LA BATTAGLIA PER LA DEMOCRAZIA CONTINUA

13131372_10206159827095148_1070160418482450145_oCOMPAGNI SIETE STATI MERAVIGLIOSI, UN GRAZIE DAL PROFONDO DEL CUORE A TUTTI, A PARTIRE DA SALVO, ANTONELLA, ALESSANDRO, GIUSY, MICHELE, GIUSEPPE, ARMANDO,CATERINA,CALOGERO, ETC, ETC, A TUTTI I COMPAGNI CHE ANCHE DA CASA SI SONO PRODIGATI A CHIAMARE AMICI E PARENTI, AI GIOVANI, AGLI STUDENTI A QUANTI SONO ANCORA IMPEGNATI A RACCOGLIERE FIRME PER IL REFERENDUM COSTITUZIONALE. GRAZIE PER ESSERCI, GRAZIE PER AVERE SOPPORTATO ANCHE INCOMPRENSIONI E MARGINALIZZAZIONI SUPPOSTE. MA DOBBIAMO SAPERE CHE ABBIAMO MANCATO PER POCO L’OBIETTIVO, CHE ABBIAMO PARLATO CON MIGLIAIA E MIGLIAIA DI PERSONE, ABBIAMO FATTO INFORMAZIONE SUPPLENDO QUELLA UFFICIALE CHE E’ STATA SOLO DI REGIME, ABBIAMO AVVIATO UNA BATTAGLIA PER LA DEMOCRAZIA E NON CI FERMEREMO. CI HANNO DIPINTI COME PRIGIONIERI DEL PASSATO QUANDO TENTIAMO, CON MODESTIA MA CON FORZA, DI FARE UN GROSSO BALZO IN AVANTI CULTURALE ED IDEALE CHE SAPPIA DARE CONCRETEZZA ALLA SPERANZA DI FUTURO DELLE GIOVANI GENERAZIONI. CORAGGIO LA BATTAGLIA PER LA DEMOCRAZIA CONTINUA.

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RIFORMA COSTITUZIONALE: assemblea cittadina

referendum al TMO[2]

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LEGA NAVALE PALERMO CENTRO

INVITO a che serve guardare le nuvole

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FAUSTO CLEMENTE : a caldo alcune semplici riflessioni sulla Brexit

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ho scritto a caldo alcune semplici riflessioni sulla brexit,………a mo’ di spunto per un confronto di idee.
Un abbraccio Fausto Clemente

Ci sono due cose che lasciano un sapore molto amaro nella vittoria della brexit e, per quel che penso, ambedue più gravi e di più lungo e greve impatto sulla storia di questo Continente: la prima riguarda il motivo di fondo della vittoria degli antieuropeisti, ovvero la paura diffusa nei confronti di un’ondata di immigrazione che per il 52% degli inglesi è evidentemente una minaccia all’assetto economico e all’identità culturale dell’Inghilterra. Gli argomenti che in queste settimane hanno riempito i giornali inglesi sono identici a quelli pronunciati da tutti gli schieramenti della destra europea, dalla Polonia alla Danimarca, dalla Francia alla Norvegia fino all’Italia di Salvini e di Grillo. Si tratta di argomenti speciosi, perché muovono talvolta (ma solo talvolta) da problemi reali, ma li stravolgono e interpretano attraverso le lenti deformanti della demagogia, del populismo, della xenofobia ovvero del razzismo e del nazionalismo più estremi, rinverditi dalla diffusione di movimenti e partiti neofascisti e neonazisti. E’ la tattica dell’approccio emotivo e irrazionale, che viene intenzionalmente alimentato per scatenare insicurezza, risentimento e paura, i tre fattori che nel secolo scorso hanno consentito di giungere al consenso e al potere i fascismi europei.

Il fatto è che la percentuale degli antieuropeisti non corrisponde ai numeri degli schieramenti politici dichiaratamente di destra nel Regno Unito; dovremmo quindi essere seriamente preoccupati che ci siano tanti cittadini schierati di fatto con una visione “di destra” dei problemi – e soprattutto delle soluzioni – in un Paese così centrale nella Storia del Continente come l’Inghilterra. Il secondo motivo di inquietudine sta nel la disaffezione, che sembra irreversibile, verso una visione che nasce da lontano, da Erasmo, Montaigne, Voltaire, Kant , Mazzini fino a Spinelli e Rossi, quella di un’Europa che si riconosce in alcuni valori che non mortificano, ma rinsaldano le diversità e le specifità dei singoli paesi-membri: la pace, il libero scambio di persone e cose, la tutela di uguali dignità e diritti per tutti i cittadini, la libertà nelle forme e istituzioni della democrazia rappresentativa. Il rifiuto di questo progetto, che trova anche da noi sostenitori e seguaci, corrisponde al fallimento di una integrazione europea giocata più sugli interessi dell’economia e della finanza che su quelli dei diritti e della partecipazione. C’è tuttavia qualcosa di più, che mi pare di legato ad altre incrinature pericolose della politica e della cultura europee, sempre più disancorate da una visione solidaristica ed egalitaria e allineate nel perseguimento a tutti i costi di interessi parcellizzati, ritagliati a misura degli egoismi nazionali . L’indebolimento dell’Unione coincide infine con una crisi internazionale che – con l’effetto concomitante della globalizzazione – ha visto ridurre il ruolo dell’Occidente rispetto all’ascesa politica, economica e militare delle nuove potenze mondiali (Cina, India, Indonesia, Sudafrica, etc); si aggiunga l’incognita delle prossime elezioni presidenziali negli USA, con un rischio Trump che riporta all’America prekennedyana, quella degli anni ’50, intollerante, razzista, sciovinista, aggressiva e bigotta. Per questi e molti altri motivi credo che l‘indebolimento dell’Unione conseguente alla brexit, al di là degli effetti sull’economia, sia una tappa drammatica della storia di questi anni, su cui conviene riflettere e discutere, visto che è ormai illusorio pensare che possa esistere una dimensione locale immunizzata dai contraccolpi delle vicende nazionali, continentali e mondiali.

Un pensiero alla povera Jo Cox, morta per una idea e una passione che la maggioranza dei suoi concittadini ha ignorato e archiviato senza interrogativi e senza incertezze.

Fausto Clemente

 

 

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PERCHE’ VOTARE NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE

ringraziamo il compagno Giovanni Abbagnato per questo contributo

PERCHÉ VOTARE NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE DI OTTOBRE?
Per almeno 10 ragioni.

1.    L’attuale Costituzione non è superata: è ancora validissima, ma largamente inapplicata; è, peraltro, semplicemente falso che essa mai sia stata modificata perché è già accaduto numerose volte, ma mai in
modo così indiscriminato ed invasivo.
2.    La maggioranza parlamentare che ha voluto/votato, anche con il reiterato uso del “voto di fiducia”, lo stravolgimento dell’attuale Costituzione (modificandone ben 41 articoli!) è frutto di meccanismi elettorali (leggasi “porcellum”) dichiarati incostituzionali (Sentenza della Consulta n. 1/2014).
3. La “riforma” proposta è stata scritta “sotto dettatura” dell’Esecutivo con una evidente forzatura del principio della “separazione dei poteri”, garanzia di equilibrio nella gestione della cosa pubblica.
4.    Il propagandato superamento del bicameralismo paritario non diminuirebbe apprezzabilmente i costi del Parlamento e non semplificherebbe l’iter legislativo (nove i diversi procedimenti previsti).
5. Il “nuovo” Senato sarebbe formato da 100 membri non eletti contemporaneamente all’elezione dei deputati, ma 95 (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) – che restano in carica per la durata del loro mandato territoriale – con una procedura a carattere regionale (ancora… da definire!) e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Un’assemblea legislativa dalla composizione alquanto macchinosa, cioè.
6.    La “riforma” Napolitano-Renzi-Boschi-Verdini è scritta malissimo (basta confrontarla con la sobrietà e la chiarezza della Costituzione vigente) e determinerebbe una conflittualità permanente fra organi e enti dello Stato (centrali e periferici).
7. Diminuirebbe le possibilità di partecipazione politica diretta dei Cittadini (ad esempio, triplica da 50.000 a 150.000 le sottoscrizioni per i disegni di legge d’iniziativa popolare).
8. La “riforma” Napolitano-Renzi-Boschi-Verdini “combinata” con una legge elettorale (il cosiddetto “italicum”) ipermaggioritaria e fortemente limitativa della facoltà degli elettori di scegliere gli eletti, espropria, di fatto, la sovranità popolare (articolo 1 della vigente Costituzione) in favore di una
minoranza politico-parlamentare che, grazie ad uno spropositato premio di maggioranza elettorale, potrà consentirsi una forte influenza sull’elezione del Presidente della Repubblica e sulle nomine alla
Corte Costituzionale e al Consiglio Superiore della Magistratura.
9.    La “riforma” Napolitano-Renzi-Boschi-Verdini non è informata allo spirito progressivo (la democrazia in continuo divenire) dell’attuale Costituzione, ma è democraticamente regressiva: rafforza il potere centralistico dello Stato, di fatto, eliminando la sovranità sui territori delle popolazioni in essi residenti.
10. La “riforma” Napolitano-Renzi-Boschi-Verdini costituirebbe, al di là del suo impianto formale, un’oggettiva mutazione della nostra Repubblica da parlamentare ad “esecutiva”: il Presidente del Consiglio – chiunque egli sarà – diverrebbe una sorta di dominus incontrastato e incontrastabile, attesa (si veda sopra) l’intrinseca debolezza del Parlamento, praticamente controllato dal Governo.

Qualche informazione in più:

(18 Giugno 2013)
J. P. Morgan all’eurozona: sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste
Modifica della Costituzione ed equilibrio dei poteri
(22 Settembre 2015) (28 Ottobre 2015)
Baldassarre: l’italicum è un mostro pericoloso
Giovanni Sartori, le riforme alla Renzi: errori e incompetenza
(6 Febbraio 2016)
Referendum Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky spiega i 15 motivi per dire no alla riforma voluta da Renzi
(6 Marzo 2016)
Lo scempio costituzionale dei figli destituenti
(7 Maggio 2016)
Nell’attuale disorientamento è veramente sbagliato insistere per cambiare la Costituzione
(18 Maggio 2016)

Referendum, la storia della Repubblica non è una zavorra (24 Maggio 2016)
Perché No alla legge costituzionale Renzi-Boschi e all’Italicum: 30 ragioni (26 Maggio 2016)
Gaetano Azzariti: una nuova Costituzione? Preferirei di no
(1 Giugno 2016) (2 Giugno 2016)
Referendum: leggete la riforma costituzionale! Se ci riuscite
Costituzione e i tre falsi di Renzi
Riforme, il documento della Ragioneria che smentisce la Boschi: nuovo Senato? Risparmio del 9%
(9 Giugno 2016)
(8 Giugno 2016)
(11 Giugno 2016)

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La lucidità e la lungimiranza di Aldo Tortorella

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Tortorella: «Riforme, il sì dei falsi realisti»

Referendum costituzionale. Parla l’ex pci Aldo Tortorella: sbaglia chi dice che bisogna votare turandosi il naso, il premier rottamatore ora cerca di legittimarsi arruolando Berlinguer e Ingrao, ma le loro idee erano incompatibili con una legge ipermaggioritaria

Aldo Tortorella, già deputato, direttore dell’Unità e dirigente del Pci

Da ragazzo era «il partigiano Alessio», poi fu direttore dell’Unità di Genova, di Milano e di Roma, di lì una lunga storia di dirigente del Pci, nella segreteria di Berlinguer cui resta vicino fino all’ultimo, poi a lungo deputato, contrario alla svolta di Occhetto ma nel «gorgo» del Pds nell’area dei comunisti democratici, e nei Ds fino alla guerra con la Serbia.

Poi ha fondato, con altri, l’Associazione per il rinnovamento della sinistra e dirige la nuova serie di Critica Marxista, rivista che vuole «ripensare e rinnovare la sinistra».

Dell’uso dei grandi del Pci da parte del premier rottamatore, dicevamo, Tortorella non è stupito.

«È significativo che per giustificare la propria condotta si ricorra a un patrimonio ideale da parte di chi lo ha voluto seppellire come cosa morta. Segno che quel patrimonio è ben radicato nella coscienza di molti. Arruolare Berlinguer e Ingrao per questa riforma, che si deve leggere sempre insieme con la nuova legge elettorale, è grottesco prima che rozzo».

Erano monocameralisti, dicono i renziani. Non è così?

Ma per Berlinguer e Ingrao il monocameralismo e la riduzione dei parlamentari si collegavano al sistema proporzionale, lo stesso per cui è pensata la Carta.

E invece il giovane presidente ha fermamente voluto una legge elettorale ipermaggioritaria, l’Italicum. Del tutto incompatibile con la visione di Berlinguer e di Ingrao. E con la Carta.

Perché il premier rottamatore e svoltista oggi ricorre ai classici del comunismo, e a qualche partigiano «vero» secondo la lettura del governo, per legittimarsi?

Perché sente che una parte del paese, della sinistra, e del suo stesso partito non lo segue. Parecchi dei protagonisti di quella storia antica sono viventi, e alcuni sono vicini al Pd o iscritti al Pd, nella parte che si dichiara un po’ più di sinistra.

I più anziani sono di cultura togliattiana, come Reichlin, i più giovani berlingueriana, come Cuperlo.

Ma fra gli ex Pci c’è anche il presidente Napolitano che ha messo a disposizione del sì la sua autorevolezza. Anzi: è stato il tutore delle riforme di Renzi.

Il Pci non fu mai un monolite come spesso si pensa. Napolitano ebbe una sua posizione non certo coincidente con quella di Berlinguer e meno che mai con quella di Ingrao. La sua posizione certamente si è affermata. I risultati sono quelli che si vedono. Quanta parte dell’attuale corso istituzionale, che oggi in quanto politico sostiene, corrisponda ai suoi propositi non saprei dire. Toccherebbe a lui dirlo.

Massimo Cacciari ci ha spiegato in sostanza che la riforma è assai malfatta ma bisogna votarla, forse turandosi il naso. Perché è un inizio. Di cosa? Di una democrazia decidente.

Lo spettro è quello della Repubblica Weimar. Certo che la democrazia deve essere capace di decidere, questa preoccupazione l’avevano anche Ingrao e Berlinguer, ma c’è modo e modo. La democrazia tedesca fu distrutta dai nazisti usando una norma votata a Weimar che sospendeva la Costituzione in caso di stato di eccezione e dava pieni poteri al governo.

Nuove norme costituzionali o si fanno bene o si corrono rischi.

L’argomento di fondo sembra sia la convinzione che la politica viene prima di tutto. Anche prima della Costituzione.

Quando ci fu la crisi della Prima Repubblica le interpretazioni erano due: la prima, che fosse colpa di una democrazia dimezzata, di qui l’idea di Berlinguer e di Moro di completarla rimuovendo la conventio ad excludendum dei comunisti; l’altra, secondo cui era colpa della Costituzione.

E quest’ultima idea risale a molto indietro. La sancisce Cossiga, che come presidente avrebbe dovuto difendere la Costituzione, quando nel ’91 in un messaggio alle Camere dice che la Carta è sbagliata perché frutto di un compromesso con un partito antisistema, il Pci.

Ma l’argomento è ancora più antico, risale a Scelba quando nel ’50 dice che «la Costituzione non può diventare una trappola», ha troppe garanzie. Ed è logico che ve ne fossero: perché nasceva in un momento storico in cui era fresca la memoria della tirannide e ciascuna parte temeva l’altra ed entrambe si garantivano.

Da qui anche la posizione dell’Anpi: le garanzie andavano rafforzate, non indebolite proprio oggi, di fronte a questo assalto delle forze xenofobe, razziste e autoritarie che riguarda non solo l’Italia, ma l’Europa.

L’Ungheria e la Polonia non sono lontane. E l’Austria è al confine.

Dunque i fan del sì si riferiscono a Scelba quando dicono che questa riforma è attesa da decenni?

C’è chi aspetta una riforma in senso autoritario da sempre. E non solo i conservatori e i reazionari.

Per Edgardo Sogno, un uomo della Resistenza di parte diversa dalla nostra, serviva un colpo di stato per cambiare la Costituzione.

E in questa vicenda Renzi che ruolo ha?

Nella satira dei tempi antichi c’era la figura del politico burattino e del suo burattinaio. Ma non è così, il nostro presidente ci mette del suo. Ha un eloquio fluente, sa usare le slide e i tweet. È un convinto propagandista di una posizione politica che viene da lontano, dalla Trilaterale, e recita così: nelle Costituzioni dei paesi dove ci sono stati movimenti di ispirazione socialista c’è un eccesso di democrazia e di potere legislativo rispetto all’esecutivo.

Il documento della JP Morgan del 2013 lo dice apertamente: sbarazzatevi delle Costituzioni antifasciste.

Renzi ha anche un altro ruolo storico: chiudere la stagione, certo tormentata, del centrosinistra attraverso l’Italicum. Una legge elettorale molto maggioritaria i cui frutti non è neanche certo che li raccolga lui e il suo Pd.

Infatti, il sistema delle garanzie doveva essere rafforzato proprio per il rischio della vittoria di una destra restauratrice e reazionaria. Non credo che dipenda dalla mia tarda età il ritenere che questo pericolo venga sottovalutato.

Anche per questo non voglio dare per chiuso il rapporto fra le sinistre.

Nel Pd c’è ancora una parte che si ispira a sentimenti e idee di sinistra. Certo, la sua capacità di incidere è modesta, la sua voce è tenue, la sua tenuta è fragile, ma non andrebbe isolata. So bene che l’idea di uno schieramento ampio di sinistra è indispensabile e insieme molto difficile.

Servirebbe una sinistra, ma bisogna prima intendersi su cosa si possa essere oggi una sinistra.

Nel secolo passato di sinistre ce n’erano due.

Una era quella della proprietà sociale dei mezzi di produzione e di scambio, praticamente fallita nella sua esperienza sovietica. La variante era il Pci con la sua politica riformatrice, in sé ardua, e impossibile in un paese solo e marginale. Poi c’era la sinistra dello stato sociale, la socialdemocrazia. In crisi profonda perché contraddittoria nelle sue premesse. Lo stato sociale è indissolubilmente legato al ciclo economico.

Quando viene la crisi ciò che sembrava costruito, frana.

Hollande ora è al disastro. Schroeder fece qualcosa di simile alla Thatcher.

Renzi si sente l’erede dei riformisti e socialdemocratici.

Forse lo è, ma dei socialdemocratici di destra, quelli di Blair, che è un fallito. Egli, non da solo, professa una sorta di liberismo di stato in cui si privatizzano i profitti e si pubblicizzano le perdite. Lo stato diviene una funzione del mercato o, meglio, del capitale finanziario.

In ogni caso la difesa dello stato sociale non basta. L’intuizione antica secondo la quale bisognava chiedersi a quale fine e come produrre e consumare torna di piena attualità. Un nuovo pensiero critico viene nascendo in tante esperienze e riflessioni.

Bisognerebbe tendere a dare una qualche elaborazione unitaria a questo pensiero. La sconfitta fu culturale e antropologica e non c’è tattica di potere che la risolva.

Servirebbe abbandonare la caricatura dello storicismo in base a cui chi vince ha ragione. E bisognerebbe farla finita con il volontarismo di chi pensa di poter piegare il mondo a piacimento.

Il pensiero critico non vale se non dà vita a un nuovo realismo, dopo il fallimento di quelli che anche nel Pci hanno scambiato per realismo l’accondiscendenza al mondo così com’è.

Precisazione del 3 giugno 2016

Nella sintesi della conversazione con me, pubblicata sul manifesto in edicola, è saltata una piccola frase là dove si accenna alla necessità di una rinascita della sinistra.

Segnalavo che l’assemblea costitutiva della Sinistra italiana era iniziata con un utile ripensamento culturale.

Aldo Tortorella

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IO VOTO NO

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ACCORDO ANPI ARCI PER IL NO ALLA RIFORMA DEL SENATO

logo_2Accordo Anpi-Arci per il no alla riforma del senato e per emendare la legge elettorale

9 Maggio 2016

In allegato il manuale operativo per la raccolta delle firme ed il comunicato del “Referendum contro l’Italicum per la democrazia” e di “No referendum Costituzione”.

Qui di seguito la lettera congiunta del presidente nazionale ANPI, Carlo Smuraglia e la presidente nazionale ARCI Francesca Chiavacci che sancisce l’accordo Anpi-Arci per il no alla riforma del Senato e per emendare la legge elettorale.

Carissime e carissimi,
stiamo entrando nel vivo della campagna referendaria, per ottenere un NO alla riforma del Senato, voluta dal Governo e per ottenere due SI agli emendamenti che proponiamo alla legge elettorale.
È una battaglia che stiamo conducendo anche con altre forze, ma nella quale noi – ANPI ed ARCI – uniti da un protocollo di intesa, non formale, vogliamo impegnarci a fondo, con la nostra autonomia, la nostra indipendenza di pensiero, il nostro modo, comune, di voler realizzare appieno la democrazia.
Ora bisogna raccogliere le firme; c’è poco tempo (meno di tre mesi), per raccoglierne quante sono necessarie, cioè 500.000 (e anche più) per ogni referendum. Non sarà facile, ma si può, si deve riuscire; utilizzando la raccolta delle firme anche per fare una grande campagna di informazione a fronte di un’enorme quantità di cittadine e cittadini che poco sanno delle questioni di merito e che bisogna sottrarre alla suggestione del plebiscito che vorrebbe il Governo.

Noi abbiamo alcuni punti fermi, che intendiamo ribadire:

  1. questi referendum non riguardano la tenuta o meno del Governo, ma solo la difesa della Costituzione, del diritto dei cittadini alla rappresentanza, del libero esercizio della sovranità popolare;
  2. affrontiamo una battaglia “politica”, nel senso più puro del termine, senza trasformarci in partiti e senza svolgere un lavoro che non appartiene alla nostra identità;
  3. affrontiamo questa battaglia non da soli, ma con tutti i cittadini, che dobbiamo informare e coinvolgere, affinché consapevolmente possano partecipare ed esprimere le proprie scelte;
  4. non ci faremo chiudere nel recinto della politica-partitica e neppure in quella della “sinistra” (posto che ce ne sia una sola); vogliamo e dobbiamo raggiungere milioni di cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza e dalle loro idee, dalle loro collocazioni professionali e politiche. Per farlo, abbiamo bisogno di aprire a tutti coloro che credono nella democrazia, restando noi stessi;
  5. è possibile che in qualche caso possiamo unire le nostre forze con quelle di chi svolge altre consultazioni, in una forma o nell’altra; ma non siamo per creare un insieme eterogeneo di richieste, rivendicazioni, proposte diverse, perché questo – più che aiutare – ostacolerebbe e renderebbe più complesso il nostro lavoro;
  6. tutto il lavoro e tutte la responsabilità, dovranno confluire nei due Comitati nazionali (quello per il NO alla Riforma del Senato e quello per il SI alle modifiche alla legge elettorale). Non accettiamo altre sovrapposizioni o rapporti di dipendenza;
  7. è stata concordemente costituita, di recente, una “Cabina di regia” che, in sostanza collegherà il lavoro dei due Comitati nazionali, divenendo il punto di riferimento, assolutamente neutrale ed impersonale, per lo scioglimento di controversie, quesiti, problemi, che possano insorgere a livello locale;
  8. bisogna costituire, ovunque, su tutto il territorio nazionale, a livello di Comune e di quartiere, Comitati referendari, che riuniscano in sé, eventualmente, le due tematiche, raccolgano le firme per entrambe e forniscano informazioni ai cittadini, creino iniziative di informazione e discussione; questi Comitati saranno tanto più autorevoli, quanto più si raccoglieranno attorno a personalità note per il loro equilibrio, la loro saggezza, il loro chiaro orientamento democratico;
  9. questi Comitati, dovrebbero comunque essere espressione di una volontà comune;
  10. occorre ricordare che non basta raccogliere firme; queste debbono essere certificate- autenticate; ci vogliono i certificatori e bisogna, spesso, retribuirli.
    Anche a questo fine, il rapporto è con i due Comitati nazionali e, per ogni problema e questione, con la “Cabina di regia”. In attesa della definizione di un preciso recapito, anche mail o telefonico della cabina di regia, potete rivolgervi a noi, che provvederemo a mettervi in relazione con essa, oppure a contattare direttamente il Comitato interessato;
  11. della costituzione di ogni Comitato è opportuno dare notizia:
    a) all’ANPI e all’ARCI nazionale (segreterianazionale@anpi.ittestini@arci.it)
    b) al Comitato per il SI e a quello per il NO

Si invierà quanto prima un “manuale operativo per la raccolta delle firme”.

Roma, 3 maggio 2016
Il Presidente Nazionale ANPI Carlo Smuraglia – La Presidente Nazionale ARCI Francesca Chiavacci

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CONGRESSO ANPI DI RIMINI: Intervista a Smuraglia

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Smuraglia (Anpi): votare no alla riforma costituzionale e alla legge elettorale

di Francesco Fustaneo

Il 15 aprile scorso a Rimini si è concluso il 16° Congresso Nazionale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che ha visto la riconferma alla carica di presidente di Carlo Smuraglia.                                                                                                                     Partigiano Combattente, volontario nel Corpo italiano di liberazione fino alla fine della guerra; avvocato, professore ordinario di diritto del lavoro, Smuraglia ha insegnato nell’Università Statale di Milano presso la Facoltà di Scienze Politiche. E’ stato, tra l’altro, consigliere regionale della Regione Lombardia e presidente del Consiglio regionale lombardo, senatore e membro del CSM.  E’ alla presidenza dell’ Anpi  dal 2011.

Lo abbiamo intervistato per Contropiano.org.

– Alla luce della sua rielezione quali sono gli obiettivi che il nuovo corso Anpi si propone?

Gli obiettivi sono quelli della sua tradizione e di sempre: innanzitutto difendere la Costituzione nei suoi valori fondamentali, farli valere ed entrare nella vita politica italiana. Noi siamo convinti che anche la politica abbia un profondo bisogno di rinnovamento e questo non può che fondarsi sulle basi della Costituzione. Il nostro Paese sta subendo una deriva inaccettabile; c’è troppa corruzione, vengono messe in atto politiche che non soddisfano, che allontanano anziché avvicinare i cittadini. Occorre un’inversione di rotta e su questo continueremo a batterci.

In secondo luogo punteremo a contrastare le forme nascenti di neofascismo, che non hanno alcun senso e che la Costituzione non ammette.                                                                                                                                                                                                                           – Si riferisce a movimenti come Casapound?

Sì a Casapound, ma il discorso vale anche per gli altri movimenti di ideologia fascista. Questi sono inammissibili con il nostro ordinamento; la nostra Costituzione oltre a vietare esplicitamente la ricostituzione del partito fascista, in tutte le sue norme è contraria ad ogni tipo di fascismo o autoritarismo. Vorremmo che lo Stato facesse qualcosa di più importante, di più significativo anche  per evitare che manifestazioni  di tale matrice continuino a ripetersi.

– Altre priorità?

Contribuire ad avvicinare i giovani alla vita politica, spronarli ad una partecipazione attiva alla vita del Paese. Molti sono distratti perché insoddisfatti da quello che accade loro intorno. Noi stiamo cercando di contattare molti giovani; parecchi ne sono venuti al nostro ultimo congresso a Rimini. Vorremmo parlare del loro avvenire, delle scelte che vogliono compiere, studiare con loro. I giovani sono la classe dirigente del futuro.

– Saverio Ferrari qualche tempo fa ha scritto un appello alla vostra associazione per invitarvi a collaborare con i movimenti antifascisti più radicali, giovani dei centri sociali in primis. Voi cosa rispondete a riguardo?

Non c’è un distacco rispetto a questi: se qualunque movimento pratica un antifascismo nelle forme democratiche noi siamo d’accordo. Talvolta c’è stato dissenso soprattutto sui modi. Mi riferisco ai casi delle contrapposizione dei cortei o a quelli in cui si creano situazioni di scontro. Dobbiamo fare in modo di convincere i cittadini che i movimenti fascisti non sono graditi, non sono accettati.  E per farlo la gente va avvicinata, non allontanata con forme violente che non condivide. Dopodiché diciamo che ogni forma di antifascismo che si può esercitare nel Paese è da noi accettato e consentito, se rimane espresso nelle forme democratiche.

– Cambiamo argomento: l’autunno prossimo gli italiani saranno chiamati alle urne per votare in merito alla riforma costituzionale. L’Anpi si è ufficialmente espressa per il “no”. Ci spiegherebbe i motivi?

Occorre votare no alla riforma e alla nuova legge elettorale; vanno infatti considerate insieme, perché entrambe vanno a ridurre gli spazi di democrazia a disposizione dei cittadini. Gli italiani avrebbero diritto di eleggere direttamente i propri rappresentanti e non di vederseli imporre dai partiti. Inoltre col premio di maggioranza e col successivo eventuale ballottaggio si può cambiare radicalmente quella che è stata la volontà degli elettori. La legge elettorale dunque così non va assolutamente bene.

Per quanto riguarda la riforma arriva “quasi” ad abolire il Senato. Una riforma così non può funzionare, perché se passasse proprio al Senato verrebbero  eletti consiglieri regionali e sindaci che quindi dovrebbero espletare un doppio incarico. O si fa una cosa o si fa l’altra, altrimenti si finisce per far male entrambe. Inoltre il cittadino dovrebbe eleggere i propri organismi di rappresentanza, mentre in questo caso c’è una forma di elezione molto ibrida: sono i consiglieri regionali che eleggono i senatori tra di loro. Poi si dice anche che dovrebbero essere eletti in conformità alla volontà popolare, ma non si spiega in quale modo e lo si rimanda ad una legge ordinaria, che ancora non c’è e nessuno conosce. Quindi manca anche l’elettività che è uno strumento importante. Infine concentrare tutti i poteri su una sola Camera è pericoloso sotto ogni punto di vista. Il legislatore aveva infatti previsto che con le due Camere originarie ci fossero pesi e contrappesi; queste anche svolgendo due funzioni diverse devono controbilanciarsi. Se una ha seicento componenti e l’altra ne ha cento, anche se votano insieme c’è uno sbilancio enorme. Se una può votare la sfiducia e l’altra no, se una può votare su determinate leggi e l’altra solo su alcune si crea uno squilibrio in quel bilanciamento dei poteri originariamente designato dalla Costituzione

– Renzi ha già avviato la propria campagna referendaria e punterà tutto sulla propaganda della riduzione dei costi della politica, dall’abolizione del CNEL alle minori uscite per il Senato. Voi cosa rispondete a riguardo?

La riduzione dei costi della politica è un’invenzione. Il CNEL si poteva abolire tranquillamente senza mettere mano a tanti articoli fondamentali della Costituzione. In riferimento al Senato se proprio si voleva risparmiare sul numero dei parlamentari perché sono troppi, bastava ridurre proporzionalmente il numero dei deputati e dei senatori. Invece i deputati rimangono in un numero inalterato e si riducono drasticamente solo i senatori creando così uno squilibrio. Quindi qui il fine non è quello di risparmiare, a parte il fatto che non si risparmia sulle istituzioni. Queste semmai vanno migliorate. Ci sono altre mille cose su cui si può e si deve risparmiare, ma non sul funzionamento delle istituzioni. Occorre migliorare e controllare con più efficienza i processi, ma non si può pensare di risparmiare dei soldi stravolgendo la Costituzione e creando delle condizioni attraverso le quali un organo come il Senato non potrà mai funzionare.

Francesco Fustaneo

 

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STORIE PARTIGIANI SICILIANI: “Tommaso Moro” Catania

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A cura di Elvio Cicognani

Il vecchio camion targato RSI-PAI 924 arranca sull’Aurelia verso Forte Bravetta. Sono le tre del mattino del 17 maggio 1944. A bordo, insonnoliti, venti militi della PAI (Polizia Africa Italiana) vanno a fare il plotone d’esecuzione, al Forte Bravetta, per la fucilazione di sette Partigiani della Banda “Tommaso Moro”, inquadrata nel Movimento comunista di “Bandiera Rossa”, catturati una settimana prima e condannati a morte dal Tribunale di Guerra Tedesco. Quando il camion rallenta per affrontare la curva, leggermente in salita, che dall’Aurelia immette sulla via Bravetta – al Forte manca poco meno di due chilometri – l’autista scorge in mezzo alla strada due soldati della Feldgendarmerie tedesca, uno dei quali leva in alto una paletta stradale rossa. -Frena, frena! Chissà che cazzo vogliono, adesso!- dice il Tenente che siede nella cabina accanto all’autista e che si chiama Antonio Aliberti, già infuriato per conto suo perché non gli va di fucilare degli Italiani. Coi freni che stridono, il pesante veicolo s’arresta. I due poliziotti tedeschi si accostano, ognuno a un lato della cabina di guida, e il Tenente non fa in tempo neppure di aprir bocca che si vede piazzare in faccia la canna di un mitra e la voce del tedesco gli sibila in perfetto romanesco: -Devi da fa’ solo ‘na mossa e te spappolo la testa-. Contemporaneamente, sbucano fuori dai cespugli che costeggiano l’inizio di via Bravetta altri uomini che, armi alla mano, immobilizzano rapidamente i militi nel cassone dell’automezzo. I ventidue della PAI vengono portati in un fossato poco distante, spogliati, legati due a due e lasciati a terra sotto la sorveglianza di un paio di uomini. Altrettanti Partigiani indossano le loro uniformi, prendono le armi, risalgono sul camion che col nuovo autista alla guida riparte verso Forte Bravetta. Sono esattamente le tre e trenta. Continua a leggere

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