Omaggio a Peppino Benincasa Partigiano e Cavaliere della Repubblica

Castronovo 27 luglio splendida serata in piazza Pepi. La cittadinanza rende omaggio al partigiano e cavaliere

Sopravissuto all’eccidio di Aqui nell’isola di Cefalonia , partigiano dopo l’ 8 settebre 1943 nella resistenza greca, sposatosi con Maria Valli, figlia del capo partigiano. Poeta, scrittore, archeologo, UOMO e SPIRITO LIBERO

Ha ricevuto la tessera ad honorem dell’Associazione nazionale partigiani d’italia

 

Sono intervenuti Angelo Ficarra ANPI Palermo

Pippo Oddo  Istituto Gramsci Siciliano

Silvia Bentivegna, nipote Capitano Antonino Verro

Mario Liberto, Franco Licata, Annamaria Traina, Eugenio Giannone, Vitale Pellitteri

Il Partigiano Benincasa con il Sindaco di Castronovo

Siamo felici ed onorati di pubblicare il commosso omaggio di Silvia Bentivegna al partigiano cavaliere Giuseppe Benincasa.

Silvia discende da una lunga teoria di eroi della libertà dal martire Francesco Bentivegna fucilato dai Borboni il 20 dicembre 1856 a Mezzojuso per avere indicato ai contadini la via della libertà e della giustizia sociale, a Stefano Bentivegna con i cacciatori dell’Etna con Garibaldi, al capitano Antonino Verro medaglia d’argento fra i caduti della strage nazifascista di Cefalonia, nipote del famoso Bernardino grande dirigente dei fasci dei lavoratori siciliani, a Sasà Bentivegna eroe della Resistenza romana.

“Quando Pippo Oddo mi chiese a nome dell’amministrazione comunale di Castronovo di Sicilia e dell’associazione culturale Kassar di partecipare a questo incontro, non ho indugiato un solo momento ad accettare per almeno tre motivi: 1) l’evento mi dava l’opportunità di congratularmi con il neo cavaliere Giuseppe Benincasa (sopravvissuto al barbaro eccidio di Cefalonia) per aver ricostruito sul filo della memoria il primo episodio in assoluto di lotta armata contro l’oppressore nazi-fascista; 2) mi conferiva il ruolo di mediatrice culturale tra le generazioni nate prima dell’ultimo conflitto mondiale e quelle che le guerre hanno avuto la fortuna di vederle solo attraverso gli schermi televisivi; 3) mi offriva finalmente anche l’occasione di ringraziare di persona l’insigne festeggiato proprio qui, nella piazza dove era esordito da bambino all’impegno antifascista, per tutto quello che ha fatto e sicuramente continuerà a fare per additare alle nuove generazioni e a quanti hanno la memoria corta l’eroismo dei giovani partigiani caduti o trucidati a Cefalonia dopo l’8 settembre 1943:

Non ultimo di questi eroici martiri, il capitano Antonino Verro, cugino di mio nonno Stefano, comandante la batteria di accompagnamento del 317° Reggimento Fanteria Acqui, che il signor Benincasa ha citato nel libro Memorie di Cefalonia. Cade a proposito ricordare che nel 2007 il vecchio partigiano si è prestato volentieri ad accompagnare due mie cugine, Rosa Verro Moscato e Rosy Verro, a Cefalonia, nel luogo preciso dove fu ucciso Antonino. E va ascritto sempre a suo merito se nell’autunno scorso, in occasione di un convegno indetto dall’Istituto Gramsci sui fatti di Cefalonia muovendo dal libro di Benincasa, le stesse cugine Verro (una delle quali risiede in Lombardia) hanno conosciuto la figlia e i nipoti di un altro reduce di quell’inferno, Salvatore Li Causi, già cuciniere del glorioso caduto, che poi sono andate a trovare a Villafrati. Non potevo perciò esimermi di venire a ringraziare di persona il neo cavaliere.

 Credo, però, che sia più che doveroso per noi giovani, e per chiunque ne conservi a qualsiasi titolo la memoria, ricordare cosa furono capaci di fare questi ragazzi, lontani dalla propria casa e proiettati all’interno di una realtà spaventosa, tragica, orrenda come la seconda guerra mondiale, caratterizzata dalle mostruosità compiute dai nazisti e dai loro amici fascisti. Caduto in combattimento il 18 settembre 1943 tra il villaggio Divarata e il ponte Kimonico, Antonino Verro era nato a Corleone il 9 aprile 1911. La sua tragica scomparsa, suggellata da una medaglia d’argento al valore militare, era l’ultima stazione della lunga via crucis della famiglia cui appartengo, che annovera tra i propri martiri Francesco Bentivegna fucilato dai Borboni il 20 dicembre 1856 a Mezzojuso per avere indicato ai contadini la via della libertà della giustizia sociale. Nuzzo, nonno del capitano Verro di mio nonno Stefano  e mio trisavolo, era fratello del martire appena citato e di altri due eroi meno noti: Filippo torturato a morte e buttato a mare dagli aguzzini borbonici il 21 luglio 1851 e Pepè, che nel 1852 fu condannato ai lavori forzati a vita e poi liberato da Garibaldi. Lo stesso nonno del capitano Verro era stato condannato a morte e poi rinchiuso con una palla di piombo attaccata alla caviglia in un bagno penale di Favignana. E, malgrado ciò, appena liberato dai ferri, si mise alla testa di un battaglione dei Cacciatori dell’Etna e andò a combattere a Milazzo sotto il comando di Giuseppe Garibaldi. Sapeva perciò bene, Stefanuzzo Bentivegna, cosa volesse dire rischiare la vita combattendo per la libertà. Evidentemente il senso della lotta per questo valore supremo è qualcosa che noi della famiglia ci portiamo dentro e trasmettiamo alle generazioni successive.

 Antonino Verro non faceva eccezione, degno nipote dell’eroico nonno e degli eroici zii. «Perduti i suoi pezzi [di artiglieria someggiata] – si legge nella motivazione della medaglia d’argento – durante sanguinosissimi combattimenti, raccoglieva i pochi artiglieri superstiti per tentare di riconquistarli. Fallito il primo tentativo, con circa venticinque uomini, scattava all’assalto a bombe a mano e nella furiosa lotta incontrava morte gloriosa. Cefalonia 18 settembre 1943». E si tenga presente che il capitano Antonino Verro si trovò al comando di quegli eroici giovani per un puro caso: cioè perché il  comandante di battaglione capitano Neri era stato ferito in combattimento e lui lo dovette sostituire. Fra l’altro. durante la notte, mentre percorreva un sentiero, era caduto in un’imboscata, e tuttavia si guardò bene dall’arrendersi. Morì da eroe e uomo libero, come erano stati suo nonno Nuzzo e i suoi prozii Francesco, Filippo e Pepè Bentivegna. Portò i suoi uomini a combattere con coraggio, fierezza e grandissimo onore. Morirono anche loro da veri eroi, della specie oramai pressoché estinta.

Perché in quelle situazioni, in cui sai di dovere morire il punto non è più se morire o rimanere vivi, MA scegliere il modo più onorevole di come morire.

 La mia speranza è che anche il loro sacrificio contribuisca ad assicurare un futuro migliore alle nuove generazioni e che la memoria di quella tragedia alimenti il nostro dovere morale di difendere a qualsiasi costo la libertà, il bene più prezioso in assoluto che la generazione “sacrificata” durante l’ultimo conflitto mondiale ci ha lasciato in eredità.

Grazie perciò di cuore, cavaliere Benincasa! Lunga vita al glorioso paladino della libertà, che (a dispetto dei suoi dati anagrafici) continua a fare la spola tra le due sponde dell’Atlantico, la Sicilia e la Calabria, Roma, l’Italia del Nord e l’isola greca di Cefalonia!

Le mie considerazioni sull’8 settembre 1943

Certamente l’8 settembre del 1943 fu un terribile e tragico giorno per l’Italia e per gli italiani. Fu un caso unico al mondo e ci farà inizialmente apparire come un popolo di traditori presuntuosi e senza speranze. Ma io voglio oggi gridare il mio pensiero, perché credo sia doveroso per me e per chiunque conservi un minimo di memoria storica dire invece che gli italiani in diverse circostanze dopo l’8 settembre si dimostreranno un grande popolo. Diffiderei dunque da tutti coloro che ancora oggi vogliono fare passare l’idea di un popolo poco fiero, poco coraggioso, incapace di provare amore per la patria, un popolo di codardi. Queste persone vogliono soro cancellare la nostra identità perché evidentemente vorrebbero riscrivere una storia già scritta col sangue!

La storia ci dice che fu esattamente il contrario e che i veri codardi, dopo quel maledetto 8 sett 1943, si imbarcarono tutti sulla la Corvetta Baionetta nel porto di Brindisi per la fuga.

Sappiamo in oltre che  furono centinaia gli alti ufficiali che quella mattina si presenteranno in porto per l’imbarco, ma che ci fu posto solo per il Re, Badoglio e tutto l’alto comando. Gli altri rimasero da buoni codardi, delusi.

Come era possibile che un Re un Sovrano, il Sovrano d’Italia scappava all’estero con la coda tra le gambe, con Badoglio al suo fianco e ovviamente le proprie rispettive famiglie?

Era un “si salvi chi può, la guerra è perduta”. Mi chiedo ancora se loro si chiesero mai cosa sarebbe accaduto alle migliaia di nostri giovani soldati, mariti, padri e figli adorati. Me lo chiedo spesso. E’ evidente che di loro non gli importasse un bel niente!

Caso emblematico e spaccato della società italiana (abbandonata da quel carico di codardi che nemmeno i tedeschi ritennero onorevole attaccare e affondare), fu ciò che accadde sull’isola di Cefalonia. Per fortuna, per nostra fortuna, (generazione oggi presente e che raccoglie i frutti di quei martiri e sacrifici), negli italiani rimase radicato il senso del dovere e della Patria. Rimase nonostante tutto, in quei valorosi giovani, la consapevolezza che l’unica possibilità di salvezza per poter riscattare la propria dignità era MORIRE in nome dell’Italia.

Cefalonia dunque diventa il primo atto della resistenza italiana e farà da esempio e guida a quelle migliaia di futuri partigiani che  inizieranno a combattere la potenza teutonica ormai presenza possente e prepotente su quasi tutto il territorio italiano.

Solamente nella resistenza infatti troveremo quei valori di rinascita democratica che porteranno l’Italia dov’è oggi, una Repubblica. Gli italiani della resistenza cercheranno nella propria anima e nel proprio cuore qualcosa in più, libertà, uguaglianza, garantismo, giustizia. Nasceranno da questa voglia e necessità di salvezza diverse culture politiche: quella LAICO-LIBERALE, quella Cattolica e quella SOCIAL-COMUNISTA.

LA STORIA DARA’ PREPOTENTEMENTE RAGIONE A LORO!

La DIVISIONE ACQUI , eroica e coraggiosa divisione massacrata a Cefalonia, registrerà nella sua storia tutta una serie di dubbi, paure e titubanze, anche giustificate da quel tremendo momento di sbandamento, ma anche La VOLONTA’ e il coraggio di fare una scelta difficilissima ma necessaria, LOTTARE e MORIRE. (per noi)

Attraverso la morte incontrata sul campo di battaglia o al muro, tutti i nostri della Divisione Acqui, trovarono la via della salvezza.

“Conobbero il sol dovere di morire… ed ora lacrimano, da tutte le piaghe e dagli strazi di tutte le ferite . Sulla nostra stoltezza e sulle nostre sventure, passate e presenti. Piangono per il baratro economico e per le miserie odierne del nostro spirito.

Per essi che soffrono ancora a causa nostra e che inauditamente soffrirono, TORNATE o giovani ai sacri valori! E’ tempo di scuotervi; prima che sia troppo tardi!..

PER ESSI E PER COLORO CHE VERRANNO, preparate il NUOVO RISORGIMENTO della PATRIA!  DIO ILLUMINI E SALVI L’ITALIA!

Queste ultime sono le parole di una professoressa corleonese che era amica di mia nonna Maria, tratte da suo libro “Il Tempo VIVO”. La professoressa si chiamava Maria Patti, grande donna. Le sue parole mi hanno profondamente colpito perché incredibilmente attuali e mi hanno commossa. Ritenevo doveroso citarla…

Grazie sempre

 Silvia Bentivegna                           

 

 

 

 


 

 

 

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