PER VERITA’ E GIUSTIZIA: NO ALLA TRATTATIVA STATO MAFIA

Una delle tante adesioni all’appello Verità e Giustizia

22 agosto 2012

Il Comitato provinciale ANPI Pescara – “EttoreTroilo” e i suoi iscritti – che si riconoscono anch’essi “partigiani della Costituzione” e che ogni giorno lavorano per preservare e vivere i principi della democrazia italiana, nata dalla Resistenza e dal sacrificio di intere generazioni di plurale tendenza politica nella lotta di Liberazione – non possono non testimoniare la propria vicinanza ideale ai magistrati di Palermo, Caltanissetta, Firenze, i quali indagano, tra mille difficoltà ma con grande dedizione civile e senso dello Stato, alla ricerca della verità su ambiguità e trame oscure che, nella stagione drammatica del 1992-1993, fecero temere il tracollo delle stesse istituzioni democratiche e repubblicane.
Mentre valorosi magistrati morivano sotto montagne di esplosivo, appare ormai chiaro come vi fosse chi, alle loro spalle, trattava nell’ombra con i mafiosi e piegava lo Stato a compromessi inaccettabili.
Crediamo che l’accertamento della verità giudiziaria (e politica) dopo vent’anni sia un dovere civico, presupposto medesimo di una democrazia sana e viva. Non può essere frapposto alcun ostacolo al diritto democratico di sapere, conoscere, giudicare che ogni cittadino detiene.

ANPI Palermo: Sulla nefanda vergognosa trattativa Stato mafia pubblichiamo di seguito PER INFORMAZIONE  l’articolo di Eugenio Scalfari  in risposta alla presa di posizione, che abbiamo già pubblicaro e  condiviso, di Gustavo Zagrebelsky , DI CUI RICORDIAMO ANCORA LA PROLUSIONE INIZIALE ALL’ULTIMO CONGRESSO NAZIONALE DELL’ANPI A TORINO, e la risposta, “CHE COSA VERAMENTE NASCONDE L’ARTICOLO DI SCALFARI CONTRO LA PROCURA DI PALERMO”, di Giuseppe Carlo Marino che segue.

CHE COSA VERAMENTE NASCONDE L’ARTICOLO DI SCALFARI CONTRO LA PROCURA DI PALERMO
pubblicata da Giuseppe Carlo Marino il giorno Martedì 21 agosto 2012 alle ore 14.00 ·
Infuriano  le polemiche sull’indecente articolo di Eugenio Scalfari di domenica scorsa. Il nocciolo dell’intera questione (compresa la vicenda dell’azione avviata da Napolitano contro la Procura di Palermo e in specie contro Antonio Ingroia), il nocciolo duro, è la trattativa Stato-mafia sulla quale  i giudici palermitani intendono  far luce e che altri, con vari gradi di autorevolezza “intellettuale” o istituzionale, vorrebbero mantenere nell’oscurità. In tutto questo – occorre  riconoscerlo –  Eugenio Scafari fa eccezione. Egli lascia intendere di riconoscere che la “trattativa” non è un’invenzione e che  quasi certamente ci fu davvero. Però, in sostanza, la ritiene politicamente  ben giustificabile e legittima e comunque, per la sua natura e per i suoi fini, tale da essere al riparo dai rigori del codice penale.

Come valutare una posizione come la sua e come, nel contempo, quella di altri che, dicendolo o scrivendolo, forse a partire dal Colle, sono stati e sono dalla sua parte?

Prendiamone atto con franchezza, sine ira ac studio. Nella sostanza – al di là dei toni polemici arroventati che hanno investito oltre che Ingroia un giurista di immenso prestigio qual è Zagrebelsky – Scalfari e compagni difendono l’intangibilità della Realpolitik e quindi il “diritto” dello Stato ad avere dei “segreti” e dei misteri da tutelare. Questo è sufficiente per metterli al di fuori dell’orizzonte dei principi e dei valori della nostra Costituzione e della stessa democrazia.

Ma, in definitiva, per quali motivi – per quali motivi angoscianti e veritieri! – sono così tenaci nella difesa ad oltranza di una siffatta invocazione alla segretezza e al silenzio? Continua a leggere

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Recupero memoria partigiani siciliani

 Palermo Comandante Barbato, particolarmente impegnata nel recupero della memoria del contributo siciliano alla lotta di Liberazione dal fascismo e dal nazismo, è felice di riprodurre, su segnalazione del compagno Giuseppe Spallino, due ricerche della dott.ssa Angela Diana Di Francesca su due partigiani di Cefalù: Salvatore Culotta, partigiano “Cefas”   e Lorenzo Spallino capo partigiano e menbro del CNL. Diamo inoltre notizia della cerimonia in memoria ed onore del partigiano Salvatore Narcisi che si svolgerà a Cammarata sabato 25 agosto alle ore 10,00. L’iniziativa si deve ai cittadini del Comune di Maggiora in provincia di Novara insieme al loro Sindaco, ed alcuni esponenti dell’ANPI dello stesso Comune, per  commemorare il sacrificio del partigiano Salvatore Narcisi nativo di Cammarata fucilato nel 1944 con altri tre giovani nelle campagne vicino a questa cittadina piemontese, dalle truppe nazi-fasciste.

Scheda110:  SALVATORE CULOTTA, il partigiano “CEFAS”; Scheda111:  LORENZO SPALLINO capo partigiano e membro del CNL Continua a leggere

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Per Verità e Giustizia: “trattativa” tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia

La Magistratura sta indagando su ciò che “in base a sentenze definitive, possiamo considerare la “trattativa” tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Sulla straordinaria importanza di queste indagini e sulla necessità che esse siano non intralciate, ma anzi incoraggiate e favorite, non c’è bisogno di dire parola, almeno per chi crede che nessuna onesta relazione sociale possa costruirsi se non a partire dalla verità dei fatti, dei nudi fatti. Tanto è grande l’esigenza di verità, quanto è scandaloso il tentativo di nasconderla.”

Un interessante articolo di GUSTAVO ZAGREBELSKY  da Repubblica del 17 ago 2012

di GUSTAVO ZAGREBELSKY

http://www.repubblica.it/politica/2012/08/17/news/napolitano_la_consulta_e_quel_silenzio_sulla_costituzione-41067801/?ref=HREC1-8

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firmiamo per la verità. solidarietà ai giudici di Palermo e Caltanissetta

continua la campagna per  VERITA’ E GIUSTIZIA BASTA CON LA REPUBBLICA DEI MISTERI 

solidarietà a Ingroia, Scarpinato, Messineo, Di Matteo e alle procure di  Palermo e Caltanissetta

Poniamo la parola fine alla lunga scia di stragi avvolte nei misteri, nei depistaggi, negli armadi della vergogna, coperti da misteriosi segreti di Stato e da pseudo trattative di cui si arrogano nell’ombra  la titolarità alcuni oscuri corpi dello Stato. Trattativa che paga l’Italia tutta in termini di sovranità dello Stato, di Democrazia, di integrità della Costituzione nata dalla Resistenza.    Sottoscrivi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/09/stato-mafia-pm-accerchiati-nostra-raccolta-di-firme-per-rompere-silenzio/321271/

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Omaggio a Peppino Benincasa Partigiano e Cavaliere della Repubblica

Castronovo 27 luglio splendida serata in piazza Pepi. La cittadinanza rende omaggio al partigiano e cavaliere

Sopravissuto all’eccidio di Aqui nell’isola di Cefalonia , partigiano dopo l’ 8 settebre 1943 nella resistenza greca, sposatosi con Maria Valli, figlia del capo partigiano. Poeta, scrittore, archeologo, UOMO e SPIRITO LIBERO

Ha ricevuto la tessera ad honorem dell’Associazione nazionale partigiani d’italia

 

Sono intervenuti Angelo Ficarra ANPI Palermo

Pippo Oddo  Istituto Gramsci Siciliano

Silvia Bentivegna, nipote Capitano Antonino Verro

Mario Liberto, Franco Licata, Annamaria Traina, Eugenio Giannone, Vitale Pellitteri

Il Partigiano Benincasa con il Sindaco di Castronovo

Siamo felici ed onorati di pubblicare il commosso omaggio di Silvia Bentivegna al partigiano cavaliere Giuseppe Benincasa.

Silvia discende da una lunga teoria di eroi della libertà dal martire Francesco Bentivegna fucilato dai Borboni il 20 dicembre 1856 a Mezzojuso per avere indicato ai contadini la via della libertà e della giustizia sociale, a Stefano Bentivegna con i cacciatori dell’Etna con Garibaldi, al capitano Antonino Verro medaglia d’argento fra i caduti della strage nazifascista di Cefalonia, nipote del famoso Bernardino grande dirigente dei fasci dei lavoratori siciliani, a Sasà Bentivegna eroe della Resistenza romana.

“Quando Pippo Oddo mi chiese a nome dell’amministrazione comunale di Castronovo di Sicilia e dell’associazione culturale Kassar di partecipare a questo incontro, non ho indugiato un solo momento ad accettare per almeno tre motivi: 1) l’evento mi dava l’opportunità di congratularmi con il neo cavaliere Giuseppe Benincasa (sopravvissuto al barbaro eccidio di Cefalonia) per aver ricostruito sul filo della memoria il primo episodio in assoluto di lotta armata contro l’oppressore nazi-fascista; 2) mi conferiva il ruolo di mediatrice culturale tra le generazioni nate prima dell’ultimo conflitto mondiale e quelle che le guerre hanno avuto la fortuna di vederle solo attraverso gli schermi televisivi; 3) mi offriva finalmente anche l’occasione di ringraziare di persona l’insigne festeggiato proprio qui, nella piazza dove era esordito da bambino all’impegno antifascista, per tutto quello che ha fatto e sicuramente continuerà a fare per additare alle nuove generazioni e a quanti hanno la memoria corta l’eroismo dei giovani partigiani caduti o trucidati a Cefalonia dopo l’8 settembre 1943: Continua a leggere

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E’ ora di dire basta. VOGLIAMO VERITA’ E GIUSTIZIA. FINIAMOLA CON LA REPUBBLICA DEI MISTERI

Giorno 18 luglio l’ANPI Palermo Comandante Barbato ha partecipato nell’atrio della Facoltà di Giurisprudenza alla commemorazione di Paolo Borsellino. Eravamo presenti con il banner dell’ANPI “Siamo partigiani della Costituzione” che significativamente richiama una frase  importante di Antonio Ingroia a cui va la nostra totale solidarietà sicuri dell’alto messaggio ideale e morale che lui porterà ovunque si trovi a lavorare nel mondo.

. Eravamo presenti in tanti dell’ANPI Palermo: dal presidente Ottavio Terranova, Angelo Ficarra, Antonella Leto, Armando Sorrentino, Antonio Piraino, Nicola Cipolla, Giacomo Bellomare, Salvatore Basile, Antonio Terranova, e tanti, tanti altri anche di diverse ANPI d’Italia.

“CONTRO L’ ATTENTATO ALLA VERITA’ E ALLA GIUSTIZIA. Non è uno dei tanti, è il più grave degli ultimi anni. Se quelle intercettazioni sono così temute, urge conoscerle integralmente, parola per parola. Si ponga fine alla “repubblica dei misteri”. La nostra solidarietà ad Ingroia e alla Procura di Palermo, in memoria di Paolo Borsellino e di tutti i caduti nella lotta contro l’Italia della corruzione e delle mafie.”

Da Giuseppe Carlo Marino

Caro Paolo. Lettera del procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato letta in via D’Amelio il 19 luglio scorso

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scarpinato-roberto-bigdi Roberto Scarpinato – 22 luglio 2012
Caro Paolo,
oggi siamo qui  a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa  imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare  alle cerimonie ufficiali  che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora  tra le prime file, nei posti  riservati alle  autorità,  anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e  di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco  le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale  che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti  pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno  di tregua dalla loro presenza.

Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché  pronunciate da loro,  parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica  stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere  e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che  sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo  in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è  stata solo la voce del padrone, la voce di  un potere  forte con i deboli e debole con i forti.

Un paese nel quale lo Stato non era  considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i  volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non  ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti:

“Lo Stato non si presenta con la faccia pulita .. Che cosa si è fatto per dare allo Stato.. una immagine credibile?…. La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti:

“No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle Forze dell’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”

E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche  ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato.

Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei  magistrati esemplari.

Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché  grazie a voi e a uomini come voi  per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con  volti credibili nei quali era possibile identificarsi  ed acquistava  senso dire “Lo Stato siamo noi”.

Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e  coltivi la capacità di  innamorarsi del destino degli altri.

Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio  del senso del dovere.

Ti  sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande.

Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a  obbedienza gerarchica ai superiori.

Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Parlando di Giovanni dicesti: “perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato…”

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi  riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci  sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il  4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “…la morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”

Missione doppiamente compiuta, Paolo.

Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso.

E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che  ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando  dopo la strage di via D’Amelio  sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime  – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita.

Come quando nel  corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il  vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie  dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre  spalle e a nostra  insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra  forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze,  le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non  vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice  dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo  di  colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che  affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi.

Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suo rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico.

Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta  che la mafia è costituta solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano.

Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi  in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993   ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni.

Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i  tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti.

E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che  lo Stato,  quello Stato  che  nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.

Per questo dicesti a tua  moglie Agnese:

“Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”

Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza.

E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che  leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura.

Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in  quelle dei magistrati.

Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne.

Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che  è solo questione di tempo.

Sanno che riusciremo a scoprire la verità.

Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi  busserà lo Stato, il vero Stato quello  al quale  tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.

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Placido Rizzotto a Campofelice di Roccella

 

 

 

Organizzata dal circolo ANPI di Campofelice di Roccella e dal locale  circolo ARCI ha avuto luogo la presentazione del libro di Dino Paternostro “Placido Rizzotto”. Ne hanno parlato, dopo i saluti del Sindaco Franco Vasta, Francesco Fustaneo responsabile del circolo ANPI di Campofelice che ha presento l’iniziativa nell’ambito della costituzione del circolo Anpi dando notizia della decisione del Comune di intitolare una via al Movimento dei Fasci dei Lavoratori siciliani; Angelo Ficarra segretario dell’ANPI Palermo Comandante Barbato” e Nino Musca responsabile dell’ARCI e dell’ANPI di Caltavuturo. Ficarra partendo dalla storia di Placido Rizzotto poco conosciuta sotto l’aspetto della sua decisiva e significativa partecipazione alla lotta di Liberazione, ha posto il problema del recupero della memoria dell’antifascismo e della lotta contro la mafia nell’ambito fondamentale  della richiesta di Verità e Giustizia che non possono essere soggette a trattativa. Nino Musca ha legato recupero della memoria, partendo dalla strage di Caltavuturo e dalla storia dei “Fasci siciliani” di cui ha annunciato una prossima sua pubblicazione , alla lotta contro la mafia e alla necessità di far fronte nel presente alla offensiva padronale-capitalistica contro il diritto al lavoro.  Ha introdotto e moderato il  dibattito Paola Parisi. A Dino Paternostro, l’autore del libro, sono toccate le conclusioni. In particolare si è soffermato sulla travagliata vicenda del recupero dei resti di Placido Rizzotto e del suo felice esito che ha avuto una sua felice conclamazione con i funerali di Stato e la partecipazione del Presidente della Repubblica. Hanno partecipato all’iniziativa Giusy Vacca referente dell’ANPI di Isnello, e Stefania Ciaccio referente dell’ANPI di Aliminusa.

 

 

 

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La trasparenza del potere prima della sua tutela

Dal Manifesto del 18/7/2012

La trasparenza del potere prima della sua tutela

 

di Domenico Gallo

 

Se nella prima metà del secolo scorso un pubblico ministero avesse casualmente intercettato una comunicazione telefonica di Vittorio Emanuele III, indubbiamente ne sarebbe nato uno scandalo ed il Pubblico Ministero che all’epoca si chiamava Procuratore del Re, sarebbe stato destituito su due piedi. Nello Statuto albertino, infatti, non esisteva il concetto di indipendenza della magistratura e la giustizia era amministrata in nome del Re dai giudici che egli stesso istituiva (art.68). Poiché il Re riuniva nelle sue mani tutti i poteri dello Stato, egli era al di sopra dell’ordinamento. Infatti l’art. 4 dello Statuto recitava: «la persona del Re è sacra ed in violabile».
Durante l’epoca di crisi costituzionale della repubblica italiana, rappresentata dall’avvento del berlusconismo, i mass media di proprietà di Berlusconi e gli uomini politici di proprietà del partito di Berlusconi, hanno interpretato la costituzione materiale nel senso che la persona del presidente del consiglio dei ministri dovesse considerarsi sacra ed inviolabile come la persona del Re nello Statuto Albertino. Per questo non solo i procedimenti in cui Berlusconi risultava imputato di reati vari, ma lo stesso fatto che si svolgessero indagini nei suoi confronti e che venissero effettuate intercettazioni indirette di Berlusconi quando parlava con Lavitola o altri malavitosi, sottoposti ad intercettazione, veniva denunziato come un atto di lesa maestà, compiuto da una magistratura infedele che non rispettava le prerogative costituzionali del Presidente, eletto dal popolo ed unto del Signore.
Il procuratore della repubblica di Palermo ha spiegato all’ex direttore di Repubblica, che aveva lanciato anatemi verso i magistrati di Palermo, che le intercettazioni indirette nei confronti di soggetti coperti da immunità, non necessitano di alcuna autorizzazione e non possono essere impedite – a priori – perché non sono prevedibili.
Aver sollevato, da parte di Napolitano, conflitto di attribuzione nei confronti della procura di Palermo per le intercettazioni indirette casualmente effettuate nei suoi confronti, desta perplessità perché si muove nella stessa logica che tende ad interpretare le prerogative degli organi costituzionali nell’ottica dello Statuto albertino, piuttosto che della Costituzione Repubblicana.
E’ sotto gli occhi di tutti che nella crisi della legalità che investe il nostro paese a più livelli, il problema non è quello di ridurre i controlli, ma di contrastare i comportamenti arbitrari e gli abusi di potere. L’istituto del conflitto di attribuzione è già stato utilizzato in modo strumentale, sia dal governo Prodi che dal governo Berlusconi, per assicurare l’impunità ai dirigenti del servizio segreto militare implicati nel rapimento di Abu Omar e per creare uno sbarramento artificiale al controllo di legalità esercitato dall’autorità giudiziaria.
La democrazia ha bisogno di trasparenza e di equilibrio dei poteri, non certo di zone franche e di prerogative declinate come privilegi del sovrano.

18/07/2012 – Il Manifesto

Da ANPI NEW

L’ANPI NAZIONALE: “Il 25 aprile, l’1 maggio e il 2 giugno non si toccano. Sono i valori su cui si fonda la Repubblica

 

Non ci si dica che non ci sono altri strumenti per incrementare la produttività e far crescere il P.I.L.; ci sono provvedimenti in corso di esame, da tempo preannunciati, di cui si può accelerare l’iter; e ce ne sono altri, da molti invocati (la patrimoniale, per fare un esempio) che a torto si finge di ritenere improponibili

 

Secondo notizie di stampa, il Governo si appresterebbe a procedere ad alcuni accorpamenti di festività, per aumentare la produttività. Nella “scure” incapperebbero anche le tre festività ben note per essere state già oggetto di tentativi analoghi (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno). Dobbiamo essere estremamente chiari: non abbiamo – ovviamente – obiezioni di fronte ai sacrifici che possono essere chiesti ai cittadini in una fase difficile per il Paese; ma che si debba rinunciare alla storia, a quelli che sono i fondamenti comuni del nostro vivere civile, ci sembra davvero troppo. Ci sono festività che nascono da consuetudini o semplici abitudini, che forse possono consentire qualche operazione. Altre, come quelle citate, rappresentano il nostro passato migliore, i valori su cui si fonda la nostra Repubblica: sono, in una parola, la nostra storiaE non vanno toccate. Non ci si dica che non ci sono altri strumenti per incrementare la produttività e far crescere il P.I.L.; ci sono provvedimenti in corso di esame, da tempo preannunciati, di cui si può accelerare l’iter; e ce ne sono altri, da molti invocati (la patrimoniale, per fare un esempio) che a torto si finge di ritenere improponibili. Si faccia quello che occorre, per salvare il Paese da una crisi che non ci dà tregua. Ma si lasci al Paese la sua storia, si conservino i suoi valori, quelli a cui la stragrande maggioranza dei cittadini continua a richiamarsi. Questa è la richiesta che formuliamo alle istituzioni pubbliche e in particolare al Governo. Alle nostre organizzazioni rivolgiamo l’invito ad una mobilitazione immediata e diffusa, assumendo ogni possibile iniziativa, coinvolgendo i parlamentari e le istituzioni territorialmente competenti, sollecitando l’adesione e l’impegno dei cittadini. Il gravissimo proposito che è stato enunciato dalla stampa, se corrispondente ai reali intenti del Governo, dev’essere sventato e respinto, prima di tutto dalla coscienza civile e democratica del popolo italiano.

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

Roma, il 17 luglio 2012


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ricordo della strage di via D’Amelio – Eroi senza nome di Salvatore Borsellino

Pochi giorni dopo la strage di Via D’Amelio mia madre chiamo’ me e le mie sorelle, Rita e Adele e ci chiese di farle incontrare le mamme di quei ragazzi che il 19 Luglio si erano stretti attorno a Paolo mentre suonava il campanello della sua casa per proteggerlo nell’unica maniera in cui potevano proteggerlo, con i loro corpi.

Non potevano proteggerlo in altro modo perche’ il prefetto di Palermo Mario Jovine non considerava quella strada un obiettivo a rischio e quindi non ne aveva disposto lo sgombero.

Non potevano proteggerlo perche’ il procuratore Pietro Giammanco, pur essendo al corrente che era gia arrivato in citta’ il carico di tritolo per l’assassinio di Paolo, non aveva ritenuto necessario avvertilo del pericolo imcombente.

O anche peggio come forse potremmo sapere se si venisse a conoscere il reale contenuto della strana telefonata che lo stesso Giammanco fece a Paolo alle 7 di mattina dei quel 19 Luglio nel corso della quale la moglie Agnese senti Paolo gridare la sua rabbia al telefono in faccia a quello che avrebbe dovuto essere il suo capo e, in quanto tale, avrebbe avuto il dovere di vigilare sulla sua incolumità.

Lo stesso Giammanco del quale, come ha dichiarato l’allora Maresciallo del carabinieri Carmelo Canale, Paolo aveva intenzione di chiedere l’arresto parche si potesse scoprire quello di cui era a conoscenza sull’omicidio Lima, il referente politico, in Sicilia, del senatore a vita Giulio Andreotti.

Grazie alla protezione dei corpi di quei ragazzi che si stringevano introno a lui Paolo rimase quasi intero dopo lo scoppio tanto che sua figlia Lucia, che volle correre ad abbracciarlo per l’ultima volta, ci poté dire che Paolo sembrava quasi sorridere, aveva i baffi e la faccia anneriti dal fumo ma sembrava sorridere.

Ma di quei ragazzi non si trovò quasi niente, una mano fu trovata in un balcone dei piani alti, un altro venne ricososciuto solo per una brandello del vestito, i pezzi di Emanuela Loi poterono essere riconosciuti solo porche era l’unica donna che faceva parte della scorta.

E in quelle bare che furono testimoni muti della rivolta dei palermitani, alla cattedrale di Palermo, contro quel branco di avvoltoi che, scacciati da noi familiari dal funerale di Paolo, volevano almeno sedersi in prima fila ai funerali degli agenti di scorta, non c’era quasi nulla.

Anche se questo non impedì ad uno Stato che mi vergogno a chiamare con questo nome, di richiedere ai genitori di Emanuela Loi il costo del trasporto di quella bara vuota da Palermo a Cagliari.

Mia madre volle incontrare i genitori di quei ragazzi per chiedere di baciare loro, uno per uno, le mani perché come disse loro, avevano donato la vita dei loro figli per quella di suo figlio.

Ed oggi uno Stato sempre più indegno, uno Stato di cui sono costretto a vergognarmi di fare parte, uno Stato che mi fa vergognare di essere italiano, costringe i genitori, i figli, i fratelli, i parenti di questi ragazzi e di tante altre vittime della criminalità mafiosa, se non dello stesso Stato, a incatenarsi ai cancelli della Prefettura di Palermo per reclamare a voce alta i loro diritti.

Non, badiamo bene diritti economici di un vitalizio equiparato a quelle delle vittime del terrorismo, che pure spetterebbe loro di diritto, ma il diritto a che la loro dignità venga riconosciuta, il diritto a che non vengano considerati come vittime di classe inferiore, il diritto a che nelle commemorazioni che pur servono da passerella a politici i cerca di visibilità, i loro figli, i loro padri, i loro parenti non vengano denominato sbrigativamente “ragazzi della scorta” ma, come  è loro diritto, con i loro nomi.

Ma allora perché Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non vengono chiamati “i giudici del pool” e basta, forse perché la gente si indignerebbe a non sentire i nomi di quelli che considera degli eroi ?

 

Ma perché forse non sono degli eroi anche Agostino Catalano,Eddie Walter Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Rocco Di Cillo, Antonio Maontinari, Vito Schifani. Anche di Francesca Morvillo non viene spesso pronunziato il nome, come se non fosse morta anche lei accanto a Giovanni.

A fronte di ciascuno di questi nomi, e della serie interminabili di nomi di eroi che non vengono mai nominati  ciascuno di noi non dovrebbe nemmeno solo alzarsi in piedi, ma mettersi in ginocchio, e invece li costringiamo ad incatenarsi ai cancelli di una prefettura per reclama il rispetto della loro dignità.

Io chiedo perdono a Sonia Alfano e a quelli che come lei stanno portando avanti questa lotta nel nome di tutti per non essere li insieme a loro, per non essermi incatenato insieme a loro come di sicuro avrebbe voluto e ci avrebbe ordinato di fare mia mamma se fosse ancora in vita.

Vi chiedo perdono, la lotta che stiamo combattendo ha troppi fronti e non sempre si riesce ad essere dove il nostro cuore ci vorrebbe portare, ma sappiate che sono insieme a voi, che Paolo Borsellino è insieme a voi e che insieme a lui la lotta di tutti noi, di tutti noi uniti, riuscirà a realizzare il sogno di giustizia e di libertà per cui sono morti i vostri figli, i vostri padri, i vostri compagni, i vostri fratelli.

Salvatore Borsellino

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FARE LUCE SULLA VERGOGNOSA TRATTATIVA STATO MAFIA POLITICA

FARE LUCE SULLA VERGOGNOSA TRATTATIVA STATO  MAFIA POLITICA

QUESTA E’ LA NUOVA FRONTIERA DELLA DEMOCRAZIA

QUESTO E’ LIMPEGNO DELLA NUOVA RESISTENZA 

da http://www.19luglio1992.com/

Ricordiamo il Giudice Paolo e i ragazzi della sua scorta

TRE  GIORNI DI VIA D’AMELIO

A 20 anni dalle stragi ricordiamo il Giudice Paolo e i ragazzi della sua
scorta. Questo il programma della 3 giorni di Via D’Amelio.Programma
17 luglio: ore 20.00 ca. – Partita di calcetto Agende Rosse VS Magistrati (Polisportiva
Cei, via Piersanti Mattarella 38/42)
18 luglio:ore 09.00 – Presidio Palazzo di Giustizia (P.zza V. E. Orlando)
ore 15.00 – Salita a Castello Utveggio (partenza da Via d’Amelio)
ore 19.00 – Corteo da piazza Croci alla facoltà di Giurisprudenza (via
Maqueda 172)
ore 20.30 – Conferenza AntimafiaDuemila (atrio facoltà di Giurisprudenza)
“Trattative e Depistaggi: quale stato vuole la verità sulle stragi?”
Interventi di Salvatore Borsellino, Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo,
Roberto Scarpinato, Domenico Gozzo, Saverio Lodato, Giorgio Bongiovanni.
Saluti di Rita Borsellino, Sonia Alfano, Leoluca Orlando e del preside della
facoltà Antonio Scaglione.
Modera: Anna Petrozzi.
19 luglio: ore 08.00 – Inizio Presidio via d’Amelio – iniziative della società civile

 – Per i bambini, dalle 9.30 alle 13.00: Animazione ludica e didattica,
Percorsi di Legalità, Merenda e tanto altro ancora.
– Arrivo manifestazione A RUOTA LIBERA
ore 15.00 – Interventi dei Magistrati (Antonino Di Matteo, Antonio ingroia,
Leonardo Guarnotta, Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Luca Tescaroli,
Giovanbattista Tona)
ore 16.58 – Minuto di silenzio – Marilena Monti recita “Giudice Paolo” –
ore 17.15 – Interventi dei familiari di Paolo Borsellino, Agostino Catalano,
Eddie Walter Cosina, Vincenzo Fabio Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina.
ore 19.30 – Orchestra sinfonica infantile “Falcone e Borsellino” della
Fondazione “la Città Invisibile” dirigono Massimo Incarbone e Teresa
Zammataro
ore 21.00 – Marco Travaglio
ore 22.30 – Daniele Silvestri

http://www.19luglio1992.com/

Per informazioni:
www.19luglio1992.com

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