L’ANPI incontra la sorella del partigiano Placido Rizzotto

L’ANPI  Palermo ha incontrato la signora Pina, sorella del partigiano Placido Rizzotto, con Dino Paternostro, segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Davide Paternostro presidente del circolo ANPI di Corleone, presenti i figli Mario ed Ernesto. Nell’occasione l’ANPI ha donato alla signora Pina, che nella foto quì sotto lo indossa, il classico fasciacollo dei partigiani.
da Città Nuove-Corleone    http://www.cittanuove-corleone.net/
La settimana scorsa, abbiamo incontrato a Corleone la signora Pina, sorella di Placido Rizzotto.
Per conto della redazione di “Rassegna Sindacale”, il settimanale della Cgil, le abbiamo consegnato il poster del fratello, realizzato da Mario Ritarossi, in occasione dei funerali di Stato del sindacalista corleonese, che la feroce mafia del feudo aveva assassinato la sera del 10 marzo 1948. Con noi c’erano Davide Paternostro, presidente della sezione Anpi di Corleone, Ottavio Terranova ed Angelo Ficarra, rispettivamente presidente e segretario dell’Anpi di Palermo. Un incontro commovente. La signora Pina era in casa con due suoi figli, Mario ed Ernesto. Ci ha ricevuti in salotto e ci ha parlato tanto del fratello.
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totale incondizionata solidarietà

COMUNICATO
>Al PM Antonio Ingroia e a tutti i valorosi magistrati della Procura di
>Palermo va la nostra totale incondizionata solidarietà contro le gravissime
> minaccie da qualunque parte esse provengano; la
>solidarietà, la vigile preoccupazione e l’affetto verso chi, compiendo
>il proprio dovere si batte per fare Verità e Giustizia  e porre fine
>alla vergognosa turpe e nefanda trattativa Stato – mafia. A voi va la
>solidarietà dei cittadini italiani che vogliono mettere la parola fine
>alla lunga teoria di stragi che restano avvolte nel mistero, senza
>colpevoli, coperti dai segreti di Stato, dai depistaggi da Portella
>della Ginestra a piazza Fontana giù giù fino all’assassinio di Peppino
>Impastato e alle stragi di Carini e via D’Amelio. Reagiamo con
>fermezza e senza tentennamenti di fronte all’attacco più grave che
>siamo costretti a registrare alla nostra Costituzione Repubblicana e
>quindi alla nostra democrazia.
>Ottavio Terranova Presidente e coordinatore regionale dell’ANPI Sicilia
>Angelo Ficarra segretario ANPI Palermo
>Mercoledì 26 settembre 2012
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Referendum Art. 18

A.N.P.I.

A S S O C I A Z I O N E N A Z I O N A L E P A R T I G I A N I D ’ I T A L I A

COMITATO NAZIONALE

www.anpi.it – e-mail anpisegreteria@libero.it oppure comitatonazionale@anpi.it

COMUNICATO

E’ stata presentata una proposta di referendum sostanzialmente per il

ripristino del testo originario dell’art. 18 dello Statuto e per l’abrogazione dell’art. 8 della

legge 13.8.2011 n. 138, soprattutto nella parte in cui si consentono deroghe al

contratto collettivo nazionale in virtù di accordi contrattuali di minor livello.

L’ANPI non ha bisogno di ricordare che su questi temi si è pronunciata

ripetutamente, contro le iniziative legislative di cui oggi si chiede l’abrogazione,

ribadendo la propria convinzione che ragioni fondamentali di principio dovrebbero

impedire di modificare norme che appartengono da tempo alla struttura ed ai

fondamenti del diritto del lavoro, corrispondenti a precisi diritti dei lavoratori, che li

hanno conquistati a prezzo di lunghe e dure lotte.

Siamo dunque convinti che esiste davvero la necessità di tornare alle

formulazioni ed ai princìpi originari, tanto più preziosi ora in quanto attraversiamo un

momento difficile della vita del nostro Paese; ed è in occasioni e in periodi come questi

che vi è più che mai bisogno di tutele e garanzie fondamentali per chi lavora.

Gli strumenti per arrivare a risultati positivi sono molteplici e tutti legittimi,

sicché è condivisibile l’obiettivo perseguito dai promotori del referendum, per quanto

riguarda i due quesiti sopraindicati, così come resta forte la speranza che il governo

che uscirà dalle imminenti elezioni possa e sappia intervenire ripristinando quanto è

stato tolto ai lavoratori, ai cittadini, al diritto del lavoro.

Ovviamente, l’ANPI non vuole e non può entrare nella diatriba – tutta politica

– sull’opportunità e sull’idoneità, in questa delicata materia, di un referendum, che

peraltro dovrebbe tenersi, se ammesso, soltanto nel 2014.

Gli iscritti e le organizzazioni periferiche – in piena libertà – assumeranno

ogni opportuna decisione al riguardo, considerando quanto scritto nel documento

approvato dal Congresso nazionale del 2011, nel quale si ribadisce l’impegno a

“respingere ogni tentativo di sovvertire princìpi e regole che sono previsti a garanzia

della libertà e dei diritti dei cittadini” e dove ancora si afferma che “per garantire una

forte stabilità sociale ed economica al Paese occorre attuare pienamente i princìpi

costituzionali in materia di lavoro, cambiando la legislazione vigente che ha ridotto

diritti e garanzie per i lavoratori”.

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

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Palermo parte civile nel processo sulla trattativa Stato mafia

da la Repubblica (24 settembre 2012 ore 18.48)

“La notizia che il Comune di Palermo si costituira’ parte civile nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia e’ il segnale piu’ chiaro e forte che il sindaco Orlando, l’Amministrazione comunale e la citta’ di Palermo potevano dare in merito alle vicende sanguinose e torbide che si sono intrecciate negli ultimi venti anni con la storia della nostra citta’ e dell’intero paese”.

Ci sono pagine oscure che in tanti vogliono lasciare tali, ci sono verita’ che non devono mai venire a galla, c’e’ una giustizia che deve rimanere disarmata e impotente di fronte a quella che appare una ragion di stato di uno Stato malato ed inquinato”. “Noi crediamo invece  che occorra far luce su tutto, che occorra difendere, soprattutto in questa occasione, il coraggio e l’indipendenza della magistratura. Crediamo che senza verita’ e giustizia, sulle pagine piu’ infami della nostra storia recente, non saremo come palermitani, siciliani ed italiani mai veri padroni del nostro futuro, condannati come siamo ad esistere dentro le regole di una democrazia monca incapace di fare i conti con il suo passato stragista”.

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NOME DI BATTAGLIA: NICOLA BARBATO

da PATRIAluglio_Bellardi_Profili-Pompeo_Colajanni_pag18-19

                 POMPEO COLAJANNI

 di Elisa Bellardi

Carismatico comandante partigiano, valoroso combattente e membro del Partito Comunista: Pompeo Colajanni, nome di battaglia Nicola Barbato, fu un personaggio che seppe lottare per i propri ideali per tutta la vita, in pace e in guerra. Con la IV Brigata Garibaldi scrisse pagine importanti sul libro della Resistenza. Gente tosta i suoi uomini, capaci di far perdere il sonno a più di un gerarca fascista o nazista che fosse.

Pompeo Colajanni era un siciliano atipico, di terra e non di mare. Nato nel 1906, studiò a Caltanissetta, divenne avvocato e si schierò, giovanissimo, contro l’avvento di Mussolini. Non solo. Militante convinto del PCI clandestino fu tra i fondatori di un’organizzazione di cui facevano parte giovani repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti. Questa attività gli costò numerose perquisizioni e, in seguito, la prigione.

DA UFFICIALE A PARTIGIANO

La Seconda Guerra Mondiale lo vide inizialmente far parte dell’esercito. Anche se la sua attività clandestina certo non si fermò in questo periodo. Già, perché prima di arrivare alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo aveva organizzato in segreto l’Amil (Associazione Militare Italia Libera) a cui aveva aderito un folto gruppo di giovani ufficiali. L’8 settembre 1943, come detto, lo ritroviamo in Piemonte, tenente anziano a Pinerolo, nel 1º Reggimento “Nizza Cavalleria”. Un grado che non rispecchiava affatto le sue doti, dal momento che gli era stata negata la meritata nomina a capitano a causa dei suoi trascorsi antifascisti. Ma la sua vita tra le fila dell’esercito italiano era destinata a finire molto presto. Fu in quel fatidico 1943, infatti, che Pompeo Colajanni disubbidì agli ordini del suo diretto superiore e abbandonò la caserma con un gruppo di soldati a lui fedeli. Tra loro c’erano anche Vincenzo Modica “Petralia”, Giovanni Latilla “Nanni” e Massimo Trani “Max”, che diventarono, in seguito, tutti protagonisti della lotta partigiana, al comando di diverse unità garibaldine.

(L’ANPI Palermo ha il piacere di ricordare, oltre a Vincenzo Modica “comandante Petralia” siciliano, fra i tanti altri siciliani che si aggregarono nelle formazioni garibaldine “Carlo Pisacane”,  Mauro Zito “partigiano Palermo”  di recente scomparso.)

A CONTATTO 

CON I POLITICI COMUNISTI

Da qui iniziò la battaglia contro i nazifascisti portata avanti con destrezza, coraggio e senza esclusione di colpi. Una vicenda che ebbe il suo punto di partenza proprio a Pinerolo passando per Barge, nella valle Po, dove Pompeo si diresse, assieme ad alcuni militari del proprio reggimento, guidando automezzi carichi di munizioni. Qui prese contatto con politici comunisti che avevano formato il primo gruppo di resistenza che darà vita, in seguito, proprio alle “Brigate Garibaldi”. Colajanni si aggregò e si trovò quindi a combattere spalla a spalla con Ludovico Geymonat, Antonio Giolitti e Gian Carlo Pajetta. Le sue competenze militari fecero la differenza: in breve tempo quello che era un gruppo di resistenti nato spontaneamente si trasformò in una delle prime formazioni partigiane attive, il 1° Battaglione Carlo Pisacane. “Petralia”, “Nanni” e “Max” ne presero parte divenendo suoi luogotenenti.

NEL RICORDO DI UN EROE DEI FASCI SICILIANI

Ed è proprio a questo punto che Colajanni incominciò a farsi chiamare Nicola Barbato, adottando il nome del famoso medico fondatore dei Fasci Siciliani tra il 1891 e 1893. Una scelta tutt’altro che casuale. Entrambi gli uomini, infatti, si esposero direttamente e non ebbero paura di lottare per il proprio credo: se il primo divenne una delle figure di spicco del socialismo italiano tra fine Ottocento e inizio Novecento, il secondo prese parte personalmente a pericolose operazioni di guerriglia.

Le capacità organizzative e le sue gesta coraggiose valsero a Colajanni, nel 1944, la promozione a comandante di brigata e poi a comandante militare della 1ª Divisione Garibaldi Piemonte. Molti furono i combattimenti e le incursioni in cui si distinse, sempre in prima linea, di fianco agli amici partigiani e allo stesso tempo capace di infondere loro forza grazie al carisma e all’autorevolezza della sua forte personalità. Le sue unità, tra il marzo e il settembre 1944, superarono duri attacchi dei tedeschi. In seguito, il grosso dei combattenti venne ridistribuito sul territorio piemontese secondo la strategia della “pianurizzazione”, passando così da guerra di resistenza a guerra di liberazione.

L’INGRESSO TRIONFALE 

NEL CAPOLUOGO PIEMONTESE

Sotto la guida di Barbato le formazioni garibaldine piemontesi crebbero, di numero e capacità di azione, al punto che nacque una seconda divisione, la II Garibaldi Piemonte. Colajanni lasciò il comando al suo braccio destro “Petralia” e assunse la guida dell’VIII Zona partigiana piemontese. Nell’aprile del 1945 organizzò l’attacco finale sferrato a Torino da nordest, distinguendosi anche in questo caso per intelligenza tattica. Fu lui, infatti, a coordinare l’azione della I e la XI garibaldine, appartenenti alle unità autonome di “Mauri” e del Gruppo Operativo Mobile di Giustizia e Libertà. Un’operazione organizzata in modo impeccabile, ma Colajanni non aveva fatto i conti con John Stevens, capo della missione locale alleata, che, per favorire l’ingresso a Torino delle truppe anglo-americane, mandò un falso messaggio ai partigiani intimando di interrompere la marcia. Barbato fiutò l’inganno e le formazioni fecero il loro ingresso trionfale nel capoluogo piemontese.

DEPUTATO A ROMA

Dopo la liberazione le attività di Colajanni si susseguirono febbrilmente. Prima vicequestore di Torino, pochi mesi dopo divenne sottosegretario alla difesa nei governi di Ferruccio Parri e Alcide De Gasperi. Tornato in seguito nella sua terra, fu consigliere comunale di Palermo, mentre nel 1947 fu eletto Deputato regionale in Sicilia per il Blocco del Popolo, federazione politica formata da PSI e PCI. Qui rimase per sei legislature, ricoprendo anche la carica di vice presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, fino alle sue dimissioni nel 1969. Tornato a Torino, nel 1975 fu eletto alla Camera dei Deputati subentrando a Vito Damico e ci restò fino al 1976. Non solo. Colajanni fu anche consultore nazionale, membro del comitato centrale del PCI, segretario delle federazioni comuniste di Enna e Palermo e consigliere nazionale dell’ANPI. Un impegno politico, il suo, vissuto in modo serio e profondo, in periodi di guerra come di pace. Solo la morte, avvenuta a Palermo nel 1987, mise fine ad una militanza sentita, prima di tutto, come un imprescindibile dovere morale.

 

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PER VERITA’ E GIUSTIZIA ——— di Saverio Lodato

Vietato ai magistrati avvicinarsi alla verità – di Saverio Lodato –

Dal sito ANPI Catania
Pubblicato il settembre 16, 2012 da anpict

 

La cosa più sensata l’ha detta Paolo Mieli, l’altra sera da Lerner, quando ha messo in guardia dal criminalizzare Ingroia e i suoi colleghi perché a Palermo non si sa mai quello che può accadere. Ma sono tenui barlumi di ragionevolezza in un coro oscurantista che per l’ennesima volta mette sul banco degli accusati le persone sbagliate: quei magistrati che a costo di immani sacrifici cercano ancora di indagare sulle vere cause delle stragi di vent’anni fa.

C’è poco da fare: ogni volta che la verità su materie delicate e controverse sembra a portata di mano, qualcuno getta barili d’olio sull’asfalto. Magari per dire poi che l’auto che ha sbandato correva a velocità eccessiva. Con questa metafora si può riassumere quanto sta accadendo da alcuni mesi con l’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia fra il ’92 e il ’94.
Tutti i giudici assassinati in Sicilia, da Costa a Chinnici, da Ciaccio Montalto a Rosario Livatino, da Falcone a Borsellino, per citare solo i più noti, vissero gli ultimi anni della loro vita dovendosi difendere dall’accusa di protagonismo che proveniva sia dal mondo politico, sia dalla stessa magistratura. La ragione, allora come oggi, è semplice e nota. La magistratura non deve superare certi limiti. Non può pretendere di far rispettare la legge a chi, magari, si è fatto eleggere proprio per eludere la legge. Prendiamo, per esempio, la frase di Vietti vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura: “Mai come in questo momento il silenzio è d’oro”. Che significa? Perché si dovrebbe stare zitti proprio in questo momento? Per non disturbare quale manovratore? O l’intemerata del presidente dell’Anm Sabelli, che pretendeva da Di Matteo e Ingroia che facessero qualche passo indietro sul palco della festa del Fatto a significare la loro presa di distanza da chi si era permesso di pronunciare il nome di Dio invano? Quelle parole vanno prese per quello che sono: mezzucci polemici. Restano i fatti. Negli ultimi trent’anni si sono verificate due grandi occasioni per sconfiggere per sempre la mafia. La prima con il maxi-processo, quando gli stessi Falcone, Borsellino e Caponnetto nutrivano seri motivi di speranza. C’erano finalmente i pentiti, era venuto giù il secolare totem dell’omertà, l’iniziativa giudiziaria cominciava a mietere condanne e non più assoluzioni per insufficienza di prove.
Bastava un’altra spintarella e di mafia, in Italia, non avremmo più sentito parlare. Invece che successe allora? Mondo politico e settori della magistratura, con una manovra a tenaglia, prima delegittimarono il pool di Palermo mandandolo rapidamente in frantumi. Poi, con un’altra manovra a tenaglia, la mafia, in combutta con certa politica, certo Stato e certi servizi, con le stragi di Capaci e via D’Amelio, misero una definitiva pietra tombale sull’argomento. Capito come si fa?
E veniamo qui alla seconda grande occasione perduta. Caselli venne a fare il procuratore a Palermo ed ebbe l’infelice idea di portare sotto processo i rappresentanti di quel mondo politico che sino a quel momento avevano razzolato con boss e picciotti. Infelice: nel senso che se avesse voluto fare una carriera migliore forse avrebbe dovuto capire che quelli eran momenti in cui “il silenzio è d’oro”… Ovvio che dopo qualche mese Caselli e la sua procura divennero il pericolo numero uno per la Politica, lo Stato e il Potere. Andatevi a rileggere le dichiarazioni che fecero allora i Del Turco e i Ferrara, gli Sgarbi, gli Iannuzzi, i Liguori e i Macaluso e i Pellegrino… Che florilegio di garantismo. Che disquisizioni dotte sulla “responsabilità politica e storica” che sono una cosa, e sulla “responsabilità penale” che è un’altra cosa. Sperticate difese di Andreotti e Contrada poi condannati. Ma che importa ? Caselli doveva capire la lezione. Con la politica non si scherza. E Caselli dovette lasciare Palermo. Capito come si fa?
E oggi? Diciamo che si stava profilando la terza grande occasione. Ammetterete infatti che non è cosa da poco iscrivere nel registro degli indagati una dozzina di rappresentanti delle istituzioni, uomini politici, mafiosi con coppola e lupara, per ciò che accadde dietro le quinte dello stragismo ’92-’93. Ma allora questi ci riprovano, avrà detto qualcuno.
E VAI CON IL GIOCO delle tre carte. I magistrati di Palermo attaccano il Quirinale. E il Quirinale che si offende. E la grande stampa che lo difende. “Come son cresciuto mamma mia devi vedere… figurati che faccio il corazziere”, cantava negli anni 60 il genio di Renato Rascel. E quel motivetto ci ronzava in testa a leggere certe ricostruzioni che sembravano scritte su carta intestata dell’ Alto Colle…
Gioco delle tre carte appunto. E sapete perché? Perché sino ad oggi non abbiamo letto nessun autorevole commentatore che ci abbia spiegato dove collocare, in tutta questa vicenda, la singolare figura di Mancino Nicola restituendogli tutto il peso che merita. Mancino, infatti, sarà anche Stato tutto quello che è Stato, ma oggi è un imputato. Si fosse limitato, nelle sue telefonate al Quirinale, allo sfogo di chi dice: mi hanno messo in mezzo in una storia di cui non so nulla, e in cui non c’entro nulla, il caso sarebbe stato archiviato come normale conversazione fra amici. Ma Mancino Nicola ha detto ben altro: sono un uomo solo, quest’uomo solo va difeso, perché se no chiama in causa altre persone… non voglio restare l’unico con il cerino in mano… Elegante vero?
Ora il bello è che si pretende che dovessero essere i magistrati di Palermo a buttar giù la cornetta visto che le telefonate dell’imputato Mancino Nicola erano arrivate troppo in alto.
Roba da matti, in qualunque paese civile. Ma non in Italia. Dove a nessuno è saltato in mente di scrivere da qualche parte che invece quelle telefonate andavano interrotte proprio da chi stava troppo in alto per lasciarle tranquillamente proseguire. Come finirà questa storia? Vorremmo sbagliarci. Ma secondo noi finisce come nei casi precedenti: sarà un’altra occasione perduta. Nel qual caso, a questo articoletto, ci limiteremo ad aggiungere solo una riga. Questa: “Capito come si fa?”.

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Vengono a galla le incrostazioni fasciste nelle istituzioni

                                                                 Il comandante Barbato, Pompeo Colajanni, partecipa alla liberazione di Torino

Nel nome di quanti hanno lottato per la libertà difendiamo la democrazia

Commento di Carlo Smuraglia
Un fatto significativo si è verificato a Isernia, dove c’è stata una manifestazione di Casa Pound (autorizzata) e un sit in di protesta (anch’esso autorizzato) con disposizioni dettate per garantire che le due parti non venissero a contatto e conseguentemente anche con un enorme impiego di polizia. Le disposizioni del Comitato per l’ordine pubblico sembrano essere state rispettate tant’è che si è svolta la manifestazione, si è svolto il sit in, dal quale si sarebbe distaccato un gruppetto che sarebbe stato fronteggiato dalla polizia, talché sarebbe stato indotto ad allontanarsi, cantando. Dunque, non è accaduto nulla se non che un gruppo di manifestanti si era appena mosso e soprattutto aveva cantato, e cantato, ahimè,  “bella ciao”, di cui si fa cenno perfino nel decreto penale di condanna.

E’ quanto è accaduto in mille occasioni, in questi anni, in Italia e non ricordiamo che, ci siano stati provvedimenti e tanto meno provvedimenti giudiziari, quando non si è verificato nessun vero incidente. In questo caso, invece, la scure impietosa della giustizia si è abbattuta su un gruppetto di antifascisti, condannandoli per decreto penale, che presumo sarà oggetto di opposizione. Al di là della banalità della vicenda, colpiscono alcune cose che non si possono non rilevare: si dimostra tolleranza per un movimento di fascisti sedicenti “del terzo millennio”, che in quanto tali sarebbero fuori dalla Costituzione e dal nostro stesso sistema, come ha detto la stessa corte di Cassazione, che ha ritenuto la responsabilità penale di chi ha fatto il saluto romano in uno stadio o ha spiegato un tricolore con un fascio littorio inciso al centro. E poi si fa la faccia feroce con gli antifascisti che protestano, senza aver compiuto alcun atto di una qualsiasi rilevanza penale. Sarà casuale, ma è singolare che nel decreto penale non ci si limiti a dire che poi si allontanavano, magari cantando, (farebbe poca differenza se silenziosamente o cantando) ma specificando che cantavano proprio “bella ciao”.

In realtà, ed al di là della reale volontà dei singoli protagonisti (Questori, Prefetti, Organi di polizia, Magistrati, sicuramente convinti e determinati a fare ciascuno quello che riteneva essere il proprio dovere) si sarebbe portati a concludere che il nostro sistema statuale è più portato a tollerare i fascisti  che non gli antifascisti. Se così fosse sarebbe ancora più giustificata la campagna che stiamo avviando per il rilancio dell’antifascismo in tutto il Paese, fra i cittadini ma anche nelle istituzioni, che non sempre appaiono conformi, nella sostanza e nello spirito, al disegno costituzionale, che è non solo democratico ma anche profondamente antifascista (e non solo nella dodicesima disposizione transitoria, come alcuni mostrano di credere, ma in tutti i princìpi, in tutti i valori che pervadono e percorrono la Carta Costituzionale)

Presidente nazionale Anpi

14 settembre 2012

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PER VERITA’ E GIUSTIZIA sulla vergognosa trattativa Stato-mafia

Vogliamo verità e giustizia. La corda si è rotta. Diciamo basta all’infinita teoria di depistaggi che hanno coperto la lunga catena di sangue ad opera di pezzi dello Stato, prima e dopo Portella della Ginetra giù, giù fino a Mattarella, Peppino Impastato, Pio La Torre e a Falcone e Borsellino. E’ una catena di sangue con la quale si è strangolata la Sicilia con la cessione  di fatto, quanto nazionalmente irresponsabile, del governo del territorio alla mafia.

Sul percorso, avviato di recente dall’ANPI Palermo, teso al recupero di una memoria partecipata (cioè non relegata ad un semplice accenno, quando c’è, in un libro di storia magari locale)  del contributo siciliano alla lotta di Liberazione dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista, incominciamo a renderci conto del perchè non solo le stragi naziste sono state quasi occultate, da quella di Canicattì a quelle di Castiglione, Mascalucia, Pedara, ma anche il silenzio, tranne poche lodevoli, generalmente personali, eccezioni, è calato su contributi siciliani eroici e su pagine gloriose della Resistenza e della lotta di Liberazione. Apriamo gli occhi. Diciamo no alla trattativa Stato-mafia. Siamo con i giudici che in prima fila lottano per affermare verità e giustizia.

Di seguito dalla rivista di Libera contro le mafie, “Narcomafie” ,riportiamo il seguente preoccupante articolo:

Trattativa Stato -mafia, Martelli accusa Scalfaro

13 set 2012

Claudio Martelli, in un’audizione in commissione Antimafia, torna a indicare l’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro come protagonista della «regia che ci fu per la normalizzazione del rapporto con la mafia» che, con l’obiettivo di fermare le stragi, passò anche per la messa da parte dei «politici che avevano esagerato nel contrasto». Martelli, che negli anni Novanta è stato ministro della Giustizia per il governo Craxi, fu testimone privilegiato di quella partita di giro che segnò la fine della prima repubblica. Una fine travagliata, che trovò nel marzo ’92 con l’omicidio di Salvo Lima il suo battesimo del sangue. Due mesi dopo ci fu Capaci, poi Via D’Amelio. A settembre il delitto di Ignazio Salvo. E poi la primavera ’93 delle bombe di Milano, Roma e Firenze. Infine, la resa dello Stato alla mafia.

Claudio Martelli punta il dito su chi quella resa, a suo dire, la decise: il presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro, deceduto di recente, e quindi impossibilitato a difendersi. «Non ho mai parlato di una trattativa con la mafia – ha detto Martelli – ma di sicuro ci fu un cedimento dello Stato; cioè di un compromesso nel tentativo di fermare le stragi». Un cedimento che, secondo l’ex Guardasigilli, non costituirebbe un vero e proprio reato «ma un crimine politico sì». E in quel compromesso, ha detto Martelli, ebbe il ruolo di dominus Scalfaro «che regnava, non era isolato, aveva intorno a sè uomini a lui devoti, che a lui dovevano il loro ruolo: Mancino, Giuliano Amato, il capo della polizia Vincenzo Parisi, quello del Dap Adalberto Capriotti, da lui voluto al posto di ”quel dittatore di Nicolò Amato”, come scrissero i familiari dei mafiosi al 41 bis».

A proposito di Giuliano Amato, Martelli afferma: «Non posso accusarlo di spergiuro ma posso dire che ha mentito». E su cosa avrebbe mentito Amato? «Non ci sono state pressioni sulla scelta dei ministri del mio Governo», aveva detto Amato, presidente del Consiglio tra il 1992 ed il 1993, rispondendo in Commissione Antimafia a domande sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Pressioni, secondo Martelli, ce ne furono eccome allo scopo di ammorbidire l’atteggiamento dello Stato nella lotta alla mafia. Una lotta che aveva nel carcere duro – fortemente voluto dallo stesso Martelli –  una sua espressione orgogliosa ma che fu revocato nel successivo governo Amato quando Giovanni Conso fu nominato ministro della Giustizia. Un avvicendamento di cui Amato ha dichiarato di “non ricordare i motivi”.

Martelli sembra deciso ad andare fino in fondo: «Posso portare dei testimoni» ha dichiarato, affermando che lo scopo di quell’avvicendamento era quello di mettere al governo uomini più inclini alla resa, al compromesso con Cosa nostra.

da “Narcomafie” la rivista di Libera contro le mafie

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ISNELLO UN ANNO DOPO

Al cimitero di Isnello di fronte al cippo al Partigiano Giovanni Ortoleva  accanto al campo di rose “Bella Ciao” significativo omaggio dell’ANPI Ravenna alla Sicilia partigiana.

2 settembre 2012   Isnello  ricorda con una partecipazione corale il primo anniversario della traslazione della salma del proprio figlio Giovanni Ortoleva eroe partigiano trucidato dai fascisti e dai nazisti il 9 marzo 1945 a Salussola. Per quella traslazione ricordiamo doverosamente la partecipazione decisiva  della famiglia Ortoleva e dei sindaci di Isnello Giuseppe Mogavero e di Salussola Carlo Cabrio come quella di Ivano Artioli a nome del comitato nazionale ANPI. Ricostruiamo dal web questo pomeriggio proprio per dare il senso della partecipazione corale, che abbiamo registrato. Così Giusy: “Un pomeriggio denso di commozione ieri per la manifestazione in onore di Giovanni Ortoleva, che ha visto una grande partecipazione di popolo nonostante la pioggia.

Anche le sorelle del partigiano Giuseppina e Teresa e i nipoti, nonostante il tempo fosse incerto, sono venute in corteo, insieme ad alcuni rappresentanti dell’ANPI e ai numerosi intervenuti dai paesi vicini, per deporre le rose sulla sua tomba.”

In corteo, dal centro sociale al cimitero, presente il gonfalone dell’ANPI, si è cantato il Bella Ciao con la stessa commozione dell’indimenticabile 3 settembre del 2011. “Momenti di vera commozione mentre la tromba di Giuseppe Di Matteo ha intonato il silenzio e dopo il discorso del segretario dell’ANPI Angelo Ficarra le note di “Fischia il vento” hanno creato un’atmosfera di raccoglimento attorno alle spoglie del nostro partigiano. Poi al centro sociale dopo i vari interventi che hanno ricordato la la sua figura di partigiano eroico, Maria Pia Martorana e Cristina Di Gesare hanno suonato con il loro flauto un brano a lui dedicato.

Giusy Vacca, referente dell’ANPI di Isnello che ha organizzato magnificamente questa ricorrenza, ci ha ammonito che  “La libertà conquistata 67 anni fa va ancora custodita come bene immenso, e con l’ANPI anche noi tutti possiamo dare il nostro, anche se pur modesto, contributo, per combattere l’indifferenza, favorire lo studio della storia recente, per conoscere meglio la Resistenza, batterci affinché quei valori di libertà siano sempre vivi, per non scordare cosa è stato il fascismo, il nazismo, la guerra, le stragi, i pianti delle madri, la miseria, la fame, le camere a gas, i forni crematori…al fine di impedire il ritorno di qualsiasi forma di tirannia e assolutismo!” e Francesco Fustaneo, referente ANPI di Campofelice, che ha svolto un interessante intervento su i giovani e la Resistenza oggi, ha trasmesso questo comunicato agli iscritti di Campofelice:  IERI 2 SETTEMBRE SI E’ TENUTO A ISNELLO (SEDE CENTRO SOCIALE) un incontro per celebrare la persona di Giovanni Ortoleva, partigiano isnellese barbaramente trucidato in Piemonte dai fascisti della Montebello, negli anni bui precedenti la nascita della Repubblica Italiana.

Si è proceduto prima alla deposizione della corona di alloro al locale cimitero e poi si è dato vita ad un momento d’incontro in cui ha parlato il sottoscritto ma soprattutto Angelo Ficarra dell’ ANPI PALERMO, Antonino Cicero che ha illustrato la storia dei 7 partigiani collesanesi. Un nostro tesserato ha poi testimoniato le brutalità che il regime fascista ha inflitto al padre.

Ringraziamo Giusy Vacca, che ieri ha svolto in maniera eccellente il ruolo di moderatrice, pres. del circolo Anpi di Isnello per l’invito.

Grazie ai tesserati al circolo di Campofelice che hanno partecipato e a chi idealmente era presente ma per i motivi piu’ svariati non ha potuto presenziare

Dopo il documentato intervento di Antonino Cicero che ha illustrato una sua ricerca sui partigiani delle Madonie, l’intervento del nostro tesserato che ha testimoniato le brutalità del regime fascista: Gaetano Imbrociano a cui l’ANPI Palermo Comandante Barbato ha conferito, durante i lavori del congresso del 2011, la tessera ad Honorem alla memoria dei genitori Giuseppe Imbrociano e Guida Giulia Amalia. Il padre è stato un’ antifascista comunista del 1921, segretario della cdl di Termini Imerese,  confinato politico nel 1942 a Pisticci, Pollica (Matera). Il suo è stato un intervento che ci ha commosso. Ma lo riferiamo con le sue parole, quelle che ha usato per comunicare l’evento a Lucia Vincenti che ricordiamo mentre legge una parte della lunga lista dei nomi dei caduti per la difesa della dignità umana, per la libertà e per la giustizia il 25 aprile di quest’anno al giardino inglese a Palermo.

“Mia gentile Laura Vincenti, ieri ad Isnello si è avuto un incontro dell’Anpi con i familiari del partigiano Ortoleva ucciso in Piemonte nel 1945 e le cui spoglie oggi riposano nel cimitero di questo paese delle Madonie. Per la prima volta nella mia vita mi sono commosso nell’illustrare quella che è stata la lotta antifascista dei siciliani ( fra i quali mio padre ) dal 1921 fino a dopo l’avvento della Repubblica che ha dato un assetto puramente formale e non sostanziale a quello che dovrebbe essere un vero Stato democratico. Le scrivo per esprimere la mia vicinanza alla Comunità Ebraica e la mia comprensione per il gesto estremo di Arrigo Levi, confinato anche lui nel luogo dove venne internato mio padre, poiché quando si è coinvolti da episodi terribili come quello che ha dovuto subire il Popolo Ebraico, resta dentro l’anima un dolore perenne che nessuno potrà mai cancellare.

 

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ORTOLEVA: ISNELLO RICORDA …

ANPI  Isnello

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

Ad un anno dal rientro delle spoglie del nostro partigiano Giovanni Ortoleva e dopo i recenti funerali di Stato del partigiano e sindacalista Placido Rizzotto

ISNELLO RICORDA …

Domenica 2 settembre 2012

Ore 17,30  Partenza corteo dal centro sociale di Isnello per deporre una corona sulla tomba del partigiano Giovanni Ortoleva

 

Ore 18,00  Nell’aula consiliare del Centro Sociale, incontro dibattito con i referenti ANPI dei comuni delle Madonie

interverranno:

Antonio Ortoleva, giornalista, curatore del libro in uscita Giovanni Ortoleva”;

Dino Paternostro, giornalista,segretario della camera del lavoro di Corleone e responsabile del Dipartimento Legalità della CGIL di Palermo, autore del libro Placido Rizzotto, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2012;

– Angelo Ficarra, segretario ANPI Palermo. “Solidarietà ai Giudici per Verità e Giustizia”

 

Ore 21.15 Centro Sociale: proiezione del film di Pasquale Scimeca: “Placido Rizzotto” (2000)

Nel corso dei lavori saranno proiettate, curate da Giulio Azzarello, foto e video della manifestazione del 3 settembre 2011 a Isnello e del 25 aprile 2012 a Palermo, Festa della Liberazione dedicata quest‘anno a Giovanni Ortoleva e Placido Rizzotto

I giovani di Isnello , durante la giornata, continueranno la raccolta delle firme per la richiesta del ripristino urgente delle strade provinciali, iniziativa promossa da Marcello Catanzaro, Giusy D’Angelo, Antonio Alfonso e Francesco Fustaneo.

Referente ANPI Isnello

Giusy Vacca

La tela “Bella Ciao” è della pittrice Angela Quagliana

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