Una “Garibaldeide ” di 3 giorni, dal 23 al 25 settembre, che toccherà i luoghi dell’esilio sardo

Un articolo di Andrea Liparoto            Segreteria Nazionale ANPI

L’ANPI e Garibaldi. Un rapporto antico, fecondo, quasi inevitabile, che la nostra Associazione intende rinnovare, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con una iniziativa nazionale rivolta ai giovani.

Una “Garibaldeide ” di 3 giorni, dal 23 al 25 settembre, che toccherà i luoghi dell’esilio sardo del Nostro: La Maddalena e Caprera. Un viaggio formativo organizzato dal Comitato Nazionale ANPI, dal Coordinamento Regionale ANPI della Sardegna con la collaborazione della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Riattraversare Garibaldi, dunque. E con i giovani. Perché?

II Generale dei generali non smette di essere presente. Nelle ufficialità più disparate, nelle intenzioni più umili, in rumorose iniziative libertarie. I motivi di tanta sequela, quand’anche solo sognata, sono legati a slanci impareggiabili. Italiano, si batteva nel 1840 per I’indipendenza uruguayana, inventando una schiera di audaci in camicia rossa. Difendeva fino allo stremo, e con illustri prodezze d’armi, la Repubblica Romana. Capeggiava un battaglione di volontari di varie estrazioni – che al nome di Giuseppe Garibaldi letteralmente impazzivano di coraggio – per andare a liberare una Sicilia oppressa dal giogo di una monarchia rozza e oppressiva: la leggendaria impresa dei Mille. C’è di più, non si arricchì. Non pronunciò promesse di convenienza, scorrazzava per il globo per puro altruismo, la libido della carriera non gli apparteneva. E non pretese riconoscimenti. Non gli vennero nell’immediato. All’atto della consegna del Sud, nel celebre incontro di Teano, fu invitato a mettersi da parte. Quella testa “calda” alla nazione non serviva più. E lui obbedì. Ma non scomparve, richiesto a destra e a manca: lo chiamò anche Lincoln. “Uomo della libertà, uomo dell’umanità ” lo considerava Victor Hugo.

Un mito – il “Che Guevara dell’800” – che persevera ancora oggi. II suo nome è variamente marchiato in 6.000 comuni d’Italia. Quasi ogni paese ha una statua che lo raffigura. I giovani sono i suoi più accalorati fedeli. Era, d’altronde, inimmaginabile il contrario. Garibaldi odiava le prosopopee. C’era da liberare, e partiva. Uno che parte così non può che ispirare fiducia immediata e brama di farsi liberatore negli spiriti in formazione.

È statistica: delle tante pagine di storia impartite nelle aule, una sola non ha mai subito il disonore della polvere: le imprese garibaldine. Schiere di società di sondaggi (Makno, Doxa, Rq, tra le altre) da sempre sono impegnate a tirare le fila della passione dei ragazzi per il Nostro. II risultato è scontato, anche perché oltretutto Garibaldi non mancava di abilità comunicative. Aveva fotografi al suo seguito, che lo ritrassero in pose accattivanti sostenute da avanguardistici blue jeans. Nutriva un culto di sé abbastanza spropositato, cosa che non guasta se può affascinare e indurre a muovere passi di lotta, anche minimi. Ha camminato quel nome, quell’epopea nel tempo. Una parte consistente della Resistenza lo portava come vessillo: le Brigate Garibaldi. Ebbe a scrivere Arrigo Boldrini, Presidente Nazionale dell’ANPI per oltre 60 anni, in un passaggio di un suo articolo pubblicato su Patria Indipendente : «In verità Garibaldi dette un contributo importante per la formazione di una coscienza nazionale, senza la quale non avrebbe potuto svilupparsi, durante la Resistenza, una politica sorretta da profondi ideali di giustizia, di libertà, di progresso e di pace ». II suo volto era sulle bandiere dei partigiani, la “purezza”, il disinteresse del suo agire nei loro cuori. II suo nome, poi, è “politico”, da sempre arruolato in tutte le realtà partitiche: è stato garibaldino il PSI, il PCI, il Partito Radicale, il Partito Repubblicano. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. Fa comodo un Garibaldi in famiglia. Politico fu anche lui. Nel giovane Parlamento italiano battagliava, poco seguito. Sempre concreto, non aveva velleità da palcoscenico: alla Camera dei Deputati ci sono depositati ben 17 progetti per porre rimedio alle tracimazioni del Tevere. «Voleva rifare il Tevere, dopo aver fatto I’ltalia » ha raccontato in una intervista una sua pronipote. Ebbe tra I’altro grandi intuizioni politiche. Immaginò un futuro che oggi appare come I’uovo di Colombo: gli Stati Uniti d’Europa. Quindi si schierò con la Comune di Parigi nel 1871 e con la Prima Internazionale. II suo fattivo sostegno ai primi esperimenti di forme organizzate della classe lavoratrice può annoverarlo tra gli antesignani del movimento operaio.

Un uomo completo, verrebbe da dire – seppure forse manipolati da un eccesso di considerazione – un grande italiano, contro cui comunque c’è chi non smette di inveire. Qualcuno ancor oggi gli dà del militare improvvisato, inconcludente e nocivo in alcuni casi, nonché del pessimo politicamente. Ma i risultati sono lì a parlare. Non occorrono apologie. Garibaldi parla da sé. Come parlano i tanti segni lasciati nel tempo. In chi oggi lo fissa nelle corde di piccoli e grandi impegni civili, in chi ancora prende appunti nella coscienza leggendo la sua storia.

Giuseppe Garibaldi scorre negli anfratti dei continenti, nelle intelligenze più sensibili, umanitarie, eticamente non inquinate. Ha tanti nomi e tanto futuro ancora. Per tutto questo andremo di nuovo ad incontrarlo con i nostri ragazzi.

Andrea Liparoto

Segreteria Nazionale ANPI

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