° della RESISTENZA: Il contributo siciliano alla LIBERAZIONE. ANPI NICOLOSI

Martedì 2 settembre u.s., la sezione ANPI/IMI di Nicolosi, ha organizzato una serata della memoria, in occasione della ricorrenza del 70° anniversario della morte dei due partigiani nicolositi, ALFIO RAGONESI e FILIPPO MAZZAGLIA a cui fra l’altro è dedicata la sezione, insieme ai due IMI (Internati militari Italiani) SALVATORE SCUDERI e SANTO MAZZAGLIA. E’ stata scelta la data del 2 settembre in quanto proprio in quella data, 70 anni fa nelle campagne di Cerano, lungo il corso del fiume Ticino, che in quel tratto segna il confine tra Lombardia e Piemonte, trovò la morte eroicamente Alfio Ragonesi (classe 1916), morì per rimanere accanto ad un compagno ferito, fu ucciso dalla famigerata brigata fascista “Cristina” di Novara, Ragonesi, militare di leva in Lombardia a Bergamo presso il battaglione “Lupi di Toscana”, dopo l’8 settembre fuggì e fu aiutato da alcune persone nei pressi di Magenta nel milanese che gli diedero degli abiti civili e gli indicarono i riferimenti locali per arruolarsi con i partigiani, difatti si arruolò in una brigata garibaldina ed è sepolto nel cimitero di Magenta (MI) mentre un monumento nella piazza di Cerano (NO) lo ricorda insieme ad altri due ceranesi, chi vi scrive qualche anno fa è stato ospite delle due sezioni ANPI di Cerano e di Magenta, dove ha presentato il libro “Nicolosi e la guerra” dove fra le altre cose vengono raccontate anche le vicende dei due partigiani nicolositi, ed ha scoperto che del Ragonesi, che consideravano e considerano un eroe non sapevano niente delle sue origini addirittura pensavano che fosse sardo ed è stato bello sia per me che per loro sapere che era siciliano ed è stato un momento emozionante, si è ristabilito in un attimo, quello che era stato un motivo fondante della Resistenza del nuovo risorgimento nazionale, che come spesso ricordava Pompeo Colajanni, l’incontro tra il Nord e il Sud.

La sera del 2 abbiamo ricordato anche l’altro partigiano nicolosita, Filippo Mazzaglia, nome di battaglia “Maresciallo Franco”, sergente maggiore dei bersaglieri a Siena si era fatto tutta la campagna di Grecia e poi trasferito a Pinerolo, nel settembre del 43 si unì alle formazioni partigiane autonome in Val Sangone nella provincia di Torino e fu fucilato il 16 maggio 1944 dai nazifascisti davanti il municipio di Forno di Coazze nel corso del grande rastrellamento tedesco della Val Sangone del maggio 1944 ed è sepolto insieme ad 97 partigiani nell’Ossuario di Coazze e chi vi scrive il 23 aprile 2009 come rappresentante dell’Amministrazione comunale di Nicolosi con la presenza del Presidente Napolitano ha assistito, insieme al nipote Salvo Mazzaglia, oggi vice-presidente della sezione ANPI/IMI di Nicolosi alle celebrazioni del 65° anniversario della festa della liberazione a Coazze, un altro momento molto emozionante di incontro tra nord e sud.

Insieme al Sindaco di Nicolosi Nino Borzì, all’assessore alla cultura Stefania Laudani e alla Presidente dell’ANPI provinciale di Catania, Santina Sconza, sono stati ricordati gli altri 6 partigiani nicolositi che combatterono tre (Gaetano Carbonaro, Nunzio Longo e Salvatore Laudani) nelle Langhe sempre in Piemonte con il partito d’Azione, uno in Grecia (Alfio Gemmellaro) con i partigiani dell’Ellas, un altro in Jugoslavia (Giuseppe Navarria, carabiniere in Montenegro) e Angelo Folli, finanziere in Montenegro morto a Foca in Bosnia insieme alle formazioni partigiane titine, alle quali si si era unito anche il Navarria. Abbiamo ricordato i 20 nicolositi deportati in Germania dopo l’8 settembre che dissero “NO” alla repubblica sociale di Mussolini e alcuni di loro sono ancora fra di noi e prendendo spunto dal film proiettato quella sera “La memoria degli ultimi” di Samuele Rossi, in raccordo con l’amm.ne comunale si è pensato di intervistarli e conservare così la memoria di eventi fondanti per la nostra democrazia che non attraversa un bel momento. Si è anche accennato al progetto da realizzare con il liceo “Marchesi” Mascalucia dedicato a Carmelo Salanitro e Nunzio Di Francesco che prevede la realizzazioni di interviste e cronache riguardanti il coinvolgimento degli etnei nelle file dei partigiani e i famosi fatti dell’estate del ’43 che si svolsero durante la fuga dei tedeschi e le razzie e soprusi da loro commessi in quei giorni nei confronti delle locali popolazioni, il progetto sarà coordinato dalla professoressa Antonella Sotera di Nicolosi e prevede come premio, se il liceo organizzerà il viaggio d’istruzione, la visita gratuita al campo di concentramento e di sterminio di Mathausen dove il 25 aprile 1945 morì Carmelo Salanitro e dove fu “ospite” Nunzio Di Francesco, il partigiano Athos, recentemente scomparso che a Nicolosi la sua memoria è ancora viva in quanto fu lui ad inaugurare la nostra unica sezione della provincia di Catania. Saluti Giuseppe Mazzaglia

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Striscianti gli attentati alla Costituzione

 

 

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ANPI NEW n.131 settembre2014


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Trattativa Stato-mafia vero buco nero della storia italiana.

Purtroppo dobbiamo registrare che gli avvertimenti, le minaccie, i tentativi di depistaggio  continuano ad arricchire la oscura trama per negare la trattativa Stato-mafia vero buco nero della storia italiana. In tali circostanze noi rispolveriamo la storia, ricordiamo i nostri caduti per la Libertà e per la difesa della Dignità Umana. Da i tanti Ortoleva, Zito, Azoti a  Portella della Ginestra, a Moro, Mattarella, Pio La Torre fino a Falcone e Borsellino.

 L’ANPI Palermo è sempre in prima linea, Scorta Civica ai magistrati  a partire da Antonino Di Matteo e a don Ciotti di Libera ai quali va la nostra totale solidarietà.  

Di seguito il messaggio di solidarietà di Ottavio Terranova a Umberto Di Maggio coordinatore regionale di LIBERA

Carissimo Umberto, ti prego di trasmettere al nostro Don Ciotti, la solidarietà dell’ANPI di Palermo e di quella Siciliana per le gravissime minacce della mafia, contro la sua persona e il suo civile impegno per la legalità la crescita civile della nostra società con i giovani protagonisti del loro futuro.

 Sono certo che le minacce mafiose abbiano anche come obiettivo quello di scoraggiare quanti impegnati, come te con Libera, contribuiscono concretamente a fare crescere su tutto in territorio nazionale tutti questi valori,

 

                                                 Ti abbraccio. Ottavio Terranova


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70 anni dell’Anpi, il senso di una storia

70 anni dell’Anpi, il senso di una storia

—  Enzo Collotti, “Il Manifesto”

Anniversario . L’associazione partigiani assolve a una duplice missione: tiene viva la memoria e assicura la partecipazione alla vita democratica facendosi tutrice dei valori che dalla lotta di liberazione si sono tramandati nelle istituzioni e nella societàsettant’anni dell’Anpi sol­le­ci­tano qual­che rifles­sione sulla fun­zione che que­sto orga­ni­smo ha assolto e ancora assolve nell’ambito dell’associazionismo com­bat­ten­ti­stico. Rispetto a que­sto tipo di asso­cia­zio­ni­smo, che anno­vera soprat­tutto asso­cia­zioni d’arma, l’Anpi si è sem­pre distinta per la sua voca­zione non redu­ci­stica, non cor­po­ra­zione d’arma sul filo di una tra­di­zione matu­rata nella soli­da­rietà della trin­cea o dell’inquadramento in for­ma­zioni rego­lari, ma pro­lun­ga­mento di una espe­rienza tipica di un eser­cito di irregolari.

In sostanza, l’Anpi non poteva non rispec­chiare le carat­te­ri­sti­che del par­ti­gia­nato fatto di militari-militanti, non chia­mati alle armi per classi di leva, ma di volon­tari mossi da impulsi patriot­tici o poli­tici o anche solo da istinto di difesa e di con­ser­va­zione, tutti alla fine coin­volti in un pro­cesso col­let­tivo di politicizzazione.

Muo­vendo da que­ste pre­messe, la spinta dei par­ti­giani all’associazionismo non poteva pro­ve­nire che dall’aspirazione a pre­ser­vare il patri­mo­nio di idee e di espe­rienze che era stato alla base della scelta di ope­rare nella Resi­stenza. Con que­sto spi­rito, che per decenni è stato incar­nato dal suo primo pre­si­dente, Arrigo Bol­drini, il leg­gen­da­rio Bulow, l’Anpi ha inse­rito il suo ori­gi­nale con­tri­buto tra le forze politico-culturali che hanno ali­men­tato la rico­stru­zione demo­cra­tica del nostro paese dopo il fasci­smo. Se in qual­che momento si può essere gene­rata l’impressione che nell’Anpi si espri­mes­sero posi­zioni di chiu­sura verso una sem­pre più aperta e cri­tica con­si­de­ra­zione dell’esperienza stessa della Resi­stenza, all’Anpi va rico­no­sciuta la fun­zione fon­da­men­tale che essa ha svolto nel custo­dire la memo­ria della Resistenza.

Diremmo che essa ha assolto e assolve una duplice mis­sione: da una parte tenere viva e tra­man­dare la memo­ria; dall’altra assi­cu­rare con la sua pre­senza nella società civile la par­te­ci­pa­zione alla vita demo­cra­tica facen­dosi tutrice dei valori che dalla lotta di libe­ra­zione si sono tra­man­dati nelle isti­tu­zioni e nella società, con par­ti­co­lare rife­ri­mento alla valo­riz­za­zione della Costituzione.

Rispetto ad entrambi que­sti com­piti la soglia dei settant’anni impone cer­ta­mente se non un momento di ripen­sa­mento un pro­cesso di rin­no­va­mento. L’elemento più deci­sivo di que­sto pro­cesso deriva dal ricam­bio gene­ra­zio­nale sot­to­li­neato dal fatto che già da molti anni l’Anpi si è aperta all’associazione di nuovi affi­liati che non pro­ven­gono più dalle gene­ra­zioni che hanno vis­suto la Resi­stenza in per­sona prima. Come nel caso di altre asso­cia­zioni ana­lo­ghe, penso all’Aned degli ex depor­tati, anch’esse depo­si­ta­rie di archivi e memo­rie di inso­sti­tui­bile valore, in que­sta seconda fase della sua vita anche l’Anpi si pro­pone nel plu­ra­li­smo della società, senza pre­ten­dere di avere il mono­po­lio della memo­ria della Resi­stenza, come un indi­spen­sa­bile punto di rife­ri­mento, riserva di ener­gie e di idee, desti­nato ad accom­pa­gnare la cre­scita di una demo­cra­zia che deve trarre giorno per giorno con­ferma della sua vita­lità dalla con­sa­pe­vo­lezza delle pro­prie origini.

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LIVIO PEPINO CONTRO LA MANOMISSIONE DELLA COSTITUZIONE

Dal 2006 al 2010 è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. In passato ha ricoperto i ruoli di consigliere di Cassazione.

La parentesi della Costituzione

Pubblicato il 5 ago 2014

Livio Pepino – da il manifesto

C’è un fatto, accaduto in questi giorni e apparentemente secondario, che mette a nudo

l’anomalia della situazione politica e istituzionale del paese e delle iniziative che la

accompagnano, a partire dalla «riforma» costituzionale e da quella della legge elettorale.

È la mancata elezione, da parte del parlamento in seduta comune, dei componenti di sua

spettanza del Consiglio superiore della magistratura, con la conseguente proroga senza

limiti predeterminati del Consiglio scaduto (della cui integrazione si riparlerà, forse, a

settembre).

Sarebbe come dire — per capirci — che un organo elettivo (per esempio il parlamento)

resta in carica, ancorché scaduto, perché non sono state indette nuove elezioni: lo dico

sommessamente, sperando che l’affermazione venga considerata un paradosso e non un’idea

utile per il futuro… È la prima volta che ciò accade nella nostra storia costituzionale (salvo

un remoto e diverso precedente) e — si noti — l’elezione non è stata neppure tentata.

La parentesi di rappresentatività di un organo di rilevanza costituzionale non è cosa da

poco e, infatti, c’è chi ne ha subito — e strumentalmente — tratto argomenti a conferma

della necessità di cambiare le regole. È vero esattamente il contrario! In tutte le precedenti

consiliature, anche nei momenti di più aspra conflittualità politica, l’elezione dei

componenti di spettanza del parlamento è avvenuta nei termini (e spesso con l’indicazione

di giuristi di prim’ordine). È, dunque, evidente che il difetto non sta nelle regole (rimaste

inalterate) ma nelle forze politiche e, in particolare, nella maggioranza parlamentare,

all’apparenza incapace e disinteressata a promuovere confronto e convergenze. Ma è solo

un’apparenza, ché non si tratta di inadeguatezza ma dell’ennesima dimostrazione della

cultura che permea la maggioranza politica (quella palese e quella allargata di supporto):

una cultura che rifiuta il confronto e la ricerca di soluzioni condivise e conosce solo le

ragioni della forza e dei numeri, anche a costo di sfasciare il sistema. Non è cosa nuova,

neppure nella storia repubblicana. Ma conviene segnalarne gli ascendenti.

All’inizio dell’epoca berlusconiana lo teorizzò in maniera brutale il costituzionalista di

riferimento della destra, Gianfranco Miglio, che, in un’intervista del marzo 1994 affermò

testualmente: «È sbagliato dire che una Costituzione deve essere voluta da tutto il popolo.

Una Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Qual è il mio sogno?

Lega e Forza Italia raggiungono la metà più uno. Metà degli italiani fanno la Costituzione

anche per l’altra metà. Poi si tratta di mantenere l’ordine nelle piazze». Non c’è riuscito

Berlusconi; oggi ci prova Renzi, per di più senza il consenso della metà più uno degli

italiani, ma solo — come ama ripetere — di 11 milioni di votanti, dimenticando quei 38

milioni di cittadini che nessuna delega o sostegno gli hanno dato.

Qualcuno — tra gli altri i migliori costituzionalisti italiani — ha provato a segnalare

l’anomalia di questa doppia «riforma» (costituzionale ed elettorale), dei suoi contenuti

e delle sue modalità. Subito è arrivata la severa e sprezzante risposta del presidente del

 

Consiglio e della ministra delle riforme che, con un’eleganza degna di miglior causa, hanno

ironizzato sull’età e sulle competenze dei soliti «professoroni». Anche qui, non è inutile

ricordare i precedenti: questa volta si tratta di Mario Scelba — esperto sia di istituzioni che

di ordine nelle piazze… — il quale, nel giugno 1949, si scagliò contro il «culturame» degli

intellettuali di cui la politica dovrebbe liberarsi. Allora non mancarono le prese di distanza

e le reazioni politiche. Oggi tutto tace. E, se non sorprendono le parole di Renzi (la cui

considerazione per la cultura è dimostrata dalla concessione degli Uffizi come trampolino

per sfilate di moda), spicca il silenzio miope e complice dei (pochi) residui intellettuali del

suo partito.

C’è di che preoccuparsi, e non poco. Ma, mentre tutto questo accade, il presidente del

Senato gigioneggia sul termine «canguri» e il capo dello Stato, in serena vacanza in

Trentino, si scandalizza che taluno evochi derive autoritarie (sic!). Un tempo, per molto

meno (la cosiddetta legge truffa), si dimisero ben due presidenti del senato mentre

l’onorevole Togliatti, nella seduta della camera dell’8 dicembre 1952, citava nientemeno

che parole di Camillo Cavour: «Io lo dichiaro altamente. Amico della realtà, nemico delle

illusioni, amerei meglio vedere la libertà soppressa che vederla falsata e vedere ingannato

il paese e l’Europa». Certo erano altri tempi ma, anziché esorcizzarli, sarebbe meglio

cercare di ripristinarli. Anche a costo di turbare la tranquilla vacanza del presidente della

Repubblica.

 

 

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Costituzione manomessa. Un delitto, tanti autori

09/08/2014

 Gaetano Azzariti è Professore ordinario di “Diritto Costituzionale presso l’Università degli studi “La Sapienza” di Roma.

Il Manifesto | Autore: Gaetano Azzariti

 

Costituzione manomessa. Un delitto, tanti autori

 

Il maggior responsabile è il Governo che ha diretto l’intera operazione senza lasciare nessuno spazio all’autonomia del Parlamento con progressive imposizioni e l’ininterrotta invasività della sua azione che hanno annullato di fatto il ruolo costituzionale del Senato

Un’infinita tri­stezza. È que­sto il sen­ti­mento che pre­vale nel momento in cui si assi­ste alla vota­zione del Senato sulla modi­fica della Costi­tu­zione. Domani ripren­de­remo la lotta per evi­tare il peg­gio: per­ché la legge costi­tu­zio­nale con­cluda il suo iter dovranno pas­sare ancora molti mesi e altri pas­saggi par­la­men­tari ci aspet­tano, poi — nel caso — il refe­ren­dum oppo­si­tivo. Dun­que, nulla è ancora per­duto. Salvo, forse, l’onore.

In pochi giorni il Senato non ha appro­vato una riforma costi­tu­zio­nale (buona o cat­tiva che si possa rite­nere), bensì ha distrutto il Par­la­mento sotto gli occhi degli ita­liani. Nes­suno dei pro­ta­go­ni­sti è stato esente da colpe. Si è assi­stito a una sorta di omi­ci­dio seriale, cia­scuno ha inferto la sua pugna­lata. Alcuni con mag­gior vigore, altri con imper­do­na­bile incon­sa­pe­vo­lezza, altri ancora non tro­vando altre vie d’uscita.

Il mag­gior respon­sa­bile è cer­ta­mente stato il Governo che ha diretto l’intera ope­ra­zione, senza lasciare nes­suno spa­zio all’autonomia del Par­la­mento. Le pro­gres­sive impo­si­zioni e l’ininterrotta inva­si­vità dell’azione del Governo in ogni pas­sag­gio par­la­men­tare hanno annul­lato di fatto il ruolo costi­tu­zio­nale del Senato. Non s’è trat­tato solo dell’anomalia della pre­sen­ta­zione di un dise­gno di legge gover­na­tivo in una mate­ria tra­di­zio­nal­mente non di sua competenza.

Ma anche nell’aver costretto la Com­mis­sione — in modo poco tra­spa­rente — a porre que­sto come testo base nono­stante la discus­sione avesse fatto emer­gere altre mag­gio­ranze. E poi, ancora, nell’aver voluto con­trol­lare tutto il lavoro dei rela­tori — è la pre­si­dente della Com­mis­sione che ha rico­no­sciuto che il Governo ha “vistato” gli emen­da­menti pre­sen­tati appunto dai rela­tori — con buona pace dell’autonomia del man­dato par­la­men­tare e del rispetto della divi­sione dei poteri.

Non solo i rela­tori, ma ogni sena­tore ha dovuto con­fron­tarsi non tanto con l’Assemblea bensì con la volontà gover­na­tiva, e molti si sono pie­gati. Mi dispiace doverlo dire, ma l’andamento dei lavori ha dimo­strato come un certo numero degli attuali sena­tori non ten­gano in nes­sun conto non solo la Costi­tu­zione, ma nep­pure la respon­sa­bi­lità poli­tica, di cui cia­scuno di loro dovrebbe essere tito­lare dinanzi al corpo elet­to­rale. I pochis­simi voti segreti con­cessi su que­stioni del tutto mar­gi­nali hanno for­nito la prova di quanto fos­sero con­di­zio­nati e insin­ceri i voti palesi. È stato così pos­si­bile evi­den­ziare l’esteso numero dei rap­pre­sen­tanti della nazione che hanno votato con la mag­gio­ranza solo per timore di essere messi all’indice dagli stati mag­giori dei rispet­tivi par­titi. Una lace­ra­zione costi­tu­zio­nal­mente insop­por­ta­bile. Se non si garan­ti­sce (o non si eser­cita) la libertà di coscienza sui temi costi­tu­zio­nali il prin­ci­pio del libero man­dato serve vera­mente a poco. E tutto è stato fatto, invece, per vin­co­lare i rap­pre­sen­tanti alla disci­plina di par­tito. Ancora un colpo all’autonomia del Par­la­mento inferto — più che dal Governo o dai par­titi — da que­gli stessi sena­tori che non si sono voluti opporre pale­se­mente a ciò che pure non condividevano.

S’è discusso e pole­miz­zato sulla con­du­zione dei lavori, sull’interpretazione dei rego­la­menti e dei pre­ce­denti. Quel che lascia basiti è però altro. Ciò che è man­cato è la con­sa­pe­vo­lezza che si stesse discu­tendo di una riforma pro­fonda del nostro assetto dei poteri e degli equi­li­bri com­ples­sivi defi­niti dalla Costi­tu­zione. Se si fosse par­titi da que­sto assunto non si sarebbe potuto accet­tare, in nes­sun caso, un anda­mento che ha sostan­zial­mente impe­dito ogni seria discus­sione su tutti i punti della revi­sione pro­po­sta. Non si sarebbe dovuto assi­stere allo spet­ta­colo sur­reale che ha visto prima esau­rire nella rissa e nel caos il tempo della discus­sione, per poi pro­ce­dere a un’interminabile serie di vota­zioni, con un’Assemblea muta e irri­fles­siva che mec­ca­ni­ca­mente respin­geva ogni emen­da­mento dei sena­tori di oppo­si­zione e appro­vava la riforma defi­nita dagli accordi con il Governo. Spetta al pre­si­dente di assem­blea diri­gere i lavori garan­tendo la discus­sione. Non credo possa affer­marsi che ciò sia avve­nuto. Anche in que­sto caso per il con­corso di molti. Per­sino dell’opposizione, la quale ha dovuto uti­liz­zare l’arma estrema dell’ostruzionismo che, evi­den­te­mente, osta­cola una discus­sione razio­nale e pacata. Ciò non toglie che non si doveva accet­tare nes­suna for­za­tura sui tempi, nes­suna inter­pre­ta­zione rego­la­men­tare restrit­tiva dei diritti delle oppo­si­zioni, nes­suna uti­liz­za­zione esten­siva dei pre­ce­denti. Si doveva invece ricer­care il dia­logo, la tra­spa­renza, il con­corso di tutti i rap­pre­sen­tanti della nazione. Era com­pito di tutti creare un clima “costi­tu­zio­nale”, ido­neo alla riforma. Nes­suno lo ha ricer­cato. E temo non sia solo una que­stione di tem­pe­ra­tura, ma — ahimè — di cul­tura costi­tu­zio­nale che non c’è.

La con­clu­sione di ieri ha san­cito la dis­sol­venza del Par­la­mento. La dele­git­ti­ma­zione dell’organo tito­lare del potere di revi­sione della Costi­tu­zione è alla fine stata san­zio­nata dagli stessi suoi com­po­nenti. Il rifiuto di par­te­ci­pare al voto con­clu­sivo da parte di tutti gli oppo­si­tori rende palese che non si può pro­se­guire su que­sta strada. Vedo esul­tare la mag­gio­ranza acce­cata dal suc­cesso di un giorno, mi aspetto qual­che rozza bat­tuta rivolta alla oppo­si­zione “che fugge”. Ma spero che, oltre la cor­tina dell’irrisione, qual­cuno si fermi per pen­sare a come rime­diare. La Costi­tu­zione non può essere impo­sta da una mag­gio­ranza poli­tica senza una discus­sione e con­tro l’autonomia del Parlamento.

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